Avete in banca un bel pacco di Btp e Cct? Bene, grazie al disperato bisogno di liquidità delle banche, potete portarvi a casa un po' di euro senza fare una piega. Perché gli istituti di credito non sanno più dove sbattere la testa per procurarsi denaro a costi accettabili. Così, domandano al cliente di poter usare i valori mobiliari in suo possesso (anche azioni, ma soprattutto titoli di Stato), da utilizzare come garanzia quando chiedono il denaro in prestito alla Banca centrale europea (Bce), riconoscendogli una commissione annua che va dallo 0,10 allo 0,20 per cento.
Il tasso del mercato interbancario "overnight", che è quello a cui le banche abitualmente si riforniscono a vicenda di denaro, in realtà è basso: viaggia intorno all'1,50 per cento. Peccato che, da quando è scoppiata la bufera sull'Italia a fine luglio, nessuno presti più un euro a nessuno, meno che mai le banche internazionali a quelle italiane, falcidiate dalle agenzie di rating Moody's e Standard & Poor's dopo la riduzione dei giudizi sul debito nazionale. Quindi, tutto fa brodo, anche l'utilizzo di Btp e Cct detenuti dalla clientela. Al meccanismo, abbastanza nuovo per l'Italia, gli istituti di credito ricorrono in modo sempre più massiccio dall'estate, sintomatico segnale delle difficoltà di raccolta.
L'altra faccia della crisi è quella di chi di un prestito avrebbe bisogno per comprare casa, investire nell'azienda, farsi anticipare le fatture della Pubblica amministrazione che non paga. Ma le banche hanno stretto i cordoni della borsa: stiamo entrando in pieno "credit crunch", il termine inglese assai più usato, pure in Italia, del nostrano "stretta creditizia". A guardare i dati ufficiali diffusi dalla Banca d'Italia, non sembrerebbe difficile ottenere un prestito: le statistiche sembrano dire che gli italiani sono sempre più indebitati. Proprio di recente i debiti delle imprese non finanziarie si sono lasciati alle spalle la soglia dell'80 per cento del Prodotto interno lordo, quando erano al 60 per cento nel 2003. Mentre le famiglie hanno visto i loro stabilizzarsi attorno al 65 per cento del reddito disponibile, quando sempre nel 2003 viaggiavano sotto il 40 per cento.
Non c'è dubbio, dunque, che lo stock dei prestiti concessi dalle banche continui ad aumentare, ben più di quanto lo facciano indicatori come il Pil o i redditi, che fotografano bene la stagnazione dell'economia italiana. Il problema è che, scavando dietro i dati, emergono segnali di grande difficoltà. La tabella pubblicata a pagina 148 rivela che il tasso di crescita dei prestiti concessi alle imprese resta sui livelli più bassi dell'ultimo decennio, ed è la stessa Banca d'Italia, ancora per pochi giorni guidata da Mario Draghi, a segnalare che sull'apparente aumento dei prestiti incide in misura significativa la ristrutturazione di quelli vecchi: allungando le scandenze per la restituzione, gli oneri finanziari aumentano e il debito s'ingrossa. "L'aspetto più tragico della situazione è che le aziende vanno a caccia di credito solo per tirare avanti, direi per sopravvivere, e non per investire. Può rivelarsi l'ultimo passo prima della morte", dice Alberto Griffini, contitolare della Active, un'azienda con 55 dipendenti che produce macchine per il giardinaggio, nonché presidente della Confapi, la confederazione delle piccole e medie imprese.
La situazione non è migliore sul fronte dei prestiti personali. Per un giovane, magari con un contratto a tempo determinato, comprare casa può rivelarsi un'impresa: "Oltre il 90 per cento delle domande di potenziali acquirenti di abitazioni di età inferiore ai 30 anni finisce su un binario morto", dice Guido Lodigiani, direttore corporate del sito di annunci Immobiliare.it.
Certo, chi ha un po' di risparmi troverà un direttore d'agenzia meno arcigno. Ma non tutto fila liscio. Il costo dei mutui si sta impennando come faceva Marco Pantani sulle rampe del Tour, le domande di prestiti in genere declinano e quelle per l'acquisto di case precipitano. Segnala il barometro del Crif, una società specializzata nei sistemi di informazione creditizia, che le richieste di mutui sono diminuite del 10 per cento nel periodo da gennaio ad agosto. E per Roberto Anedda, vicepresidente di Mutui Online, a fine anno il calo di quelli realmente concessi potrebbe essere persino superiore. "Anche perché è quasi sparito il fenomeno della surroga, la sostituzione di un vecchio mutuo con un nuovo prodotto, visto che è praticamente impossibile ottenere condizioni migliori", sottolinea Anedda. Che suggerisce di aguzzare l'ingegno: "Qualche investitore più smaliziato, in realtà, potrebbe sfruttare a suo vantaggio la bufera sui tassi: sul mercato ci sono mutui trentennali a tasso fisso poco sopra il 5 per cento, mentre i titoli di Stato di analoga durata rendono oltre il 6. Quindi, se uno ha dei soldi a disposizione, può in teoria finanziare le rate del mutuo con le cedole del bond".
