Cultura
2 dicembre, 2025Il regista iraniano, Palma d’oro a Cannes per “Un semplice incidente”, è stato giudicato colpevole in contumacia. Un anno di reclusione per propaganda contro il governo. L'ennesimo atto di persecuzione da parte del regime
Jafar Panahi, il regista perseguitato
«Ai registi indipendenti in Iran e nel mondo»: Jafar Panahi dedica alla libertà e all’indipendenza del cinema il primo dei tre premi ricevuti nella notte newyorchese del 1° dicembre, ai Gotham Awards. Il suo ultimo film, “Un semplice incidente”, vince per la miglior sceneggiatura, il miglior film internazionale e il miglior regista, aprendo ufficialmente la sua corsa agli Oscar 2026 (cui concorrerà per la Francia). Nelle stesse ore viene reso noto che il governo iraniano, per lo stesso film, ha condannato Panahi in contumacia a un anno di carcere e due anni di divieto di espatrio. L’accusa è attività di propaganda contro il Paese.
Per Panahi non si tratta del primo scontro con il regime. Sempre con l’accusa di di propaganda contro il governo, era stato arrestato - e rinchiuso nel carcere di Evin - l’ultima volta l’11 luglio 2022, poche settimane prima della presentazione di "Gli orsi non esistono" alla Mostra di Venezia. Venne poi scarcerato su cauzione, e dopo una forte pressione del mondo del cinema, il successivo 3 febbraio, nonostante una condanna a sei anni di reclusione.
Ancor prima, nel marzo 2010, era stato arrestato insieme alla moglie e alla figlia, per aver partecipato ai movimenti di protesta contro il regime. Fu liberato due mesi dopo, su cauzione, ma con il divieto di lasciare il Paese e di dirigere film o scrivere sceneggiature per due decenni. Quest’ultimo divieto è ormai decaduto, per decisione del Tribunale rivoluzionario di Teheran, ma Panahi non ha comunque mai avuto intenzione di rispettarlo. Dal 2011 ha sempre girato senza il permesso ufficiale del governo, per preservare la propria indipendenza creativa dalle ingerenze governative. Ha fatto cioè del suo cinema un atto di resistenza. Insieme al regista Mohammad Rasoulof (“Il seme del fico sacro”) è diventato un punto di riferimento della lotta politica iraniana attraverso l’arte e ha continuato a scrivere e a girare in segreto, dirigendo spesso gli attori da remoto.
È così che è stato realizzato anche “Un semplice incidente", Palma d’oro a Cannes 2025, sfruttando al meglio le location reali e meno riconoscibili di Teheran. Come ha spiegato Panahi anche sulla Croisette, l’idea per il film è nata proprio dai mesi trascorsi in carcere a Evin e dalla sua certezza di condividere, con tutti gli altri dissidenti iraniani, l’esperienza traumatica della prigione: dagli interrogatori a occhi bendati fino, in alcuni casi, alle torture.
Il "semplice incidente" del titolo è l’elemento di casualità che riporta un agente dei servizi iraniani sulla strada di alcuni ex prigionieri. Il desiderio di vendetta di questi ultimi si scontra con un dubbio atroce, essendo sempre stati bendati durante le torture: se l’uomo che hanno davanti non è davvero il loro aguzzino, si macchierebbero tutti di un orrendo omicidio, lasciando prevalere il male che vorrebbero in realtà estirpare dalle loro vite.
Nella cornice ironica e assurda, nel senso teatrale del termine, poiché il film cita direttamente Samuel Beckett, si apre così in verità uno squarcio sul reale e sul dilemma morale dei dissidenti protagonisti. L’aspetto migliore è che il regista stesso non cerca risposte: crea un finale aperto, probabilmente il finale più entusiasmante visto al cinema negli ultimi anni, che tuttavia non cede mai alla cieca violenza vendicatrice. Un aspetto che è essenziale nel cinema, in fondo gioioso, brillante e ricco di Panahi, anche nello scenario più tragico, come quello iraniano.
È ancora presto per prevedere come andrà a finire questa volta per il regista, ma mentre continua il suo tour mondiale di “Un semplice incidente”, fra presentazioni e premi, il suo avvocato fa sapere che Panahi ricorrerà in appello contro la decisione del governo iraniano. La sua lotta non si ferma.
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