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Cultura
luglio, 2021

Giovane stil novo, la carica dei nuovi italiani

Dai Maneskin ai ragazzi di Mancini, dall’arte alla lirica al cinema. Cittadini del mondo, rappresentano una generazione che non ha politici né narratori

Con sfrontatezza: come una band di rockettari, impavidi e coi lividi sui gomiti, che dalle vie di Roma dà l’assalto all’Eurovision Song, lo vince, e svetta al primo posto al mondo di Spotify. 

Senza paura: come un ragazzo di venticinque anni che, primo italiano a Wimbledon, combatte sino all’ultimo per il trofeo, con uno stile e una potenza che conquistano il mondo del tennis. 

Con la contagiosa simpatia di un film di animazione che, tra un giro in Vespa e un gelato, guida la riscossa del turismo in Italia, a partire dai borghi colorati delle Cinque terre. 

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Con la grinta, il furore, la magia della nazionale di calcio: it’s coming Rome, la coppa non è rimasta a casa (loro), ma è tornata nella Capitale. Ed è tornata anche quell’Italia che il mondo ama, ispira e fa tendenza. Anzi, era già sotto gli occhi di molti: gli azzurri, espugnando Wembley e addensando in una notte la nazione intorno al tricolore, l’hanno certificata e rilanciata nel mondo intero. Ribaltando uno stato d’animo collettivo. E rinnovando l’immagine di un made in Italy inconfondibile e nuovo al tempo stesso.

Visionario, non a caso, è l’aggettivo più usato per descrivere la fiducia del ct Roberto Mancini verso i suoi ragazzi. Stile profetico e persino mistico, tradizione agiografica reinterpretata nei campi più diversi da emblemi di contemporaneità assoluta: Alessandro Michele di Gucci, astro dello stile delle celebrità di ogni latitudine; Cecilia Alemani, mente dell’High Line Art di New York, tra le curatrici più influenti al mondo; Beatrice Rana, la ventottenne pianista salentina che ha conquistato le più prestigiose sale da concerto.

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Stile spigliatissimo, come quello di Matilda De Angelis, la giovane attrice che in “The Undoing” tiene testa a Nicole Kidman. Con la faccia cattiva e talentuosa di Marco D’Amore e Salvatore Esposito, gli antieroi di “Gomorra” che calamitano il mercato americano della serialità tv. E pure con la grinta romagnola di una veterana dei palchi, Laura Pausini, che però, vincendo il Golden Globe e dedicandolo alla sua Italia, ha scosso via per prima la polvere dalla rinascita nazionale. E la passione per l’Italia, ora, corre, accumula segnali concreti, non solo retaggi di vecchie glorie.

E sono i più giovani, smarcandosi da mesi di restrizioni, ad andare dritti al sogno per prenderselo: senza indugiare su quanto questi “cinque anni in uno”, come sostiene Alessandro Baricco, ci abbiano sottratto. L’Italia dei ragazzi fragili ma protesi oltre il buio, ritratti da “Futura”, l’inchiesta di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher, portata alla Quinzaine des Réalisateurs. Quella rappresentata dalla regista Maura Delpero, che sempre a Cannes vince, prima autrice italiana, lo Young Talent Award di Women in Motion dopo aver conquistato, con “Maternal”, la critica di mezzo mondo.

L’Italia dei giovani che finalmente padroneggiano l’inglese come mai nessuna generazione prima. E degli adolescenti pazzi per Harry Styles, ex membro della band One Direction: che prima li inorgoglisce annunciando di aver cominciato a studiare l’italiano, la lingua più bella del mondo; poi ambienta “Golden” in Costiera amalfitana, ed elogia di continuo l’Italia. E, come lui, una sfilza di influencer europei e americani che sognano, seguono, diffondono sui social, a colpi di hashtag, l’italian style. Involontaria, spontanea rimonta di un’identità che, fuori dalla politica, senza uno storytelling programmato, a dispetto persino di egoismi da boomer e miopie partitiche, si fa strada e si impone.

 

Ce lo riconoscono le testate straniere. The New York Times: la vittoria calcistica fa da eco a un più diffuso rinascimento italiano (“Italy’s Victory at Euro 2020 Echoes a Broader Resurgence”). “Torna la Dolce Vita”, titola in prima pagina il Frankfurter Allgemeine Zeitung, celebrando la ritrovata libertà e il gusto di stare insieme, all’aperto, per l’aperitivo. E il quotidiano El País nota come lo stile calcistico così alegre y ofensivo sia la dimostrazione del neostato d’animo del Paese. Dove all’improvviso si legge persino di più, come annunciano per la prima volta dopo molti anni i dati Aie: con un incremento delle vendite, nei primi sei mesi del 2021, che aggiunge 15 milioni di copie di libri a stampa in più rispetto al 2020 (+44 per cento), per un incremento che vale 207 milioni di euro. E non c’è soltanto Elena Ferrante a trainare il turismo letterario verso l’Italia: Stefania Auci, 700 mila copie vendute in Italia, sta conquistando l’estero con “I Leoni di Sicilia”. Dopo l’editore De Bezige Bij che per primo l’ha pubblicato in Olanda, dopo gli spagnoli di Grijalbo e gli americani di HarperCollins, il volume è sbarcato in Israele, in Germania, in Portogallo, in Francia: con splendide recensioni all’unica italiana in classifica.

