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Cultura
marzo, 2021

La via araba allo yoga inizia mille anni fa e finisce in Palestina

Il manuale fondamentale sulle asana? La prima traduzione è nata nel mondo islamico. E viene riscoperta ora. Mentre una giovane di Ramallah fa lezione online e conquista migliaia di follower. Dalla newsletter dell’Espresso sulla galassia culturale araba

La voce è dolcissima, suadente, il corpo flessibile ma aggraziato, i movimenti sembrano senza sforzo. La ragazza bruna non smette mai di parlare: mentre spiega le posizioni, mentre fa vedere come realizzarle, poi mentre tiene l'asana, e per tutta la durata della lezione. Anche per chi capisce a stento qualche parola è un'esperienza piacevole, preziosa. Non per niente il canale Youtube shadanayoga.com, nato a Ramallah con l'intento di «offrire al mondo arabo strumenti che permettono a ogni persona di vivere una vita più sana e più felice» ha oltre 370mila iscritti.

 

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Una lezione di yoga in arabo: è un regalo di una ricerca sul web su queste due parole che non pensavo avessero molto in comune. Mi sbagliavo: sulla galassia araba c'è sempre qualcosa da imparare. Per esempio, che sono stati gli arabi a portare per primi lo yoga fuori dall'India. Anche se, a quanto pare, nessuno ci ha fatto molto caso. La pratica di quelli che ancora nell'ottocento erano chiamati “fachiri” e considerati fenomeni da baraccone si è diffusa nel mondo nel secolo scorso, e la moda vera e propria è iniziata solo negli anni Sessanta: L'Espresso ha dedicato molte pagine di quelle che erano ancora in “formato lenzuolo” ad articoli di Camilla Cederna sulla strana invasione di yogi e asana nei salotti milanesi.

Eppure lo yoga era arrivato già da tempo sulle coste del Mediterraneo. Grazie a una antica traduzione di quella che è considerata la Bibbia dello disciplina: la raccolta dei Sutra di Patanjali. Scritto in un momento imprecisato tra il II secolo avanti Cristo e il quinto dopo Cristo, il testo sanscrito è stato tradotto in arabo già nell'Undicesimo secolo. Non è una traduzione letterale ma una ricostruzione, che traduce i concetti, li commenta e li inquadra in una struttura a domande e risposte che ricorda i dialoghi platonici. Ne esiste un solo manoscritto, realizzato a Shiraz, in Persia, e conservato nella biblioteca Koprulu di Istanbul.

A firmare la versione araba del “Libro dell'indiano Patanjali sulla liberazione dalle afflizioni” è stato un intellettuale finissimo, Biruni: astronomo, storico e matematico afgano, proveniente dalla Transoxiana come Avicenna e Al-Khwarazmi, considerato l'inventore dell'algebra, Muhammad bin Ahmad Biruni ha scritto e tradotto moltissimo. Tra le sue opere più importanti, “India”, un “Canone della forma dell'universo e delle stelle” e “Domande e risposte”, con le questioni poste ad Avicenna riguardo alla sua traduzione di Aristotele.

Il lavoro di Biruni è stato tradotto in tedesco nel 1956 e poi dimenticato: la versione è tornata alla luce in questi giorni grazie a una pubblicazione nella Library of Arabic Literature della New York University Press. Il volume, curato da Mario Kozah, offre un inquadramento storico molto accurato e la traduzione in inglese. Per chi conosce l'arabo, la versione originale è disponibile gratuitamente online, sul sito della casa editrice.

La traduzione di Biruni apre una nuova finestra sull'interesse per culture e alle religioni diverse da parte degli arabi durante quello che in Europa era il medioevo. Oggi quell'apertura è difficilmente immaginabile: da una parte il leader indiano Modi che spinge per nazionalizzare lo yoga, per farne una cosa esclusivamente “indiana e indù”; dall'altra i dubbi sulla possibilità di conciliare la pratica delle asana e il loro inquadramento spirituale con la devozione di un buon musulmano. Del resto già Biruni, dopo aver esposto l'opera di Patanjiali con grande rispetto, nella conclusione sottolinea che la sua versione si propone di offrire materiale di prima mano a chi voglia confutare le credenze religiose degli indù.

Erano dubbi che si sono posti – e a volte ancora si pongono - anche i cristiani europei: ne discuteva già il belga André Van Lisbeth in uno dei primi (e ancora ottimi) manuali di yoga occidentali, “Imparo lo Yoga”. Anche la giovane yogi palestinese prevede di dover affrontare la diffidenza di chi «teme che lo yoga sia legato ad una diversa religione». Ma si propone di risolverlo con l'aiuto delle donne che vivono nei campi profughi: «Insieme a loro gireremo un video per mostrare persone di fedi diverse che parlano dei benefici che la pratica dello yoga ha anche sulla loro fede».

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