La norma sulla "fiduciary rule" voluta dall'inquilino della Casa Bianca scatena un vero terremoto nel settore. Ma, per una volta, i vantaggi sono per i risparmiatori. E i giganti come BlackRock si adeguano persino prima del tempo

Barack Obama
Il primo a muoversi è stato il gigante BlackRock: pochi giorni fa ha tagliato dallo 0,7 per cento allo 0,4 per cento la commissione su una serie di fondi Etf del gruppo (gli Etf, exchange traded fund sono i fondi che replicano un indice scelto come benchmark, e quindi sono "gestioni passive" con costi già inferiori alla media). Vale a dire 4 dollari ogni 10 mila di investimento. Il livello dei fondi low cost che fanno capo ai concorrenti più forti nel segmento, cioè Vanguard group e State Street Global advisors. Subito anche Charles Schwab si è mosso nella stessa direzione, e così pure gli Etf di Cambria investment management.

Commissioni quasi zero. Cioè gestione gratuita o quasi. Come mai tanta generosità da parte dell'industria finanziaria che non l'ha mai mostrata prima?

È il risultato dell'imminente entrata in vigore di una legge voluta da Obama e sostenuta dal ministero del Lavoro Usa, che avrà – così prevede sul "Wall Street Journal" il capo di BlackRock– un impatto sull'industria del denaro pari al Dodd- Frank Act sulle banche (la legge che ha stabilito le nuove regole sulla finanza dopo la crisi). Quindi pari a un terremoto.

Qual è il succo della nuova legge? Una regola semplice semplice: operare nell'interesse del cliente. Banale, no? Invece finora questo non è accaduto, perché ai broker bastava attenersi ad un'altra regola: consigliare ciò che è adatto al cliente. La differenza non è poca. Consigliare investimenti solo "adatti" al cliente voleva dire lasciare correre i broker nell'ampia prateria dei prodotti finanziari, pensando prima di tutto al proprio tornaconto: cioè al proprio guadagno indipendentemente dalla direzione del mercato, alla vendita del prodotto più redditizio e alla commissione da caricare al cliente, non alla cosa più vantaggiosa per lui.

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La legge (per ottenere la quale ci sono voluti sei anni di battaglie), riguarda gli investimenti nei fondi pensione individuali (quello che per noi è il "terzo pilastro"), che oggi muovono 7,3 trilioni di dollari, e che negli Usa si aggiungono e integrano il sistema previdenziale aziendale chiamato il 401(k).

Ma vincolare i gestori del denaro destinato alla pensione dei propri clienti a comportarsi nel loro interesse (la "fiduciary rule") si può ripercuotere anche sul resto del mercato della gestione del denaro, sul mondo del brokeraggio finanziario delle gestioni attive, quello cioè che intercetta il risparmio nel senso più ampio del termine, in pratica tutta la ricca industria dei fondi.

È quello che sta accadendo. Sebbene la legge preveda che ci si allinei all'interesse dei clienti a partire dal 10 aprile 2017, le cose stanno andando più velocemente inducendo i big del settore a limare le proprie pretese, e presentando commissioni più ragionevoli. Questo per una semplice ragione: la competizione.

Il timore dei gestori di fondi è che di quei 7,3 trilioni che stanno nei fondi pensione individuali la maggior parte prendano la strada degli Etf, e che sul loro esempio anche altri risparmiatori, oltre coloro che pensano alla pensione, faccia lo stesso. La domanda a questo punto è: fino a dove si possono spingere i ribassi? Potrebbero diventare negativi, cioè indurre i fondi a pagare il risparmiatore perché affidi loro il suo denaro?

L'orizzonte delle commissioni zero, o addirittura negative, non sembra tanto assurdo se si pensa all'attività degli Etf. Che oltre ad essere passivi nella gestione di investimento, sono però attivi nell'attività di "prestito" di titoli a breve termine a hedge fund che ne hanno bisogno per sistemare le loro scommesse. E che pagano per quel prestito. Ma questo introito è abbastanza alto da compensare i costi di gestione del fondo, e consentire magari di pagare un bonus al gestore migliore? I money manager ne dubitano.

Di certo però la tensione competitiva dell'industria del denaro sta montando. E non solo grazie alla fiduciary rule. Magari anche perché la gente si è stufata di vedere che i gestori dei fondi si fanno pagare sulla quantità di denaro che amministrano, come se fosse questo un indice di qualità personale, e non sulla performance che riescono ad ottenere.

Il caso americano va quindi monitorato anche da questa parte dell'Atlantico, dove sono sempre big come BlackRock a fare la parte del leone. Ma dove purtroppo non ci sono governi, o authority, che impongano un calmiere alle loro commissioni e che le facciano emergere con chiarezza sotto gli occhi dei risparmiatori.