Enrico Laghi, il consulente Benetton su Autostrade, tra ricche parcelle e conflitti d'interesse
Per trovare un'intesa con il governo, la famiglia veneta si affida a un commercialista che in un ventennio di carriera ha collezionato decine di poltrone. Tra polemiche, inchieste giudiziarie e infortuni professionali
di Vittorio Malagutti
17 dicembre 2020
laghi-jpgNel Paese dello stallo perpetuo, dove le grandi scelte di politica industriale diventano tormentoni infiniti, il commercialista Enrico Laghi è una specie di trottola in perenne movimento. Accumula poltrone in banche e imprese. Sforna perizie e valutazioni. Concordati e fallimenti sono il suo pane e i giudici gli affidano incarichi da commissario nelle aziende in crisi. Stimato ovunque, lavoratore bulimico, abile tessitore di relazioni ad altissimo livello, Laghi, 51 anni, romano e romanista, ordinario di Economia aziendale all’università La Sapienza, nell’arco di un ventennio è diventato l’uomo dappertutto in un sistema di potere che unisce la finanza milanese con i palazzi del potere (e i salotti) della capitale. Il suo curriculum gronda dei marchi più svariati, molti a controllo pubblico, ma non solo: Snam, Rai, Pirelli e Telecom ai tempi di Marco Tronchetti Provera. E poi Unicredit, Ilva, Alitalia, Air Italy, la ex Meridiana dell’Aga Khan di cui è liquidatore. Così, quando a fine novembre è arrivata l’ennesima nomina di una collezione già ricchissima, nessuno si è sorpreso più di tanto.
I Benetton cercavano un consulente d’alto bordo in grado di guidarli in tempi brevi verso un accordo con il governo nell’estenuante negoziato su Autostrade, che tra gaffe e giravolte di ogni tipo si è trascinato dalla gestione di Danilo Toninelli, ministro delle Infrastrutture nel Conte Uno, fino a quella di Paola De Micheli (Conte Due). Laghi, che conosce bene segreti e liturgie della politica sin dai tempi della sua antica militanza nel movimento giovanile della Democrazia Cristiana, poteva sfoggiare referenze di peso. Sono ottimi i rapporti con Paola Severino, già Guardasigilli nell’esecutivo di Mario Monti e ora legale dell’ex amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci, indagato dalla procura di Genova. E poi, grazie ai molti dossier finanziari gestiti in comune, Laghi vanta anche una lunga consuetudine di lavoro con Sergio Erede e Francesco Gianni, avvocati d’affari di gran fama, entrambi ascoltati consulenti della famiglia veneta. Va detto che il professore romano non è certo uno sconosciuto neppure per i Benetton, se non altro per la comune frequentazione di Cortina D’Ampezzo, dove è di casa anche Paola Severino.
Affare fatto, dunque. Laghi è stato designato alla presidenza di Edizione, la holding che tira le fila di un impero che va dal marchio degli United Colors fino alla gestione dell’aeroporto di Fiumicino. Una poltrona di gran peso, una delle tante.
Nel suo nuovo ruolo il professionista romano, con studio nella centralissima via del Corso, sarà chiamato a gestire l’ennesima partita miliardaria, crocevia di interessi economici e di appetiti politici. In questa girandola di incarichi, poltrone e consulenze, non è difficile perdere il filo. O magari incappare in qualche incidente di percorso. Con gli anni, però, Laghi sembra aver sviluppato doti fenomenali da equilibrista, sempre sull’orlo del conflitto d’interessi. Un rischio quasi inevitabile per chi si trova a interpretare innumerevoli parti in commedia. Esemplare il caso della Vianini lavori di Francesco Gaetano Caltagirone, di cui è fidatissimo consulente da almeno tre lustri. Nel 2016 è stato proprio Laghi a certificare la congruità del prezzo offerto dallo stesso Caltagirone nell’Opa sui titoli della Vianini. A sorpresa, gli amministratori indipendenti scelsero proprio lui, a libro paga del socio di controllo, per valutare l’offerta.
Tutto legale, per carità, con tanto di via libera delle autorità di controllo. Per stroncare ogni sospetto di conflitto d’interessi, la Consob si è accontentata di una nota in cui il professionista ribadiva che i compensi percepiti per l’incarico affidatogli dagli amministratori indipendenti non erano di entità tale da mettere in discussione la sua indipendenza.
Per via del crack dell’Alitalia, quella nata nel 2014 con gli arabi di Etihad come soci, il nome del commercialista romano è invece finito, da indagato, nelle carte dell’inchiesta giudiziaria per bancarotta aperta dalla procura di Civitavecchia. Laghi era presidente di Midco, la holding delle banche e dei soci italiani che possedeva il 51 per cento della ex compagnia di bandiera. A maggio 2017 arriva il fallimento, ma di lì a pochi giorni l’amministratore di fiducia dei vecchi azionisti è di nuovo in sella, questa volta come commissario dell’Alitalia in amministrazione straordinaria insieme a Stefano Paleari e Daniele Discepolo, poi sostituito da Luigi Gubitosi. La nomina di Laghi venne decisa da Carlo Calenda, all’epoca ministro dello Sviluppo Economico nel governo di Paolo Gentiloni. Una scelta piuttosto singolare, se si considera che il commissario dovrebbe garantire la massima indipendenza nei confronti della precedente fallimentare gestione. Il 20 novembre la procura di Civitavecchia ha chiesto l’archiviazione per Laghi e altri indagati. Non è da escludere, però, che il giudice per le indagini preliminari decida il trasferimento a Roma, per competenza, della posizione del neopresidente della holding dei Benetton.
