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I 92 minuti di questo documentario girato da una giovane coppia californiana sulla loro fattoria ecosostenibile sono costati otto anni di lavoro e si vedono tutti. Otto anni di fatti scelti, montati, commentati dalla voce del regista-fattore-narratore, che non smette di chiedersi dove sbagliamo per concludere che non sbagliano proprio nulla. La Natura ha i suoi tempi e sa autoregolarsi. Resuscitare un terreno inaridito mettendo su una tenuta improntata alla massima biodiversità, come insiste fino alla fine il loro consulente-guru, significa aspettare, osservare, ascoltare. Come fa Todd, il cane dagli occhi azzurri che è all’origine di questo “De Rerum Natura” post-Ogm esploso nei cinema Usa per varie buone ragioni.
Perché Chester, già cameraman e documentarista, sa raccontare, trasformando anche mosche e alberi da frutta in personaggi mentre sfiora (senza cascarci) sia Disney che il New Age. Dunque, pragmaticamente, sa tenere insieme i dilemmi del fattore e le leggi della Natura; il respiro cosmico e le rivelazioni tecnologiche (l’arrivo delle telecamere a infrarossi è un bel pezzo di cinema); il sottotesto blandamente filosofico e quel pizzico d’ironia che serve per vincere la sfida e dimostrare come sia possibile ribellarsi alla logica industriale delle monocolture per tornare alla sapienza imprevedibile della Natura (Oscar per il miglior non protagonista al gallo Greasy che va a vivere con Emma). Alla fine quello compiuto da John e da sua moglie Molly è quasi un percorso iniziatico. L’ennesimo, ben dissimulato, Viaggio dell’Eroe. Anche se questo eroe non si muove ma guarda la Natura danzare intorno a lui, con fini e ritmi sempre diversi. Ed è uno spettacolo a cui è difficile resistere.