Giselle, ormai puro spirito ma ancora innamorata, prende fra le mani il volto di Albrecht e lo bacia per l’ultima volta. Mentre lui si accascia, afferra lo scudiscio che Myrta le porge e lo finisce a frustate. Quindi passa sul suo cadavere e si allontana con le altre Villi che qui sono le anime vendicatrici degli antenati. Perché è una “Giselle” sudafricana la nuova creazione di Dada Masilo il cui “Swan Lake” con i cigni Zulu in tutù e a piedi nudi ha avuto un successo planetario. Al Festival Impulstanz di Vienna è stato un trionfo per questa interprete e coreografa di 32 anni, nata a Johannesburg, che ha l’energia di un vulcano in un corpo sottile, sensuale, agile come uno scoiattolo e un viso sorprendentemente mobile ed espressivo. Ed è facile immaginare un esito simile al debutto italiano, dal 28 settembre al primo ottobre, al Festival Romaeuropa, e poi a Ferrara e Reggio Emilia.
Questa volta, rispetto al capolavoro romantico, niente perdono cristiano per il traditore Albrecht che ha ingannato la ingenua Giselle, l’ha condotta alla follia e alla morte: «Ho guardato la vicenda dalla parte della donna tradita, violentata, col cuore spezzato. Il perdono non avrebbe avuto nessun senso», spiega Dada Masilo. E aggiunge: «Nel momento in cui l’anima di Giselle viene accettata fra gli spiriti vendicatori deve compiere un sacrificio iniziatico».
[[ge:rep-locali:espresso:285296819]]
In questa versione Giselle si chiama Mbaly, cioè fiore, mentre Myrta è un Sangoma, un guaritore, e impugna uno scacciamosche rituale. Gli spiriti, vestiti di rosso sangue, sono uomini e donne: «Amo questo aspetto androgino, crea una dinamica nuova».
Alla fine del primo atto Giselle, scoperto il tradimento, impazzisce e muore sola e nuda. Qui la Masilo è una interprete travolgente. Lei spiega la scelta così: «Giselle è sola nel suo dolore e nella sua follia. È già in un altro mondo dove nessuno la accompagna. Soltanto dopo la sua morte ho voluto la processione della gente del villaggio che la piange su un canto tradizionale sudafricano». Pochissima la musica originale di Adolphe Adam, Masilo ha preferito una partitura originale (voce, violoncello, violino, arpa e percussioni) del sudafricano Philip Miller: «In un primo tempo avevo chiesto a Philip di evitare ogni riferimento a Adam, poi mentre il lavoro si sviluppava abbiamo deciso di utilizzare due temi: quello della follia e il motivo conduttore del secondo atto. Anche per non alienarci del tutto l’attenzione del pubblico del balletto classico».
Se “Swan Lake” era afropolitano questa “Giselle”, nei costumi, nella danza, nel disegno di William Kentridge che fa da sfondo al primo atto, è più rurale. Lei, felice del nuovo successo, ammette: «Non è stato facile dopo il “Lago”. Ero terrorizzata. Là c’era una forte eredità del balletto classico, ma anche ironia, temi contemporanei come l’Aids o l’omosessualità. Qui mi son sentita più libera di attingere alla mia cultura sudafricana, intervenendo anche sulla drammaturgia del primo atto. Nel secondo lo schema coreografico originale è più rigido: qui il lavoro è stato soprattutto sui passi, a parte il finale».
Una coreografia fusion: «Uso diversi linguaggi. Il contemporaneo, qualche passo classico, tradizionale africano: non lo “stamping” come in “Swan Lake”, ma la danza “Tswana”. C’è pure una afrosamba nella festa del primo atto. Non mi piace creare per compartimenti stagni, preferisco mescolare».
La sua danza racconta il suo percorso: «Ho avuto una formazione molto eclettica, prima alla Dance Factory di Johannesburg e poi a PARTS di Bruxelles con Anne Teresa de Keermaeker. Ho imparato stili diversi e ho cercato di fonderli in un mio approccio che tiene conto di tutte queste tradizioni».
Portatrice di una cultura nera, Masilo deve il successo al “remake” di quattro titoli della tradizione bianca europea “Romeo e Giulietta”, “Carmen”, “Lago di cigni” e ora “Giselle”: «Amo lavorare su un materiale narrativo, avere una storia da seguire e metterla in danza, approfondire il carattere dei personaggi. Tutto è cominciato a PARTS: dovevamo leggere il dramma di Shakespeare che trovavo molto difficile. È stato più facile metterlo in danza».
Entrata a 11 anni alla Dance Factory, passata a 19 a Bruxelles, presto coreografa, Masilo è una vera donna di teatro che sa sfruttare gli imprevisti. Nella scena finale gli spiriti lanciano in aria nuvole di polvere bianca come un rituale magico: «In realtà in quel momento era previsto del fumo, ma la macchina del fumo non funzionava bene e i vigili del fuoco del Volkstheater a Vienna minacciavano di impedire la rappresentazione. Allora abbiamo scelto questa soluzione che in realtà sembra una magia. Sto pensando di lasciarla così».