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Cultura
maggio, 2021

Abbraccio

Pur di non fare due persone separate ne facciamo un paio altrettanto scompagnate che vivono la stessa superficie e dividono a metà la terra sotto i piedi

Non è forse beffarda coincidenza che quando due persone si abbracciano sono ognuno dove sta l’altro? No, non può essere. L’affetto provoca l’usurpazione dello spazio dell’afflitto, che poi è chi riceve la carezza sulla spalla o il bacio traditore sulle labbra. Dietro l’amore c’è la profanazione del suolo pubblico. Nel momento in cui mi abbracci sei pressappoco dove sono io, di tanto universo, di tanta infinità, nascondi dietro l’effusione la menzogna che ti scopre il fianco: non essere altrove ma grossomodo dove non potresti.

 

Forse mi hai spiato, forse ci siamo dati appuntamento, ma ogni volta che ti avvinghio mi domando com’è possibile che tu sia puntualmente ove mi arrabatto. Era così necessario? Pur di amarci siamo disposti a fare la metà, a smezzare un cantuccio già angusto per uno. E se spartiamo anche i momenti, cosa poi ci raccontiamo? Se adocchiamo lo stesso film, lo stesso quadro, la medesima fanfara, di che parliamo a sera? Di quello che l’altro già conosce? La noia comprime anche le croste più compatte. Per condividere tutto siamo a corto di argomenti, per stare insieme non ci stiamo più. Come sarebbe conveniente vedere ciascuno il suo poliziesco, la sua mostra, la sua basilica per poi a sera mescolare conoscenze personali e costruire due individui migliori. Invece sacrifichiamo al tempo un singolo inferiore che si sdoppia invano, ma non è affatto interessato a quel che l’altro dice perché già lo sa.

 

L’abitudine tortuosa di vivere emozioni equivalenti porta l’umanità alla perdita del sorriso, della curiosità, del mistero. Frammentare quando non è sufficiente nemmeno l’intero, frazionare in nome dell’amore scellerato, affretta l’imposizione del silenzio. Stiamo insieme perché abbiamo paura di restare soli. E pur di non fare due persone separate ne facciamo un paio altrettanto scompagnate che vivono la stessa superficie. Ormai non ci si guarda altro che abbracci, non sei più nel mio spazio né io nel tuo. Potresti andare via e vorrei farlo io. Ma nessuno lo fa, ci si abitua a tutto, anche allo sbaraglio.

 

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10/5/2021

Un giorno quando ci sveglieremo sarà tardi. Piangeremo sulla spalla dell’altro per non aver capito che due infelici sono peggio di uno. E quell’uno è migliore di noi, è selettivo, la sera non si racconta nulla, non è obbligato a farlo, omertà in assenza di suono. Oppure pensa a voce bassa. Il limite dello stare insieme è proprio nella distribuzione delle immagini. E tutto poi straripa nel comportamento infausto: fare a metà della terra sotto i piedi. Neanche uno dei due amanti s’insospettisce nel ravvisare che chi ti abbranchia è proprio lì, dove tu sei: di tanto posto in terra, di tanta latitudine dove mi vai ad avviluppare? Dove annaspo io, tirando me dove sei tu, disadatti a vivere a distanza, insicuri nella cancrena che ci unisce e che suggella la necrosi di due corpi che si stringono, fino a morire l’uno nell’estensione dell’altro, a marcire quello nell’ammuffire del primo, e a macerarsi nell’acquetta che impaluda tra le carni sfatte.

 

Meglio soli che morti. Meglio morti che in coppia. Meglio soli che appaiati dal tempo, cecchino dell’impulso, pistolero e giustiziere dello spazio vitale. O forse meglio soli che insieme a chi sta con te solo perché tu in quel momento sei lì: perché se te ne vai stai pur sicuro che l’altro non ci viene ad abbracciarti dove non ci sei, non lo diletta avviarsi dove non ti trova. Gli interessi tu nel momento in cui occupi il vuoto a lui negato. E ti è vicino per difetto, nonostante quest’appiccicume, non riesce a sovrapporsi, chi ti ama non sarà mai precisamente dove sei, può accontentarsi dei paraggi, dei centimetri imminenti. E ciò è ambiguo perché se mi volessi bene mi ameresti a interstizio.

 

Tu non ami me, ami dove sono io, aspiri alla mia zona, se fai l’amore è per essere vicino a dove sto, anche disteso, anche carponi, se mi ti metti dietro è perché vorresti essere davanti e non per farti amare, ma per amare dove ti amo io e farmi amare dove mi ami tu. E io mi faccio affine, allacciato come naufrago alla boa e geloso della tua roccaforte. Ecco cosa sono gli amanti, persone incapaci a essere esattamente dove è l’altro ma costrette a vivere ai margini della perfezione: che è quella dove mai saremo. E via dicendo fino a generare nuovi amori buoni solo da lontano.

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