Economia
marzo, 2010

Che forza quei cinquantenni

Quando i dipendenti di oggi andranno in pensione nelle aziende si creerà un problema di competenze. Perché nessuno ha pensato a formare le nuove leve

Oggi sono visti come una barriera invalicabile piazzata all'ingresso del mercato del lavoro. Un ostacolo all'inserimento delle nuove leve, costrette a un interminabile riscaldamento a bordo campo. Ma domani, quando andranno in pensione, gli ultra-cinquantenni di oggi rappresenteranno di nuovo un problema, sia pure di profilo ben diverso. Il loro esodo rischia infatti di impoverire, in termini di qualità e di competenze, il sistema produttivo nazionale.

L'Italia non è un paese per giovani. Avere una popolazione anziana come la nostra comporta conseguenze analizzate fino a oggi prevalentemente in un'ottica previdenziale. Per la prima volta, la Boston Consulting Group, in collaborazione con l'Aidp (l'Associazione italiana dei direttori del personale), ha fotografato la situazione di 250 aziende italiane nello studio 'Creating people advantage', valutandone le ricadute sull'economia reale. Dal report esce l'immagine di un paese ad alto rischio demografico: la percentuale dei lavoratori tra i 50 e i 65 anni, oltre a essere al primo posto in Europa, è in quasi tutti i settori di gran lunga più alta rispetto a quella dei giovani. Nei trasporti e nell'industria, per esempio, supera il 20 per cento, mentre nel mondo dell'educazione e della sanità sfiora picchi del 35 per cento. E questa tendenza, secondo le stime, crescerà a un ritmo sempre maggiore.

"Il problema si avrà quando questi lavoratori andranno simultaneamente in pensione e mancheranno le persone in grado di compensare la perdita di esperienza. Tutto ciò porterà a un passaggio di consegne complicato", spiega Lamberto Biscarini, il partner e managing director della Boston Consulting Group che ha seguito la ricerca in Italia. Aggiunge il manager della Boston: "Entro il 2020, in assenza di un netto cambiamento di rotta, il peso dei dipendenti con alta anzianità raddoppierà in quasi tutti i campi. Basta pensare alla pubblica amministrazione, dove i cinquantenni, che oggi sono uno su tre, tra dieci anni saranno più della metà".

E le difficoltà economiche dei mesi scorsi potrebbero aver accelerato i tempi, come spiega Roberto Savini Zangrandi, presidente dell'Aidp: "Le nostre aziende hanno dovuto tagliare i costi, ma purtroppo spesso non hanno operato una selezione che tenesse conto delle professionalità strategiche richieste". La crisi, quindi, si è sovrapposta al rischio demografico: "Molti hanno risparmiato sul reclutamento. Un errore che rischia di trasformarsi in un volano negativo, che allunga ancora il tempo necessario a recuperare il gap conoscitivo causato da tante fuoriuscite e poche assunzioni".

A monte di questa situazione ci sono le dinamiche demografiche del nostro Paese, dove l'aumento costante di anziani non viene compensato dall'immigrazione e dalle nascite, sempre più in caduta libera: "L'Italia, insieme a Germania e Giappone, ha un tasso di invecchiamento tra i più elevati al mondo: basti pensare che nel 1965 è nato un milione di bambini, mentre i ventenni di oggi sono poco più di 600 mila", spiega Giampiero Della Zuanna, preside della facoltà di Scienze statistiche dell'Università di Padova. "Inoltre, siamo penalizzati da una struttura gerarchica basata sulla data di nascita. Negli anni Cinquanta anche i giovani potevano trasformarsi in imprenditori, ma quello era un periodo di sviluppo vivace e oggi non ci sono certo queste condizioni".

L'indicatore del rischio sfiora la vetta quando si parla di pubblico, dove l'età media nel 2008 era di 47,5 anni, uno in più rispetto al 2006. Dati che non sorprendono, se pensiamo agli insegnanti delle scuole statali, più della metà tra i 50 e i 60 anni. Nelle forze armate e nella difesa la cifra è più bassa, mentre nella carriera penitenziaria e dietro le scrivanie dei ministeri la media si assesta intorno ai 50 anni. Un trend che coinvolge i livelli più alti: "Da un'indagine di due anni fa emergeva che, negli enti locali, i dirigenti hanno un'età media superiore ai 52 anni, che sale a quota 54,7 nei ministeri", aggiunge Giovanni Valotti, professore di Economia delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi. Negli anni Settanta nel pubblico si assumeva a mani basse, e le conseguenze le stiamo pagando adesso, con organici saturi, pochi giovani e controlli della spesa sempre più serrati che ne impediscono l'inserimento: "Bisogna gestire con intelligenza il turn over, considerando un orizzonte temporale di almeno tre anni", sostiene Valotti.

Nei prossimi anni abbandonerà il campo un numero molto significativo di operai qualificati, quadri specializzati e dirigenti di alto livello e quasi nessuno ha pensato a mettere a punto un piano di sostituzione. Se non cambia niente, nel 2016 in molte categorie professionali come ingegneria meccanica, o di ricerca e sviluppo, ci potrebbe essere una forbice notevole tra domanda e offerta. "Insieme al tasso di invecchiamento più alto d'Europa, l'Italia vanta anche il primato nella sottovalutazione del problema", commenta Biscarini. "Bisogna passare all'azione e in fretta. In paesi come la Germania, dove la situazione demografica è simile alla nostra, hanno iniziato a fare queste riflessioni già qualche anno fa e molte aziende hanno lanciato programmi per gestire il rischio demografico".

È il caso della Rwe, il colosso dell'energia tedesca che ha reagito alla prospettiva di non avere quasi più ingegneri elettrici tra dieci anni intervenendo sulla filiera del reclutamento. Ha così iniziato una politica di marketing nelle università e nelle scuole superiori, cercando figure professionali simili in mercati adiacenti e all'estero, facendo oggi scorta di quella risorsa che domani diventerà scarsa. "L'economia occidentale si baserà sempre di più sulle persone, sulle loro qualità e capacità; attirarle e trattenerle in un determinato ambiente sarà fondamentale", conclude Biscarini.

Ma come si può controllare quest'esodo imminente salvaguardando al tempo stesso la competitività del sistema Italia? Per Savini Zangrandi i fronti su cui lavorare sono tanti: "I responsabili delle risorse umane devono cambiare il loro modo di pensare. In Italia più del 60 per cento ha ammesso di pianificare su un orizzonte di un anno, troppo breve per una gestione efficace". Ogni realtà deve mettere in atto uno screening delle proprie competenze, una sorta di budget delle professionalità a medio lungo termine da tenere bene a mente nelle decisioni aziendali. "Oggi solo pochissime imprese italiane hanno iniziato ad affrontare il problema, e chi lo ha fatto ha investito soprattutto nella ricerca di menti brillanti", sottolinea Savini: "La Finmeccanica, per esempio, negli ultimi anni ha rilanciato il programma per la gestione dei talenti con il Business Education Strategic Ten, un master in cui i dipendenti più promettenti, in azienda da meno di tre anni, vengono formati in maniera specifica, con corsi tenuti da docenti scelti tra i dirigenti e della società".

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