Economia
30 novembre, 2017

Chi è Renato Mazzoncini, il potentissimo boss delle Ferrovie

Dalla fusione con l’Anas alle acquisizioni inspiegabili. Fino alle Frecce in Borsa. Il capo delle Fs è attivo su tutti i tavoli. E per essere riconfermato vuole buoni rapporti con tutti i partiti. E così il gruppo potrebbe accollarsi la patata bollente Atac, per  il sollievo di Virginia Raggi

In una Seconda Repubblica che rischia di scivolare nella Terza senza avere dimenticato del tutto la Prima, l’ingegnere Renato Mazzoncini da Brescia è una sintesi mirabile fra presente, futuro e passato. Il quarantanovenne manager guida il gruppo Ferrovie dello Stato con l’autonomia del vecchio boiardo pubblico, con il piglio decisionista dell’imprenditore moderno e con una proiezione nell’avvenire remoto, anno Domini 2026, fondata su cinque pilastri: mobilità integrata, logistica integrata, integrazione strade-ferrovie, sviluppo internazionale e digitalizzazione. Sono solo due pilastri in meno di quelli evocati da Lawrence d’Arabia nel suo libro di memorie e appena tre in più di quelli necessari per il ponte sullo Stretto di Messina, ritenuto da Mazzoncini opera necessaria purché si abbandoni l’idea delirante che la costruiscano i privati con lo schema del project-financing.

Le Ferrovie dell’avvenire puntano molto sull’estero dove si propongono come general contractor, un ruolo che in Italia ha fallito e che il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio personalmente aborre. Ma quello che non va da noi forse funzionerà nell’Iran del clero sciita e il gruppo italiano vanta di avere appena inaugurato un ponte strallato in una delle regioni più instabili del mondo, il Kashmir.

Le contraddizioni non fanno paura all’amministratore delegato delle Fs. Mazzoncini non ama la parola privatizzazione ma la pratica. Vuole quotare in Borsa le Frecce, il fiore all’occhiello, e su questo ha litigato con l’ex presidente delle Fs Barbara Morgante, sostituita da Cinzia Ghezzi e mandata a occuparsi, appunto, di estero e a presiedere Trenord, la joint-venture con la Regione Lombardia.

Molti non amano lo spirito del manager bresciano e la sua tendenza all’accelerazione. Per quanto sia considerato un gruppo di tipo privatistico e come tale sottratto al tetto salariale di 240 mila euro all’anno imposto ai dirigenti pubblici, le Fs rimangono proprietà totale del Tesoro.

Il côté Prima Repubblica, con le sue mediazioni tra correnti, i suoi rinvii e le sue incertezze pre-elettorali, fa in fretta a riemergere.

Arrivato nel quartier generale di villa Patrizi a dicembre del 2015 dalla controllata Busitalia, Mazzoncini ha dovuto rinviare il collocamento delle Frecce, già osteggiato duramente dal predecessore di Morgante, l’economista Marcello Messori. L’ex consulente di Massimo D’Alema è uno dei pochi a ricordarsi che l’alta velocità ce la siamo strapagata di tasca nostra e che non è il caso di svenderla ai privati a prezzo vile.

Così niente Frecce in Borsa, per adesso. Se ne occuperà il nuovo parlamento e non se ne parlerà prima del 2019, secondo le previsioni dello stesso Mazzoncini che, però, fra due anni potrebbe non essere più il sommo capotreno, anche senza svolta grillina.

L’altra operazione di sistema, l’incorporazione di Anas, doveva concludersi in ottobre. Annuncio ritardo: si farà entro l’anno perché ora o mai più. È troppo importante, per un’Italia tornata nel mirino della censura finanziaria dell’Ue, sfilare dal rapporto deficit/pil quello 0,3 o 0,4 per cento rappresentato dalla holding delle strade che gestisce, fra l’altro, il Gra, la Salerno-Reggio Calabria e il progetto del Ponte.

All’estero, dove la politica lascia maggiore libertà, Mazzoncini si è mosso in modo più concreto e rapido. Dall’inizio del 2017 le Fs hanno acquisito tre società di trasporto. In ordine cronologico: Nxet, la società inglese che collega Londra con il South Essex, l’olandese Qbuzz, che fa trasporto su gomma, e Trainose, la compagnia ferroviaria greca che gestisce la linea Atene-Salonicco. La spesa complessiva delle tre operazioni è stata di 154 milioni di euro, circa un terzo di quanto Fs hanno incassato con la cessione di Grandi Stazioni (365 milioni di euro).

