I nuovi ricchi cinesi sono convinti che la nota maison di profumi sia made in Italy. Così come Luis Vuitton e Pizza Hut. Sconosciuti invece Prada, Versace, Dolce e Gabbana. Che ci sia un grosso problema di marketing?
Armani, Prada e Versace? No, quando si parla di Italia, ai cinesi vengono in mente Louis Vitton e Chanel e poco importa se si tratta di marchi francesi. La scarsa conoscenza delle firme più celebri del made in Italy nel paese asiatico è uno dei risultati più curiosi e inattesi dell'ultima indagine condotta dalla School of Management del Politecnico di Milano, con Makno e lo Shanghai Institute of Technology, durante l'Expo di Shanghai 2010.
A un campione di mille cittadini cinesi, di una fascia di reddito e cultura medio alta, è stato chiesto di nominare i tre marchi italiani secondo loro più famosi. Per la prima volta non sono stati interrogati solo gli abituali acquirenti del lusso, ma anche quella fascia di mercato che nei prossimi 5-10 anni potrebbe avere la disponibilità di acquisto dei prodotti occidentali e che si stima raggiungerà le 200 milioni di persone.
I risultati vedono un trionfo della Ferrari (nominata da quasi uno su due), seguita dall'immancabile pizza (che non è un marchio) e dall'inaspettata medaglia di bronzo della francese Louis Vitton. Scalando la graduatoria le cose non vanno però molto meglio, visto che il quarto e quinto posto lo ottengono gli spaghetti e la pasta, al sesto tornano i francesi con Chanel e al settimo c'è un altro non-marchio come la salsiccia. Bisogna scendere ancora per trovare i campioni del made in Italy di Maserati, Armani, Lamborghini e Ferrero, tutti con percentuali tra l'1 e il 5%. Nella categoria dei quasi non pervenuti, con meno dell'1% delle nomination, finiscono invece Versace, Prada e Dolce & Gabbana.
Dalla scarsa conoscenza dei marchi si passa alla non certo esaltante considerazione del nostro paese rispetto agli altri. Anche in questo caso è stato chiesto al campione di nominare i tre stati più meritevoli in diversi settori, dall'innovazione alle bellezze naturali. In questa parte della ricerca, influenzata dall'alta considerazione che i cinesi hanno per il proprio paese e che nominano in quasi tutte le categorie, lo Stivale non viene certo premiato. Per beni culturali e musei finiamo dietro a Cina, Francia e Stati Uniti, solo quindicesimi per le bellezze naturali, ottavi per l'innovazione tecnologica, lo stile di vita e l'educazione. Va un po' meglio in stile ed eleganza, quinto posto, ma ampiamente preceduti dalla Francia.
A deludere in queste graduatorie è soprattutto l'attrattività turistica, quasi del tutto assente nelle risposte degli intervistati. Se i marchi di moda e di auto di lusso vengono spesso nominati, mentre l'agroalimentare può comunque contare sulle tante specialità conosciute (anche se non grazie a un brand specifico), il turismo viene sonoramente bocciato dalle fascia medio-alta della popolazione cinese. Un segnale preoccupante, visto che quello dei paesi asiatii è di certo uno dei settori turistici con maggiori potenzialità di crescita.
"Non abbiamo fatto comunicazione o l'abbiamo fatta molto male – spiega Giuliano Noci, docente di Marketing al Politecnico di Milano – C'è un grandissimo potenziale inespresso, e finiamo dietro altri paesi europei per la scarsa capacità delle istituzioni e delle aziende di muoversi in modo compatto". Se Germania, Francia e altri possono contare sul supporto istituzionale, l'Italia ha invece frammentato la comunicazione tra le diverse regioni, senza riuscire a ottenere nulla dal mercato cinese. "Ma le istituzioni devono anche occuparsi dell'istruzione ai nostri costumi – continua Noci - nell'agroalimentare i cinesi devono essere abituati ai formaggi o al prosciutto crudo per fare un esempio. E invece questo non avviene e persino il settore dei vini, che sta vivendo un'esplosione in Cina, vede dominare etichette australiane o francesi, senza nessuna presenza italiana". La mancanza di catene distributive forti (come invece ha la Francia) fanno il resto. "Quando vanno in un Piazza Hut, i cinesi credono di essere in un ristorante italiano – conclude Noci - Gli italiani inventano la pizza e gli americani riescono a farci i soldi".