La regista Sehiri firma una storia di spietata dolcezza su un giornodi raccolta nel sud della Tunisia

Ci sono film che sembrano riportarci alle origini. Le nostre origini, e quelle del cinema. Assuefatti ormai a immagini che dilatano, frammentano, moltiplicano, trasfigurano la nostra percezione del mondo, finiamo per dimenticare che il cinema è stato a lungo e prima di tutto un’arte della presenza. Un linguaggio mascherato da pura apparenza (la “lingua della realtà” di Pier Paolo Pasolini) fatto per restituire luce, peso, consistenza (e risonanza simbolica ovviamente) al visibile.

Ogni tanto però, per fortuna, quella antica sapienza riaffiora in un film, più o meno “esotico”, capace di mostrarci lo splendore del vero puntando quasi sempre su un numero limitato di elementi.

Come succede in questa seconda regia di Erige Sehiri, tunisina cresciuta nelle banlieue francesi per poi costruirsi, passando per mille lavori diversi, un futuro da cineasta fra gli Stati Uniti, il Canada e Gerusalemme, prima di rimpatriare precipitosamente ai tempi delle primavere arabe. Per scoprire, guardando anche al cinema del primo Abdellatif Kechiche (“Tutta colpa di Voltaire”, “La schivata”) quanto c’era da raccontare nel suo Paese. A condizione di scovare la dimensione intima nascosta dentro i gesti e le abitudini quotidiane.

Ed ecco questo film dolce e rugoso come i frutti e le foglie sotto cui è stato girato (il titolo originale suona “Sotto gli alberi di fico”), cronaca trasognata e vibrante di un giorno di raccolta in un frutteto nel Sud della Tunisia. Con le parole delle lavoratrici, quasi tutte giovanissime e assunte a giornata, e dei non molti maschi impegnati accanto a loro, che si intrecciano e si confondono nella luce filtrata dai rami. In un flusso continuo che insieme ai gesti pazienti e precisi del lavoro (ci sono regole, divieti, multe, grandi e piccoli abusi di potere…) trasporta come un fiume i materiali più disparati.

I sogni d’amore e le ripicche, il desiderio e la gelosia, la molestia sessuale e i tanti progetti di un futuro diverso. Perché la regione è isolata, la cultura tradizionale, lo sfruttamento garantito, ma sui social quelle ragazze col capo coperto si mostrano probabilmente anche senza veli. E la saggezza delle anziane, le loro canzoni antiche e struggenti (pare che sul set piangessero tutti, anche i tecnici), la maturità precoce di quelle lavoratrici e di quei lavoratori così giovani, non basterà a frenare una voglia di cambiamento che la 40enne Sehiri cattura con la spietata dolcezza di cui solo certe registe, soprattutto nel Sud del mondo, oggi sembrano capaci. In sala dal 23 marzo.

Il frutto della tarda estate
di Erige Sehiri
Tunisia, Francia,
Germania, Svizzera, Qatar, 90’

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AZIONE! E STOP

 

Parte in quarta “L’ultima notte di Amore”. Il potente thriller milanese di Andrea Di Stefano con Pierfrancesco Favino è il secondo incasso del weekend. Un successo più che meritato costruito a colpi di tensione drammatica, spessore esistenziale, azione e cast superbi. Ricorre il commento “non sembra un film italiano”. Nulla da chiedersi?

 

David di Donatello, ultimata la votazione le candidature saranno annunciate il 30 marzo. Intanto si scopre che circa un terzo dei concorrenti sono opere prime. O viviamo una stagione meravigliosa di rinascita, o c’è chi approfitta dei sostegni agli esordi senza pensare troppo al destino di tutti questi esordienti.

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