Una tassa per arginare la finanza speculativa, pagata da chi vende e compra titoli migliaia di volte al giorno guadagnando sulle piccole oscillazioni di valore. Una gabella con cui si potrebbero recuperare 37 miliardi di euro all'anno a livello europeo, di cui 5-6 solo per l'Italia, dicono le stime più ottimistiche. Soldi, tanti, da destinare ai cittadini più poveri e alla lotta contro i cambiamenti climatici. Ma anche una misura che potrebbe spingere le banche a prestare i quattrini a imprese e cittadini, invece che investirli in prodotti finanziari. Del tema si dovrebbe parlare domani a Bruxelles, nel corso dell'Ecofin, il Consiglio dei ministri economici dell'Unione europea.
I sostenitori dell'introduzione della tassa, però, temono che alla fine la montagna possa partorire un topolino. Cioè che la tassa non venga applicata sui derivati, quei titoli che sono stati alla base dello scoppio della crisi finanziaria del 2008. Per questo motivo alcune organizzazioni della società civile hanno rilanciato una campagna mirata a mettere pressione sui vertici europei. Sull'Italia, in particolare, che detiene la presidenza dell'Ue. E che, dicono gli attivisti, forse a causa dello «strapotere delle lobby finanziarie» sembra volersi «disimpegnare dal processo di implementazione di una misura fiscale innovativa».
La tassa sulle transazioni finanziarie, ribattezzata dai suoi sostenitori Robin Hood Tax, è stata inizialmente proposta dalla Commissione europea ed è oggi ufficialmente sostenuta da 11 dei 28 Paesi del blocco. Tra questi, oltre a Francia e Germania, c'è anche l'Italia. Altri Paesi, tra cui la Gran Bretagna, si sono invece opposti, argomentando che una simile tassa danneggerebbe i mercati finanziari del Vecchio Continente, facendo fuggire le società d'investimento. A maggio scorso gli 11 sostenitori della Robin Hood Tax firmarono un documento congiunto in cui dichiararono l'impegno a raggiungere un accordo entro la fine di quest'anno, per poi introdurre la tassa a partire dall'inizio del 2016.
Mancano ormai due mesi alla fine del 2014 e i negoziati sembrano bloccati. Lo ha ammesso recentemente lo stesso governo italiano. Il 30 ottobre, in una risposta ad un'interrogazione parlamentare, il sottosegretario all'Economia, Pier Paolo Baretta, ha dichiarato: «In ragione della forte connotazione politica del dossier, della preesistenza di forme di prelievo sulle transazioni finanziarie in alcuni Paesi cooperanti e dei rischi di delocalizzazione connessi alla limitata estensione geografica della cosiddetta area Ftt, formata dagli undici Paesi cooperanti, il contesto negoziale si presenta assai complesso». Insomma, arrivare ad un accordo nei prossimi due mesi non sarà facile. E il motivo dello scontro risiede nei dettagli.
Se è vero che 11 Paesi si sono detti d'accordo nell'introdurre la tassa, non si è ancora capito a quanto ammonterà di preciso il prelievo fiscale, su quali prodotti verrà applicato e su quali soggetti inciderà. I tassi proposti finora variano dallo 0,01 per cento allo 0,5 per cento, a seconda del tipo di transazioni interessate. Ma più che l'entità della tassazione, a far discutere sono due punti. Il primo riguarda i prodotti finanziari che verrebbero colpiti. Solo le azioni o anche i derivati? Questione rilevante, anche perché nel mondo esistono già Paesi dove la finanza speculativa è tassata. L'Italia, ad esempio.
«Il problema», dice Leonardo Becchetti, economista e portavoce della campagna, «è che questa imposizione da noi vale praticamente solo per le azioni, non per i derivati. In più, la tassa si applica esclusivamente sul saldo di fine giornata: significa che se una società d'investimento apre e chiude un'operazione all'interno della stessa giornata non paga. In questo modo chi fa trading ad alta frequenza, cioè chi vende e compra titoli migliaia di volte al giorno, la fa franca».
L'idea dei sostenitori della Robin Hood Tax è proprio quella di colpire chi punta sui derivati e su questi investimenti ad alta frequenza. Ma la strada appare in salita. «I derivati restano una questione chiave ancora aperta», ha scritto recentemente, citando un documento interno all'Ue, l'agenzia Reuters in un articolo sui negoziati europei. L'altro punto che potrebbe fare la differenza riguarda i soggetti da tassare. La Robin Hood Tax deve essere applicata in base alla nazionalità dell'asset o a quella della società che scambia il titolo? «È una questione cruciale», dice ancora Becchetti, «perché solo se se si combinano entrambi i criteri diventa difficile eludere».
La petizione online per l'introduzione della Robin Hood Tax ha finora raccolto nel mondo 790 mila firme, tra cui quelle di mille economisti. Da noi i sostenitori sono raccolti sotto la sigla “Campagna ZeroZeroCinque”, che include una cinquantina di enti tra cui sindacati, associazioni ambientaliste e organizzazioni del terzo settore.
Gli attivisti italiani stanno puntando il dito contro Renzi e i suoi ministri, anche perché il governo è presidente di turno dell'Unione europea. «In tempi non sospetti, in una precedente edizione della Leopolda», hanno scritto in un comunicato i membri della campagna, «Renzi aveva persino inserito la tassa sulle transazione finanziarie tra i punti del suo Wiki-Pd. Oggi invece l’opacità e il silenzio che caratterizzano questo dossier mal si conciliano con la visione di un governo che si presenta come innovatore e progressista in Italia e in Europa».