Ackroyd, oltre che studioso della sua città (ha firmato un’alluvionale biografia della metropoli britannica, uscita anni fa da Neri Pozza e qui segnalata), è autore di romanzi storici, ed è appunto col tono del narratore che oggi ricostruisce le nuance e le variazioni che il termine queer (alla lettera: strano, bizzarro) e la relativa sessualità hanno assunto nei secoli. In un certo senso – suggerisce lo scrittore, e temo di concordare con lui – la città stessa sembra aver prodotto dal proprio interno, come per partenogenesi, il suo essere queer, cioè quel miscuglio di stramberia, eccentricità e fluidità identitaria, che fa di quella britannica una specie di capitale morale di ogni persona Lgbtqia (acronimo che sta per lesbica, gay, bisessuale, transessuale, queer, inter e asessuale).

La lettura del testo è sempre piuttosto gradevole: la lingua di Ackroyd è volutamente divulgativa ma accurata, mentre non si capisce come mai l’autore sia così approssimativo quando tocca la storia della letteratura e dell’arte, soffermandosi su opere e figure obiettivamente minori come “Il pozzo della solitudine” di Radclyffe Hall e dimenticando del tutto un caposaldo come “Orlando” di Virginia Woolf. Ed è solo uno fra i molti esempi che si potrebbero citare.