Il popolo delle partite Iva in fuga dall'Inps
Pressione insostenibile della gestione separata
Un esercito di autonomi e freelance, che conta circa 1,3 milioni di lavoratori in Italia, pronto a emigrare verso altre casse contributive: "Siamo stati tartassati sia sul piano previdenziale che fiscale da tutti i governi. E adesso abbiamo deciso di muoverci”
Il 2015 per freelance e partite Iva potrebbe essere l'anno X: quello della grande fuga. Sempre più autonomi pensano infatti di lasciare la gestione separata dell'Inps, dove attualmente versano i propri contributi previdenziali, perché la pressione si è fatta ormai insostenibile. Potrebbero emigrare verso altre casse dell'istituto, più favorevoli – come quelle di commercianti e artigiani – o abbandonarlo completamente: anche se sono opzioni non aperte a tutti. Per fornire dritte e consigli, l'Acta, una delle associazioni più rappresentative, ha organizzato un vero e proprio workshop, che si terrà a Milano (ma anche in streaming, per chi non potrà esserci fisicamente), il 21 gennaio. E il titolo del seminario è più che esplicito: “Vuoi fuggire dalla gestione separata?”.
Una domanda che suonerà molto familiare ai 300 mila freelance iscritti alla cassa più giovane dell'Inps, parte di un esercito che conta circa 1,3 milioni di lavoratori in Italia: non dipendenti o pensionati che fanno un secondo lavoro, né cococò o cocoprò che spesso mascherano un rapporto subordinato.
A parte un 12-15% di partite Iva false, imposte dalle imprese, si tratta di “autonomi puri”, per scelta: informatici, consulenti di marketing, di organizzazione o di qualità, traduttori, pubblicitari. E ancora: formatori, comunicatori, creativi delle aziende editoriali e dei media, grafici, designer. Molti quelli che operano sul web o via telelavoro: e anzi, proprio tra questi ultimi, più per motivi fiscali che previdenziali, si starebbe diffondendo il fenomeno di spostare fittiziamente la residenza all'estero, verso regimi più favorevoli, un po' come avviene già da tempo con le multinazionali. Ci sono infine ingegneri, architetti o psicologi, in particolare quelli che non hanno la necessità di essere iscritti a un ordine per svolgere la propria attività, ma che sono rimasti in pochi: un gran numero di loro, negli anni passati, è già emigrato verso le casse dei rispettivi ordini professionali.
“NOI, TARTASSATI DA TUTTI I GOVERNI”
E sì, perché chi ha potuto è già andato via. Prima per l'innalzamento di 9 punti dei contributi deciso dal governo Prodi, poi per un ulteriore punto innalzato da Berlusconi. E più di recente, causa riforma Fornero, che ha previsto di elevare gradualmente, dal 2013 al 2018, i contributi dovuti alla gestione separata: dal 27,72% del reddito fino al 33,72%. Ma se negli ultimi due anni l'aumento è stato congelato, quest'anno con la nuova legge di stabilità il meccanismo è ripartito: per arrivare improvvisamente fino al 30,72%. “Di certo c'è che entro tre anni giungeremo poco sotto il 34% , cioè oltre un terzo del reddito, mentre gli artigiani a regime saranno attestati al 24%, quasi dieci punti in meno – protesta la presidente di Acta, Anna Soru - E visto che a differenza di tutte le altre categorie del lavoro, solo la nostra non ha avuto benefici dal governo Renzi, ma anzi siamo stati tartassati sia sul piano previdenziale che fiscale, adesso abbiamo deciso di muoverci”.
Ma i motivi di protesta sul fronte previdenziale non si esauriscono qui. Si deve sapere infatti che la quota dedicata all'assistenza (maternità, congedi parentali, malattia) è una piccola parte dei contributi, quello 0,72% che resta fisso. Ebbene, uno studio di Acta ha messo in evidenza che viene restituito in prestazioni solo la metà di quanto versato dai contribuenti, mentre – come nota la presidente dell'associazione di freelance – “se si utilizzasse per intero, potremmo avere la copertura per le malattie serie e lunghe, o per i congedi parentali degli uomini, che nella nostra categoria, non si sa perché, non sono previsti”. E il nodo malattia non è certo secondario: da tempo è nota la storia di Daniela Fregosi, lavoratrice autonoma ammalata di tumore, che ha voluto denunciare pubblicamente il proprio caso, spiegando che su questo piano le partite Iva sono del tutto scoperte.
E così, ingoiato il rospo, lo si digerisce ed elimina: il manifestino della rivolta contro l'Inps recita non a caso “di-Gestione separata”, con un maialino-salvadanaio che espelle quello che aveva ingerito, quasi in funzione catartica. In passato si erano scelti hashtag ugualmente d'effetto, come #siamorotti o #dicono33. Per chi non ha un ordine di riferimento – con relativa cassa verso cui traslocare – le opzioni per fuggire dalla gestione separata sono varie. La prima è quella di accedere alle gestioni di commercianti e artigiani: sempre all'interno dell'Inps, ma con una contribuzione più bassa, determinando quindi una perdita netta di introiti per l'istituto. Oppure si possono creare delle società di persone: in accomandita semplice (sas) o in nome collettivo (snc). O, ancora, si può ricorrere alla cessione dei diritti d'autore.