I nemici interni all’azienda e i critici del ministero sottolineano che Mazzoncini fa troppo merger&acquisition. Ma il consenso di un manager in Italia dipende dai treni in orario e i nuclei pendolari combattenti in Brianza o in Irpinia sono poco impressionabili dai ponti strallati del Kashmir.

Il gruppo è sempre più elefantiaco con quasi settanta controllate e ci sono scadenze più coerenti con l’oggetto sociale dell’impresa, dal nuovo contratto di Trenord al capolinea nel 2020 fino agli obiettivi fissati dall’Ue per il traffico merci, ancora schiacciato da quel 90 per cento che viaggia su gomma.

Mazzoncini promette di occuparsi di tutto senza rinunciare alla sua visione complessiva. Terra terra, vuol dire che un mandato non può bastargli. Le prossime elezioni politiche diranno se i sogni dell’ingegnere bresciano scelto da Matteo Renzi possono sopravvivere all’incubo grillino.

Fusioni a freddo
La tappa più raggiungibile è la fusione con incorporazione dell’Anas da parte di Ferrovie. L’operazione darà vita a un gruppo che gestisce 50 mila chilometri fra strade di asfalto e in ferro, quasi equamente divisi nelle proporzioni.

Si è notato che la sinergia ferro-asfalto è poco praticata in Europa. Uno schema simile esiste soltanto in Svezia e Portogallo che insieme hanno un terzo della popolazione italiana. La ratio della fusione, si è detto e ridetto, è soprattutto contabile e sta nell’uscita dell’Anas dal perimetro della pubblica amministrazione. Eppure proprio i problemi contabili hanno fatto ritardare il matrimonio. Anas si porta in dote oltre 9 miliardi di euro di contenzioso con un fondo di copertura rischi di 700 milioni di euro.

A fine settembre è arrivata la perizia che dichiara sufficiente il fondo rischi. È una speranza presentata come statistica. Si calcola che sulla richiesta di danni delle aziende (il petitum da 9 miliardi) l’Anas pagherà in media il 7 per cento quando il rapporto fra petitum ed esborso effettivo si è spesso avvicinato al 20 per cento.

I risparmi da sinergie sono calcolati in 400 milioni di euro. Per lo più sono tagli al costo del lavoro. Anche qui bisognerà vedere che ne dicono i sindacati del trasporto, forse gli unici ormai a mantenere un potere contrattuale di una qualche consistenza. Il 10 novembre in Anas è scattato lo stato di agitazione di tutto il personale con la firma delle principali sei sigle.

Brescia mon amour
Ferrovie e Anas sono, oltre che le maggiori stazioni appaltanti d’Italia, anche le due aziende pubbliche più radicate nel territorio, quelle dove si richiede capacità di mediazione con gli enti locali sotto tutte le latitudini e le colorazioni politiche possibili.

Mazzoncini ha una lunga esperienza nel campo. Da amministratore del trasporto pubblico locale (Tpl) per anni si è mosso fra pubblico e privato. Prima, con il gruppo lombardo Auto Guidovie della famiglia Ranza, è entrato nel capitale delle Autolinee dell’Emilia, dove ha conosciuto il sindaco di Reggio del tempo, Delrio. Poi c’è stato l’approdo nel gruppo Fs con l’incarico in Busitalia, creata nel 2011 sulle ceneri della vecchia Sita.

Mazzoncini ha attirato l’attenzione del suo capo di allora, Mauro Moretti, durante la campagna di privatizzazioni all’italiana che ha trasformato alcune aziende di proprietà comunale in società di proprietà statale. È accaduto a Padova e in Umbria. È accaduto in Toscana con un altro primo cittadino in ascesa, Matteo Renzi.

L’operazione sull’azienda di trasporto fiorentina Ataf, conclusa nel 2012, è un concentrato di renzismo prima dell’avvento del renzismo. L’avvocato Alberto Bianchi, regista della Fondazione renziana Open ha partecipato come legale di Busitalia, mentre la sua giovane collega Maria Elena Boschi rappresentava il Comune fiorentino.
Arrivato al vertice delle Ferrovie, Mazzoncini ha avuto il suo momento da “local hero” quando ha inaugurato l’alta velocità Milano-Brescia.

Il legame con la città d’origine è forte. Dopo la laurea al Politecnico di Milano, Mazzoncini ha fondato a Brescia lo studio ingegneristico GM insieme alla moglie e collega, Cristina Guerra. Nel 2009 la coppia e un gruppo di amici hanno costituito la società Ambienteparco che ha preso in concessione per 18 anni il Parco dell’Acqua in largo Torrelunga, una struttura di 12 mila metri quadrati con sette edifici e un ristorante (Mondoliquido).

