Ma anche Trenitalia, Fincantieri, Tirrenia, Anas, Terna e altre aziende ancora. Così lo Stato incasserebbe tra i 400 e i 600 miliardi di euro, preziosi per la famosa 'crescita'

Secondo il sociologo Luca Ricolfi (linkiesta.it) Mario Monti è un ex liberale che finora è riuscito abilmente a occultare il suo effettivo profilo politico, profondamente statalista e consociativo, visto che ha puntato quasi tutte le sue carte sull'aumento del gettito e sulla pace sociale. Accidenti, non si può dire che Ricolfi le mandi a dire ma, in effetti, la cifra liberale e pro-crescita del governo tecnico stenta a vedersi. La miglior riforma, quella delle pensioni, è un commendevole aggiustamento di conti che la socialdemocratica Germania aveva attuato dieci anni fa.

Eppure ci sarebbe un modo facile per cambiare questa impressione e, soprattutto, per dare ossigeno alle casse statali e competitività all'economia: privatizzare aziende e beni pubblici il cui valore varia, secondo le stime, tra i 400 e i 600 miliardi di euro. Immagino già l'obiezione: in questo momento vuol dire svendere i gioielli di famiglia come si è già fatto in passato. È una percezione sbagliata non suffragata dai fatti. Nel loro ottimo studio su Stato e mercato in Italia (2010), Barucci e Pierobon mostrano, cifre alla mano, che in Italia la cessione di imprese di Stato in Borsa è avvenuta praticamente senza sconto e comunque inferiore a quello che viene concesso per le società private. Anche la tanto vituperata vendita di Telecom si è rivelata un buon affare per il governo: 13 miliardi che, attualizzati a fine 2011, sono 17 mentre la capitalizzazione della società telefonica alla stessa data era solo di 11,5 (e oggi ancor di meno). Né si può dire con esattezza qual è il momento "giusto" per vendere le partecipazioni o gli immobili. A furia di aspettare, tanto per prendere tre esempi recenti, Tirrenia, Fincantieri e Alitalia hanno continuato a far perdere soldi allo Stato o sono entrati in crisi o l'alienazione è avvenuta a prezzi di realizzo.

Secondo: è giusto che lo Stato mantenga partecipazioni strategiche. Ma cos'è strategico? È facile ricordare come fu gridato ai quattro venti che il trasferimento in mani estere della solita Alitalia, avrebbe avuto come conseguenza il crollo del turismo in Italia. Una bufala che è costata 4 miliardi al contribuente e l'imposizione del monopolio sulla rotta Milano-Roma! Lo stesso vale per le banche, oggi felicemente privatizzate, con quelle in mano straniera che macinano utili. La Rai è strategica? E perché visto che opera in concorrenza con privati ed è fonte di sprechi? L'Enel? Ormai anch'essa non ha più caratteristiche né di monopolio né di servizio pubblico. E l'elenco potrebbe continuare.

Inoltre vi sono considerazioni di efficienza. Privatizzare le società pubbliche ne migliora la redditività e, secondo i dati fin qui raccolti, non ha compromesso l'occupazione se non quando processi di liberalizzazione hanno fatto perdere occupati al vecchio monopolista facendone guadagnare ai nuovi entranti. Quasi inutile ricordare i fin troppo numerosi casi di corruzione e favoritismi che circondano le aziende in mano al pubblico.

La lista delle società privatizzabili è lunga: Fincantieri, Tirrenia, Rai, Finmeccanica, Enav, Anas, Poste, Trenitalia, Enel, Eni, le partecipazioni Fintecna, il Poligrafico dello Stato, Sogei, Stm, Sace, Sogin, Invitalia, Snam Rete Gas, Terna, Cinecittà, Cassa Depositi e Prestiti. Così almeno, riguardo a quest'ultima, i suoi investimenti non sarebbero un modo surrettizio per mantenere in mano pubblica altre società. Non si devono dimenticare le migliaia di società possedute da enti locali, in molti casi in perdita, detentrici di posizioni di monopolio inefficienti nonché l'enorme quantità di immobili che si è atteso fin troppo a conferire in un fondo gestito da privati (preferibilmente stranieri) con una commissione in percentuale rispetto ai prezzi di vendita.

C'è un caso in letteratura in cui le privatizzazioni non funzionano: quando sono effettuate da governi corrotti che svendono le imprese a oligarchi collusi. Una procedura di offerta pubblica in Borsa è un buon antidoto a questo rischio e poi, perbacco, non abbiamo la fortuna di avere un governo di onesti e competenti? Non perdiamo l'occasione.

adenicola@adamsmith.it

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