I contributi versati alle diverse casse si possono unificare gratuitamente, tramite “totalizzazione” (differente è il caso della “ricongiunzione”, applicato ad alcune fattispecie, che invece prevede un onere). “Essendo spesso molto differenti i trattamenti fiscali di queste figure, è comunque sempre consigliabile rivolgersi al proprio commercialista”, consigliano le associazioni. E attenzione, valutare bene anche in base alla propria storia personale, ai progetti che si coltivano: se si vuole diventare mamma e si ha un reddito consistente, secondo Acta conviene comunque restare nella gestione separata Inps. E prima di intraprendere un nuovo percorso, si calcolino gli importi della futura pensione, e si consideri ad esempio se non sia il caso (finanze permettendo) di aggiungere un pilastro di previdenza integrativa.
“A RENZI CHIEDIAMO UN NUOVO PATTO FISCALE”
Ma pensione a parte, c'è un'altra vertenza aperta, per gli autonomi e i freelance: quella del fisco. Anche in questo caso, somma delusione rispetto alle misure adottate dal governo Renzi: tanto che il premier, come è noto, dopo le proteste di dicembre ha dovuto spingersi a promettere “un intervento ad hoc nei prossimi mesi” per le partite Iva. Ma ancora non si è visto nulla. Anzi.
Gli autonomi si sentono discriminati rispetto ai dipendenti, che hanno avuto gli 80 euro. Rispetto alle imprese, che hanno incassato non solo il Jobs Act, ma anche sgravi e incentivi per le assunzioni. Rispetto a commercianti e artigiani, per cui è stato abolito il minimale Inps, e in particolare per i commercianti, favoriti anche da un innalzamento della soglia per usufruire delle agevolazioni fiscali da 30 a 40 mila euro di fatturato. Loro, i freelance, hanno visto al contrario dimezzarsi la soglia di fatturato, da 30 a 15 mila euro, una cifra che ritengono “da fame”. E per tutti la cedolare secca è stata triplicata, dal 5 al 15%, valida sia per gli under che per gli over 35.
Ma se fatturi 15 mila euro – si chiedono ad Acta – significa che di netto quanto porti a casa? Meno di 600 euro al mese? Senza contare altri svantaggi: l'agevolazione diventa conveniente solo dai 12 mila euro in su, quindi per una fascia ristretta di contribuenti. Le associazioni ritengono inoltre discutibile il sistema di calcolo dei costi sostenuti: un 22% forfettario, stimato uguale per tutti, che paradossalmente favorisce chi ha spese molto basse, cioè la false partite Iva, anziché scoraggiarne l'apertura.
“Insomma, non siamo incentivati a esistere né a crescere – conclude la presidente di Acta – E dire che la prima copertina di quest'anno dell'Economist ci ha indicati come la categoria su cui puntare nel 2015, sia negli Usa che in Europa. Tanti vorrebbero mettersi in proprio, visto che la crisi continua a mietere licenziamenti, ma lo Stato ci tratta ancora come presunti evasori: da tassare a priori e a prescindere, in una sorta di via preventiva. Noi chiediamo al contrario di cambiare mentalità: perché non siglare un nuovo Patto fiscale tra il governo e le partite Iva? Radiografateci, controllateci pure. Applicheremo pedissequamente tutte le regole e le norme, ma per piacere abbattete la pressione fiscale su di noi”.
Il che significa, ad esempio, intervenire sulla no tax area, ferma a 5 mila euro di reddito annui, contro gli 8 mila di un dipendente; concedere anche agli autonomi gli eventuali bonus, come quello degli 80 euro accordato ai dipendenti nel 2014 e 2015, e chiarire in maniera inequivocabile in quali casi si debba pagare o meno l'Irap. E ancora, modificare il sistema di detraibilità dei costi: le spese in formazione sono detraibili solo al 50%, ed è sempre difficile detrarre le spese di trasferta quando si ha la necessità di viaggiare molto (situazione non insolita per un freelance), perché hanno un tetto molto basso, al 2%.
In attesa di conquistare questo Patto fiscale (quando Renzi avrà la voglia e il tempo di aprire un confronto), i freelance intanto continuano a costruire la loro coalizione con gli altri esponenti del lavoro autonomo, a partire dai giovani avvocati di Mga , che prima di Natale hanno animato la rivolta dei selfie contro la Cassa forense. [[ge:rep-locali:espresso:285141280]]
E poi con i medici, i farmacisti, gli architetti, gli ingegneri. Incontrandosi e coordinandosi con i colleghi di Confassociazioni e con gruppi di opinione come l'Associazione XX Maggio e Alta partecipazione. Alcuni si spingono più avanti e in queste figure, spesso precarie e dal travagliato percorso professionale, vedono emergere una nuova “coscienza di classe”, l'embrione di un ceto sociale esordiente: il cosiddetto “Quinto stato”.