In un’intervista a Repubblica del dicembre 2015, subito dopo la nomina alla guida delle Fs, Mazzoncini ha vantato la gestione «della seconda struttura museale più visitata in città» e ha sottolineato che la società amministrata dalla moglie «sopravvive senza un euro di contributo pubblico».

Vera la prima, non la seconda. Il Parco dell’Acqua vanta oltre 100 mila ospiti all’anno ma riceve contributi dal ministero dell’università e della ricerca (30 mila euro per il triennio 2015-2017), dal Comune (51 mila euro complessivi per tre progetti) e dalla Regione (36 mila euro per il progetto Alimenti.amo) che è partner di Fs in Trenord, amministrata dalla bresciana di Val Camonica, Cinzia Farisè. Altri 25 mila euro sono stati concessi ad Ambienteparco dalla Fondazione Cariplo.

Futurismo ferroviario
L’ultima convention delle Ferrovie, tenuta alla Nuvola di Fuksas nel quartiere romano dell’Eur lo scorso 9 novembre, ha celebrato la proiezione futurista di Mazzoncini. Ancora una volta, senza dimenticare il passato. Come ha raccontato Gianni Dragoni nel suo blog “Poteri deboli”, in piena manifestazione si è palesato Moretti, accolto da un’ovazione e da un facsimile della Clc, la carta di libera circolazione riservata ai ferrovieri. A parte, Moretti ha ricevuto la clc vera e propria pur avendo ricevuto la pesante liquidazione di Finmeccanica-Leonardo (poco meno di 10 milioni di euro).

A gennaio l’ex sindacalista della Cgil arrivato ai vertici del gruppo (2006-2014) è stato condannato in primo grado a sette anni per la strage di Viareggio, una pagina nerissima del trasporto ferroviario nel suo punto più debole, il traffico merci e le linee locali, trascurate, carenti nella manutenzione e distanti anni luce dall’efficientismo dell’Etr 1000 intitolato a Pietro Mennea.

Mazzoncini ha promesso il pareggio di bilancio per le attività merci delle Fs già dall’esercizio 2018. Sul trasporto passeggeri a livello locale il gruppo ha promesso di investire buona parte dei 94 miliardi di euro previsti dal piano industriale, che spazia nel decennio fra il 2017 e il 2026. Con la progressione esponenziale delle tecnologie e la variabilità dei cicli economici, per non parlare della politica, è un intervallo temporale che spaventerebbe anche Nostradamus.

Per adesso è certo che, da qui al 2019, i pendolari dovrebbero uscire dal loro status di martiri per sedersi sulle comode carrozze dei treni chiamati Pop e Rock, prodotti dalla Ansaldo e dalla Hitachi. L’insistenza sul trasporto locale è un’intuizione di business, se non di pura civiltà, che può avere ottimi sviluppi.

Da un lato, il mercato dell’alta velocità è altamente concorrenziale. I treni Alstom di Ntv, la società di Luca di Montezemolo, Diego Della Valle e Flavio Cattaneo, sono sopravvissuti alle difficoltà iniziali e sono un antagonista temibile tanto che i ricavi da Tav per le Fs sono scesi da 783,9 milioni di euro nel 2015 a 607,6 milioni nel 2016 (-22,5 per cento).

Dall’altra parte, il sistema del trasporto locale può essere integrato con il trasporto urbano, come accade nella regione parigina dove un solo abbonamento vale per le linee gestite da Ratp e Sncf, per le metro e per gli autobus.
Nella lista della spesa di Mazzoncini è già finita la più disastrata azienda di trasporto dell’Europa unita, la romana Atac, spedita in concordato preventivo dalla sindaca Virginia Raggi e bisognosa di tutto, dai treni nuovi ai controllori fino al pulitore viaggiante che Mazzoncini si vanta di avere applicato dai treni ad alta velocità ai convogli locali.

Al momento, la patata bollente Atac è il punto di contatto più strategico, e anche l’unico, tra il manager renzista e l’amministrazione grillina. Raggi vedrebbe come la manna dal cielo un intervento statale in un caos che continua a peggiorare nonostante le promesse targate M5S.

Anche la società dei trasporti pubblici di Napoli (Anm) potrebbe finire accorpata al gruppo Fs, mentre a Milano le Ferrovie sono entrate nei lavori della metro 5, rilevando le quote di Astaldi per 65 milioni di euro e un investimento stimato in 1,5 miliardi di euro. Se non è una nuova Iri dei trasporti, ci assomiglia parecchio.

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