Cose difficili, che non fanno per chi deve comprarsi la prima casa. Non bisogna però credere che le banche, mentre i clienti faticano, dormano sonni tranquilli. Se da una parte ci sono clienti affamati di prestiti, dall'altra raccogliere risorse da erogare è più difficile. Scomparsi i prestiti interbancari, alla clientela bisogna offrire tassi d'interesse sempre più alti (siamo al 5-6 per cento per un bond di 24 mesi e al 4 per cento sui depositi vincolati per 12 mesi). Insomma, un bel fardello. Come fanno notare fonti dell'Abi, l'associazione delle banche presieduta da Giuseppe Mussari, la speranza è che prima il costo del debito pubblico torni a diminuire in rapporto a quello tedesco, il migliore dell'euro.
Nel frattempo, però, le banche per finanziarsi ricorrono in misura massiccia alla Bce. Con un inconveniente: anche se i tassi dell'istituzione monetaria europea sono bassi, i suoi prestiti sono a breve termine, quando non a brevissimo. E una banca, se vuole evitare la crisi di liquidità che nelle scorse settimane ha travolto il gruppo franco-belga Dexia, deve cercare di pareggiare il più possibile le scadenze temporali dei denari raccolti e di quelli impegnati.
Ora che i problemi diventano seri sono però in molti a criticare il cuore del sistema. "La situazione si è deteriorata in pochi mesi, anche perché le istituzioni hanno di fatto delegato alle agenzie di rating la politica del credito", sostiene Gianluca Garbi, amministratore delegato di Banca Sistema. Se le banche devono tenere immobilizzati più soldi, banalmente possono prestare meno quattrini: "Se prima dell'estate per ogni 100 euro di capitale regolamentato potevano effettuare erogazioni per 500, adesso arrivano a 200 o poco più. Non resta loro che effettuare aumenti di capitale, impresa ardua oggigiorno, oppure concedere meno prestiti e a costi più elevati".
Più patrimonio a tutela dei depositi vuol dire in teoria maggiore sicurezza, anche se per le grandi banche come l'Unicredit di Federico Ghizzoni o Intesa Sanpaolo di Corrado Passera, da poco inserite nella lista delle istituzioni internazionali da tenere sotto più stretta vigilanza, i vincoli si vanno facendo davvero stringenti. Il problema sembra però essere più la liquidità che non il patrimonio. Ormai non si guarda più ai tassi ufficiali, quando una banca italiana domanda denaro: ai tassi Irs o Euribor vanno aggiunti il costo del rischio legato alla stessa banca e, soprattutto, quello del rischio-Paese. Che il mercato, come detto, prezza basandosi sul differenziale di rendimento tra i Btp con durata di dieci anni e gli omologhi bund tedeschi. È il famigerato "spread", di cui tanto si parla da luglio in poi, e che nei momenti peggiori per l'Italia ha superato i 400 punti base, cioè il 4 per cento. "Siccome nel regolamento di molte emissioni si fa riferimento alle pagelle delle agenzie, è chiaro che queste ultime hanno un peso sproporzionato nel determinare la salute finanziaria di un intero paese", dice ancora Garbi, secondo il quale è lecito dubitare dell'affidabilità di molti rating.
Tornando ai clienti, però, in queste condizioni diventa difficile arrangiarsi. "Fino a due-tre anni fa, ogni cento garanzie ce n'erano 65 destinate a finanziare operazioni a medio termine per investimenti. Adesso, il 70 per cento dei nostri interventi è legato a pure esigenze di servizio, come le aperture di credito", racconta Giorgio Guarena, direttore di Unionfidi, il consorzio piemontese di garanzia per i prestiti alle imprese. Che aggiunge: "Ora sta venendo drammaticamente a mancare il supporto pubblico: nel cosiddetto decreto sviluppo potrebbe esserci addirittura un taglio di 239 milioni di euro al Fondo centrale di garanzia, che è una forma indiretta di aiuto al patrimonio dei Confidi e che in questi ultimi anni è già stato ridotto".
Anche quando in ballo ci sono piccole somme, tutto sembra complicato. L'associazione di consumatori Adiconsum da anni gestisce un fondo contro l'usura, fornendo garanzie a persone bisognose con un tetto di 26 mila euro. "Le domande d'aiuto negli ultimi tempi sono cresciute vistosamente, in parallelo con l'incremento dei rifiuti da parte delle banche. Ma, nonostante le nostre condizioni siano assolutamente convenienti, le persone hanno comunque difficoltà a ripagare i debiti. E gli importi medi richiesti sono passati dai 12 mila euro del 2007 ai 18 mila di quest'anno", racconta il segretario Pietro Giordano.
E pensare che, fra le imprese, ci sono aziende sane e con la tesoreria in ordine che riescono a farsi concedere finanziamenti a tassi inferiori a quelli che gli istituti di credito riconoscono con le emissioni obbligazionarie più recenti. Qualche imprenditore riesce insomma a farsi dare dei soldi da una banca e a investirli sui bond di un altro istituto, se non dello stesso, portando a casa un guadagno tranquillo, senza rischiare quattrini nel proprio business. Risultato: a fine 2010 le industrie europee avevano in cassa la bellezza di 719 miliardi di euro.
ha collaborato Fabio Lepore