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I numeri aiutano a comprendere il fenomeno. Di tutti i fondi strutturali ricevuti dall’Unione europea ?per lo sviluppo del Mezzogiorno, ?ne abbiamo spesi più in consulenze che per settori cruciali come il turismo e la cultura. Il dato emerge dai documenti della Ragioneria dello Stato sui fondi europei assegnati ?a Roma dal 2007 al 2013, l’unico periodo su cui finora sono state pubblicate cifre definitive. Dei 31,4 miliardi da spendere in questi sette anni con l’obiettivo ufficiale di sviluppare il Sud, il 3,3 per cento ?è andato a quella che viene definita “assistenza tecnica”.
?Tradotto dal burocratese: la consulenza è costata un miliardo di euro. Spesa che, in teoria, un senso ce l’avrebbe. Per usare al meglio ?gli aiuti europei, regioni e ministeri si possono infatti affidare a società esterne che hanno competenza in materia. Nella pratica non funziona sempre così. Lo dicono i risultati ottenuti finora. E lo fanno capire ancora meglio due bandi di gara recenti. Uno, pubblicato a maggio dal ministero dell’Interno, cerca consulenti per migliorare il sistema di accoglimento dei richiedenti asilo. Vale 13,4 milioni di euro, quasi l’equivalente di quello che l’Unione europea spende in cinque mesi per l’operazione di pattugliamento ?del Mediterraneo chiamata Triton.
L’altro bando per la consulenza, aperto a luglio dal ministero dell’Istruzione, promette 48 milioni di euro, che possono salire a 81,6 milioni senza ulteriore gara, per un progetto di innovazione scolastica. Di strano c’è che nessuna delle due offerte richiede esperienza specifica nella gestione del problema oggetto di gara. Entrambi i bandi impongono però come condizione necessaria un “fatturato specifico”. Cifre alte: nel primo caso dev’essere pari a quasi 10 milioni di euro, nel secondo addirittura a 24 milioni.
L’anomalia sta proprio qui. Significa che può vincere la commessa solo chi ha già fatto soldi (e tanti) con la consulenza sui programmi finanziati dall’Ue, e poco importa se quella consulenza non aveva nulla a che fare con i migranti o la scuola. ?Una stranezza italiana, dimostra ?uno studio della Confindustria: il fatturato specifico è richiesto nel 90 per cento delle gare bandite da noi, mentre nel Vecchio Continente la media è del 18 per cento. Il risultato è che i possibili vincitori dei ricchi contratti appena offerti dai ministeri guidati da Angelino Alfano ?e Stefania Giannini sono, ?appunto, due: Ernst & Young e PricewaterhouseCoopers.
Si tratta ?di colossi del settore, multinazionali con base a Londra e sedi in ogni angolo del globo. L’alta probabilità che siano loro a vincere dipende ?dai numeri. Solo queste due società possono infatti vantare fatturati specifici del genere. Perché sono loro ad aver fatto finora la parte del leone nella spartizione delle consulenze sui fondi europei destinati all’Italia. Lo dicono i dati pubblicati dal governo sul sito opencoesione.gov.it.
Si legge che PricewaterhouseCoopers ha incassato dal 2007 al 2013 circa ?42 milioni di euro, Ernst & Young è arrivata a fatturare più di 44 milioni. Cifre enormi, rispetto a quelle incamerate dai concorrenti ?(a cui non rimane che consorziarsi per cercare di raggiungere le soglie di fatturato richieste). E il merito non è solo dei concorsi tagliati su misura, a volte è anche dei continui rigonfiamenti dei costi. Come nel caso di una gara bandita nel 2009 dal ministero dell’Istruzione, il cui valore è passato in meno di tre anni da 26 a 47 milioni di euro.
Praticamente raddoppiato grazie ai ritocchi decisi da alcuni dirigenti di Stato. Ad aggiudicarsi l’appalto, sul quale la Procura di Roma ha avviato un’indagine, è stato un consorzio ?di cui fa parte Ernst & Young. Sulla vicenda dovranno fare chiarezza ?i magistrati romani, ma di certo ?i dati dimostrano che in Italia vale una regola particolare: consulente che vince non si cambia. Un sistema che ostacola la concorrenza. E non aiuta a risparmiare fondi pubblici, ?né a usare bene i pochi soldi ?che otteniamo dall’Europa per ?la crescita del malandato Sud.