Racconto di un’Italia fatta di passioni e valori forti. E del piacere di cose semplici, di un’infanzia che ci accomuna. Proprio come quelle vacanze in Liguria trascorse da bambino dal regista Enrico Casarosa, che ritornano nel film “Luca”, da lui diretto per Disney e Pixar: una favola in un’immaginaria Portorosso, e in un’Italia anni Cinquanta-Sessanta, dove due ragazzini, Luca e Alberto, scorrazzano a bordo di una Vespa - proprio mentre lo scooter celebra 75 anni - tenendo ben stretto il segreto della loro amicizia: un’identità da mostri marini. Allegoria di una diversità e di una relazione sentimentale, forse, che di certo fa tornare in mente il libro di André Aciman e il film di un altro Luca, il regista Guadagnino di “Chiamami col tuo nome”, ambientato nel Nord Italia. Un dubbio lecito, in un Paese sì dai colori caldi e saturi, borghi incantati che affiorano direttamente dal mare, biciclettate tra i carrugi, e quel gusto un po’ vintage che tanto piace all’estero, ma che di strada ne ha fatta, coi suoi ragazzi in piazza a sostegno dell’inclusione, contro le discriminazioni, per i diritti di tutti.

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Potenzialmente formidabile l’effetto marketing di “Luca”. Colta al volo a Monterosso, dove due statue subacquee con le sembianze dei protagonisti sono state collocate nei fondali, ad attrarre patiti di snorkeling e di Disney. «Grazie ragazzi, sul tetto d’Europa, insieme!», esulta non a caso la produzione di “Luca”, all’indomani della vittoria azzurra. Perché questa Italia vincente, «ribelle, grintosa e talentuosa» come la addita The Guardian, significa soldi, non solo pioggia di coriandoli nella notte di Euro2020, lacrime liberatorie e fiumi di retorica. Quanto pesa l’ottimismo? Dodici miliardi euro di Pil in più, ha previsto subito Coldiretti. E il presidente della Figc, Gabriele Gravina, l’ha ripetuto a Mario Draghi: «Tutte le maggiori ricerche stimano l’impatto della vittoria calcistica nello 0,7 per cento del Pil».

S’è desta, l’Italia, assieme al suo inno sul campo di calcio. L’Italia degli italiani che si riconoscono lontano un miglio, strapaese che però oggi rivendica persino gli stereotipi, capace come mai prima di anestetizzarne le velenosità, con ironia: italiani mammoni? «Ciao, mamma», salutano uno dopo l’altro gli azzurri. E giù le mani dall’ananas sulla pizza, guai a chi tocca gli spaghetti per sfottò: conviene più all’influencer belga incollarli, che cuocerli spezzati e rosolare sui social.

Perché è l’Italia che sa ridere, che si diverte, con l’aria scanzonata di quel Khaby Lame, che con video senza voce si ritrova ad essere il secondo account più seguito al mondo di Tik Tok. «Divertitevi», ammoniscono a inizio partita i commentatori tv, come se davvero contasse solo quello; «Avete fatto divertire tutta l’Italia», ripete il presidente Mattarella che per gli azzurri fa ciò che non concede a nessuno: lasciarsi andare, all’esultanza, ai sorrisi, al romanesco. L’Italia degli infiniti meme, dello sberleffo che diventa arte: come quel coro da stadio, “Poo-po-popopopooò”, geniale appropriazione e adattamento del riff di “Seven Nation Army” dei White Stripes, che tutti vogliono ora fare proprio, come inno globale di vittoria.

L’Italia del talento dei singoli: Vittorio Grigolo, per il Metropolitan di New York il nuovo Pavarotti; Jorit, street-artist campano tra i più apprezzati al mondo; Daniel Blanga Gubbay, che dopo gli studi a Venezia ha viaggiato per Palermo, Valencia, Berlino, ed è codirettore del Kustenfestival des Arts di Bruxelles; il drammaturgo Davide Carnevali, le cui opere sono messe in scena a Nancy, Barcellona, Berlino; la violinista Francesca Dego; gli sportivi vincenti di oggi ma anche quelli che ci hanno fatto sognare poche settimane fa: il diciannovenne Jannik Sinner, tra i migliori tennisti under 20 del mondo, il torinese Lorenzo Sonego-Guerriero Sonny, Lorenzo Musetti, la nazionale di basket, la nuotatrice Benedetta Pialto, le atlete Gaia Sabbatini, Dalia Kaddari, Nadia Battocletti e tutti gli altri sul podio più alto agli Europei di atletica under 23 di Tallinn.

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Perché è la forza del gruppo, dell’amicizia esibita, e convintamente riconosciuta, che torna a circolare: quella che interpretano sul palco e nella vita Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan dei Maneskin. Che si parlano con gli occhi e col loro seducente impasto di malinconia e combattività emozionano, trascinano in Italia, dopo 31 anni, grazie alla loro vittoria, il prossimo Eurovision, collezionano 7 milioni e mezzo di stream in sole 24 ore (“Beggin”). Ed esplodono sui palchi per gridare che l’amore non è mai sbagliato, come ha fatto Damiano in Polonia. O danno lezione di sportività, come Matteo Berrettini, che trattiene le reazioni in campo, e ringrazia e sorride dopo la sconfitta, entrando nel cuore di tutti. Civiltà di questa Italia che sul campo di calcio smaschera l’ormai morto e sepolto british style. E ribadisce la convinzione dello sport, ben prima che la pandemia lo ricordasse a tutti, dell’importanza del gioco di squadra: persino Nanni Moretti l’ha dovuto accettare, facendo un passo indietro – nelle battute, nelle apparizioni, nell’egocentrismo - a vantaggio del cast di “Tre piani”, il film che ha conquistato Cannes con lunghissimi minuti di applausi.

Si spezza il maleficio, ultrà del tricolore escono allo scoperto da tutto il mondo. Questa Italia, sempre in bilico tra futuro e nostalgia, tra enfasi e disfattismo, riconquista il suo carisma. “Zitti e buoni” ai suoi ragazzi non deve dirlo più.
 

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