La vecchia madre non ci vede quasi più. Quando apre la porta del seminterrato prima appaiono le sue dita, poi il viso. Quel figlio che non vedeva da quarant’anni quasi non lo riconosce. Eppure lui è venuto fin lì per lei. Per lei, per la sua adolescenza perduta, per quel Rione Sanità da cui fuggì a 15 anni, complice involontario di un delitto impunito. Quarant’anni in Africa e in Medio Oriente, dove ha fatto fortuna, lo hanno trasformato. Ora Felice (stupefacente Pierfrancesco Favino) parla e si muove come un arabo ma deve fare mille cose. Ritrovare quella città di mare e di catacombe. Occuparsi della madre (meravigliosa Aurora Quattrocchi), darle una nuova casa, accudirla (scene memorabili). Soprattutto deve vedere Oreste, l’amico perduto (un inquietante Tommaso Ragno). Oreste che da ragazzo uccise un uomo e oggi è uno dei boss più temuti della Sanità, nascosto chissà dove come un minotauro nel labirinto.
Il pericolo è evidente. Gli avvertimenti, amichevoli e non, sono chiarissimi. Ma Felice coltiva un rimorso che stinge in vergogna, e non molla.
Come ne “L’amore molesto “ (citato nelle musiche in apertura), in “Nostalgia” c’è un mistero sepolto, un destino sospeso, una colpa da riconoscere. Ma se in quel film tutto al femminile colpa significava corpo e desiderio, qui comandano crimine e violenza (o desiderio sublimato in violenza). Così Martone pedina i suoi amici-nemici, un po’ Caino e Abele, un po’ Castore e Polluce, fino a estrarre dal trascinante romanzo postumo di Ermanno Rea un film-ragnatela, tutto girato dal vero e letteralmente riscritto addosso ai corpi e ai luoghi di quella città dentro la città. Fondendo con arte suprema esterno e interno, testimonianza e metafora.
Pensiamo al capitolo sulla madre ritrovata. Agli incontri con gli abitanti del Rione, organizzati dal prete anticamorra Don Luigi (l’elettrico Francesco Di Leva, volto-chiave della scena napoletana), che guardano quel figliol prodigo come un alieno. All’ostinata ingenuità con cui Felice cerca i segni di una nuova vita. Ma anche all’uso magistrale degli spazi, strade, scorci, strapiombi, scalinate, con cui Martone scolpisce un labirinto che alla fine non è più Napoli, non è la Sanità, è un quadro di Escher, un trompe l’oeil. Un luogo mentale in cui ognuno di noi può credere di ritrovarsi solo per smarrirsi più a fondo.
“Nostalgia”
di Mario Martone
Italia-Francia. 118’