E adesso tocca a Roma. Inizia mercoledì 18 ottobre la Festa del Cinema, che andrà avanti fino a domenica 29 nelle sale del Parco della Musica. Una kermesse dal programma sconfinato (lo trovate qui) nel quale ho scelto i film più interessanti tra quelli legati in qualche modo alla galassia culturale araboislamica: a partire dalla dedica a Giuliano Montaldo, che tra i tanti suoi film ha portato sul grande schermo anche “Tempo di uccidere”, dal romanzo di Ennio Flaiano che è stato uno dei primi atti d’accusa contro il colonialismo italiano.
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Cominciamo da uno dei miei registi preferiti, il brasiliano Karim Aïnouz. Il regista di “La vita invisibile di Eurídice Gusmão”, dopo aver cercato le sue radici algerine con “Marinheiro das Montanhas” e “Nardies A.”, debutta in con un dramma storico presentato in concorso all’ultimo festival di Cannes. “Firebrand” è un ritratto di Catherine Parr, sesta e definitiva moglie di Enrico VIII: che non solo non fu né ripudiata né giustiziata, ma fu nominata reggente quando il re era in guerra, e fece da madre ai figli delle mogli precedenti, compresa la futura regina Elisabetta I. Con Alicia Vikander e Jude Law.
Ho una passione anche per Isabel Coixet, spagnola che sceglie sempre storie forti e personaggi intensi (“La vita segreta delle parole”). In “Un amor”, dal romanzo inquietante di Sara Mesa (in italiano per La Nuova Frontiera) racconta la storia di una traduttrice che esaurita da un lavoro che la porta a tradurre le tragiche vicende di donne immigrate, molla tutto e si trasferisce in un paesino: ma sarà lei a inserirsi in uno scenario da incubo che sembra una variazione sulle storie che traduce.
Come spesso succede, sono legati all’Iran e alla sua diaspora diversi film interessanti. “Ashil”, opera prima di Farhad Delaram, si ispira alla sua storia di perseguitato politico per un “road movie” che segue una coppia in fuga verso la Turchia: un ex cineasta e una prigioniera politica che ha passato anni rinchiusa in un ospedale psichiatrico. “The Persian Version” di Maryam Keshavarz, presentato con successo all’ultimo Sundance, trasforma in commedia i contrasti familiari di una cineasta newyorkese decisa a raccontare in un film la sua caotica famiglia di origine iraniana
Torniamo nell’Europa con “Avant quel es flammes ne s’eteignent” di Mehdi Fikri, dolente noir «basato sulla reale battaglia di molte famiglie», ambientato in un quartiere di immigrati di Strasburgo. Entriamo in un condominio borghese di Berlino, messo in crisi dalla vendita di tanti appartamenti, con “Black box”, girato dalla turco-tedesca Asli Özge e prodotto dai fratelli Dardenne. “Comme un fils” di Nicolas Boukhrief mette in scena il rapporto tra un professore francese che ha rinunciato a insegnare (Vincent Lindon) e un ladruncolo rom, che si incontrano “grazie” a una rapina fallita e, malgrado gli scontri, si cambiano la vita a vicenda. “Fremont” invece è una città degli Stati Uniti chiamata “Little Kabul” per la quantità di rifugiati afgani: il regista Babak Jalali, insieme alla co-sceneggiatrice Carolina Cavalli (la regista di “Amanda”, del quale Jalali ha curato il montaggio), ritrae una comunità piena di difficoltà ma anche di calore.
Dei tanti film italiani presentati alla Festa non ce n’è nessuno che tocchi temi vicini a questa newsletter: nemmeno “Nuovo Olimpo” di Ferzan Ozpetek, racconto semiautobiografico del rapporto d’amore intermittente tra Enea e Pietro, dagli anni Settanta a oggi. Daniele Vicari però dedica un bio-pic al nigeriano Fela Kuti, leggenda della musica mondiale: alla base del documentario, i materiali girati da Michele Avantario, videomaker morto nel 2003, che avrebbe voluto girare un film su di Kuti. Ci sono gli U2 invece al centro di “Kiss the future” di Nenad Čičin-Šain: che ricostruisce con interviste e materiali d’archivio la storia dell’assedio di Sarajevo partendo dal concerto del 23 settembre 1997. Il titolo è un omaggio al grido di Bono dal palco: «Viva Sarajevo! Fuck The Past! Kiss The Future!».