Intanto, dagli atti dell’indagine penale emerge chiaro il ruolo dei tanti consulenti chiamati al capezzale della compagnia in amministrazione straordinaria. È un parterre affollato dove ricorrono alcuni nomi che accompagnano da anni la fortunata carriera di Laghi. C’è per esempio la già citata Severino, che nel 2017 è stata incaricata dai commissari dell’Alitalia fallita di gestire gli aspetti penali della vicenda. Due anni prima, l’ex Guardasigilli, che in veste di ministro era intervenuta nelle vicende giudiziarie dell’acciaieria di Taranto, era stata invece ingaggiata dall’Ilva in amministrazione straordinaria. Anche in quest’ultimo caso, nella terna dei commissari nominati dal governo troviamo Laghi. Il quale, a ben guardare, può vantare un rapporto consolidato anche con Andrea Zoppini, avvocato romano che nell’arco di almeno un decennio si è costruito una solida reputazione nelle stanze del potere romano, dai ministeri alle grandi imprese a controllo pubblico.
Nel 2011 Zoppini venne chiamato al governo da Mario Monti come sottosegretario alla Giustizia con il ministro Severino (ancora lei), ma lasciò l’incarico anzitempo per via di un’indagine per frode fiscale su una parcella pagata in Lussemburgo. L’incidente si è chiuso senza conseguenze sul fronte professionale e la carriera dell’ex sottosegretario ha finito per incrociare in molte occasioni quella di Laghi. Si comincia da Alitalia, che ai tempi della gestione commissariale ha ingaggiato come consulente anche Zoppini. Stesso discorso per Ilva in amministrazione straordinaria: Laghi commissario e Zoppini legale della procedura. Più di recente, nel concordato del gruppo Sangemini, quello delle acque minerali, l’azienda ha affidato a Zoppini il coordinamento dei propri consulenti, tra i quali compare anche Laghi. Missione compiuta: il tribunale di Milano ha dato via libera alla procedura nel marzo di quest’anno.
Nel giugno del 2019 i Gavio hanno invece annunciato il riassetto delle holding a cui fanno capo le attività di famiglia nella gestione delle autostrade, dalla Milano-Torino a quelle in Piemonte e Liguria. Ebbene, anche su questo dossier Laghi e Zoppini lavorano insieme. Così come entrambi si sono occupati del salvataggio di Trevi, grande azienda romagnola specializzata in grandi opere. Il gruppo, che è quotato in Borsa, ha evitato il fallimento grazie all’intervento della mano pubblica, con Cassa depositi e prestiti, insieme al fondo Polaris. La ristrutturazione è passata attraverso un accordo con i creditori, omologato dal Tribunale di Forlì, con Zoppini nel ruolo di avvocato dell’azienda e Laghi incaricato di valutare la bontà del piano.
Non tutto è andato liscio. In prima battuta i giudici avevano negato il via libera a causa di un presunto «difetto d’indipendenza» di Laghi, che figurava tra i consulenti, con relativa parcella, della holding del gruppo, la Trevi finanziaria. Nel gennaio scorso, la Corte d’appello di Bologna ha però accolto il ricorso della società e il piano è stato infine omologato. Tutto regolare, quindi. Strada spianata, ancora una volta, per il professore della Sapienza cresciuto alla scuola di Pellegrino Capaldo, il cattedratico e banchiere che negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso è stato uno dei grandi registi del potere finanziario nazionale.
La pronuncia finale su Trevi risale al gennaio scorso. In quel periodo tra tanti altri impegni Laghi era alle prese anche con un altro dossier miliardario. Un affare di famiglia, perché gli eredi di Bernardo Caprotti, il fondatore di Esselunga, avevano affidato a una terna di arbitri il compito di fissare quale fosse il prezzo giusto per la vendita della quota del 30 per cento di proprietà di Giuseppe e Violetta, figli di primo letto dell’imprenditore scomparso nel 2016. Il collegio presieduto dal professionista romano, di cui facevano parte i colleghi Gualtiero Brugger e Mario Cattaneo, a marzo ha trovato l’accordo su un valore di 6,1 miliardi per il colosso della grande distribuzione. Sulla base di questa valutazione il 30 per cento di Esselunga è stato ceduto alla vedova Giuliana Albera e a sua figlia Marina, già proprietarie del residuo 70 per cento. Resta riservato il valore del compenso destinato agli arbitri. Un milione ciascuno, forse di più. Queste le cifre che circolano negli ambienti finanziari. Una parcella che va a sommarsi alla lista dei proventi delle molteplici attività professionali di Laghi. Tra queste, per esempio, la stesura l’anno scorso del piano per il concordato del gruppo romano Astaldi, con un onorario, al netto dell’Iva, di 2 milioni di euro.
All’elenco vanno infine aggiunti i compensi per gli incarichi in società quotate in Borsa. È il caso di Acea, l’azienda pubblica romana di gas, luce e acqua, quotata in Borsa. Fino al 2019 Laghi è stato sindaco della società, ma i documenti ufficiali rivelano che a partire dal 2015 non si è presentato ad almeno un terzo delle riunioni del collegio, in media una ventina l’anno. Colpa di un’agenda fin troppo fitta d’impegni, forse. Niente paura, il compenso è rimasto lo stesso: 150 mila euro l’anno. Lordi.