Scorre in fretta. Si è fermato. Non esiste... I mesi scorsi hanno modificato lo scorrere delle giornate. Una lezione di immobilità e di resistenza utile anche in futuro, sostiene il grande scrittore inglese. «Per un po’ siamo sfuggiti al peso e alla linearità delle ore e abbiamo abbracciato un paradosso, come bambini per i quali l’estate è una vita»

Ora che il lockdown è finito, e la vita si è rimessa in moto, il momento può prestarsi a una riflessione sulla natura del tempo – non quello inteso come un insieme di suddivisioni della rotazione terrestre e dell’orbita della Terra attorno al Sole, ma il tempo così come noi lo percepiamo, quello che rallenta durante una emergenza, accelera quando invecchiamo o cresce quando aspettiamo, frementi di impazienza, un treno in ritardo. La pandemia ha sottoposto molti di noi a un esperimento sul tempo soggettivo. È chiaro che quando il coronavirus sarà debellato o controllato e il tempo degli orologi riaffermerà la sua predominanza, immediatamente trarremo un sospiro di sollievo. Intuiamo, tuttavia, che le cose potrebbero non tornare mai più a essere com’erano, e potremmo voler conservare qualche elemento di questo tempo alterato.

Nel caso di quelli tra noi che non svolgono un lavoro critico, che cosa è successo alla nostra percezione del tempo? Parte della risposta mi ricorda come un ex detenuto una volta descrisse i suoi venti anni in carcere: erano passati in un lampo, disse. Ora che anche noi ci troviamo a “scontare” tempo agli arresti domiciliari, possiamo tentare di capire che cosa egli intendesse. Spogliato da eventi, ogni giorno molto simile a quello successivo, il tempo si comprime e collassa su se stesso. È di nuovo venerdì, quando ieri era lunedì.
Racchiuso in ciò, tuttavia, c’è anche un elemento di valore opposto: l’esperienza durante il lockdown di come il tempo si espande e porta a una crescita esponenziale, come si usa dire ora, dell’ introspezione, del sogno ad occhi aperti, del lasciare vagare la mente, in particolare verso il passato. Kierkegaard, com’è noto, disse che la vita può essere compresa solo guardando indietro, ma che deve essere vissuta guardando avanti. Quando quel moto in avanti è negato, si rischia di cascare all’indietro nel tempo. Ci si può iniziare a chiedere, o persino a ricordare, chi uno sia e come si sta, minuto per minuto, e ritrovarsi a viaggiare nel tempo a piccoli passi, dal proprio sé a cinque anni fino alla persona che si è ora – dov’è l’“ora” si è fortemente dilatato. In esso ci si può crogiolare. È un’“ora” che si può sprecare – senza sensi di colpa. Nella sua ampiezza si può persino apprezzare quel fatto straordinario – banale ma pur sempre miracoloso – che è la propria coscienza, o avere una visione fugace di un sé essenziale fino a quel momento parzialmente oscurato dal vortice quotidiano.

Se si sospetta che la società stia attraversando un profondo cambiamento – per quanto ancora difficile da definire – leggere un libro o persino guardare la tv può apparire irrilevante o non sufficiente ad accontentarci. Si entra in una stanza per fare qualcosa e si finisce per cercare qualcos’altro. Finché non la si combatte, l’esperienza può essere illuminante. La posta non aperta si accumula sul tavolo della cucina, e non è tanto la pigrizia quanto l’immobilità a impedirci di evaderla. Quando il tempo che abbiamo davanti si dilata in tal modo, perché fare oggi quel che si potrebbe fare il mese prossimo?

Gli anestesisti, gli operatori sanitari e i tanti altri che svolgono lavori critici sono rimasti al guinzaglio del tempo. Le persone in lutto, in particolare, soffrono per un crudele senso del tempo perduto o troncato. Più benignamente, mio ??figlio minore e mia nuora lavorano da casa e si prendono cura del loro vivace bambino di due anni e mezzo. Si occupano di lui a turni e hanno stabilito un programma giornaliero suddiviso per mezze ore: ore 9,00 fare unicorni con papà; ore 14, 00 creare maschere da supereroe con la mamma.
Per tutti noi altri, la cui corsia principale dell’esistenza è stata deviata verso una laterale, questo tempo non ha avuto né programmi né calendari. Ora l’episodio sembra andare verso la sua conclusione. La vita di prima, con i suoi doveri e i suoi molti piaceri, riavrà le sue etichette con data e ora, ma nella sostanza sarà un’altra. Davanti a noi abbiamo enormi problemi economici da affrontare e, forse, opportunità. Ci occorreranno nuove risorse. I fisici ci dicono che il ritmo del flusso del tempo è una funzione della forza di un campo gravitazionale. Per un po’ siamo sfuggiti al peso e alla linearità del tempo e abbiamo abbracciato un paradosso, come bambini che giocano e per i quali l’estate è una vita – che poi passa in un attimo. La mia speranza è che da questa tragedia estesa ricaveremo una memoria e una lezione di atemporalità e di immobilità. Potrebbero esserci utili in tempi turbolenti più in là.


© Ian McEwan 2020
First broadcasted on BBC Radio 4
Reproduced by permission of the author c/o Rogers, Coleridge & White Ltd., 20 Powis Mews, London W11 1JN, UK
(Traduzione di Marina Parada)


Ian McEwan, scrittore e sceneggiatore, è uno degli autori contemporanei più amati dai lettori. Tra i suoi romanzi più noti “Il giardino di cemento”, “Bambini nel tempo”, “L’amore fatale”, “Espiazione”, “Macchine come me” sull’intelligenza artificiale. Il suo ultimo libro, “Lo Scarafaggio”, dissacra la figura del primo ministro inglese. In Italia è pubblicato da Einaudi.

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