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Cultura
gennaio, 2023

Un bel mattino e la serenità del dolore

Il padre si ammala, la figlia entra in crisi. Eppure la famiglia trova un nuovo equilibrio. Il film autobiografico di Mia Hansen-Løve

Certi film fanno disperare. “Un bel mattino” è così equilibrato, intelligente, apparentemente sereno, che ci si chiede: possibile? È mai possibile affrontare la malattia neurodegenerativa di un padre, il dolore e l’affanno che investono la sua primogenita, la vita che nonostante tutto va avanti, con tanta composta eleganza? Si può imporre a una materia così bruciante una grazia quasi mozartiana per sottolineare ciò che un’esperienza simile dona, malgrado tutto, lasciando ai margini tutto ciò che toglie?

Possibile, anche se l’esercizio non è senza rischi. La franco-danese Mia Hansen-Løve, 40 anni e 8 film, non è nuova a queste imprese, sempre semi-autobiografiche (come “Il padre dei miei figli”, dedicato al produttore suicida Humbert Balsan) e ha il merito di giocare a carte scoperte. Del padre, professore di filosofia franco-austriaco (un luminoso Pascal Greggory, già volto di Rohmer e Chéreau), sapremo solo l’essenziale e poco per volta, in un crescendo impeccabile anche se non imprevedibile, culminante nella scoperta di una sorta di diario, opera del vero padre della regista.

Il centro del film non è infatti lui ma lei, la primogenita, una Léa Seydoux de-glamourizzata e molto acqua e sapone malgrado un paio di nudi perentori. Sono le sue giornate, divise tra il lavoro d’interprete e la figlia bambina, a scandire il film, ancor più che le visite a quel padre che passa dalla sua casa piena di libri a ospedali e case di riposo. È suo insomma il tempo del film, dentro cui, accanto al dolore per il genitore quasi cieco si affaccia un vecchio amico che diventa un nuovo amore (Melvil Poupaud). Con tutti gli slanci e i dubbi, i languori e le difficoltà (l’amico è sposato), che il nuovo amore porta con sé. Ma sempre con una misura, una “clarté” così francesi da fare un po’ disperare, appunto.

Qua e là si vorrebbe qualche dissonanza in più a ricordare le bruttezze del mondo, le sue ingiustizie, le difficoltà economiche e morali (cui accenna, con ironia, quella madre militante di Extinction Rebellion, la borghesissima Nicole Garcia). Ma Hansen-Løve lo sa bene, così lascia che la Seydoux venga rimproverata. Magari da un’infermiera che le consiglia di accudire lei stessa il padre in bagno, vincendo vergogna e repulsione. O dalla figlia che le rinfaccia di disprezzare puntualmente i film che lei ama. Anche se alla fine, come dubitarne, conta solo la memoria, il passaggio del testimone, l’amata biblioteca paterna smembrata e divisa fra i suoi ex allievi.

 

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ENTUSIASTI
Romanzo russo, produzione francese, regista italiano. “Le vele scarlatte” di Pietro Marcello sorprende e prova che possiamo esportare talenti. Chi aveva amato “Martin Eden” o “Bella e perduta” esulta. Ma se uno dei nostri migliori giovani autori va a lavorare in Francia, forse qui qualcosa non va.

 

PERPLESSI
Cinema d’autore, una prece. Alzi la mano chi è riuscito a vedere “Fairytale”, “Godland” o “Saint-Omer”. Poche sale, teniture lampo, visibilità quasi nulla. Ogni Natale allarga la forbice fra titoli “forti” e film-meteora. Eppure basterebbe tenerli in sala più a lungo. Continuiamo così e ci vorrà il Wwf.

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