Economia
settembre, 2020

Con l'impiegato in smart working crolla tutto il mattone

City Life a MIlano
City Life a MIlano

Il lavoro da remoto ha svuotato gli uffici e l’investimento nei grandi palazzi perde valore. Così diventa incerto il futuro di un settore cruciale per l’economia. Ecco come si stanno muovendo le grandi aziende

City Life a MIlano
Tra le vittime della pandemia c’è la grande azienda fantozziana, falansterio e alveare basato sulla fissità spazio-temporale della scrivania, dell’orario, della pausa mensa. I brevi cenni di flessibilità introdotti negli ultimi anni, fra i dubbi di chi sentiva a rischio il feticcio neoliberista della produttività, hanno subito un’accelerazione tremenda a opera del Covid-19 che, a suo modo, ha bollato come malsano l’intero modello.

Gli elementi della detonazione erano già lì prima del virus. L’armamentario della tecnologia digitale ha mostrato l’obsolescenza del modello basato sulla presenza fisica del dipendente, magari assorto in furiose battaglie navali da un tavolo all’altro. Nello stesso modo, qualche decennio fa la meccanizzazione più avanzata e la delocalizzazione avevano trasformato le grandi fabbriche abitate da migliaia di operai in aree dismesse in attesa di riconversione.

Alla fine uno dei punti è proprio questo. Con Filini, Silvani e Calboni che lavorano da remoto, il primo contraccolpo è immobiliare. Non sembri cosa da poco. L’economia italiana deve molto al mattone. E di mattoni vivono non soltanto le imprese edilizie, gli uomini del real estate, i developer e tutti quelli che a Roma chiamano, con approssimazione efficace, palazzinari. Di mattoni magari sopravvalutati sono fatti gli stati patrimoniali di tante società, banche in testa. E dal mattone aziendale dipende un indotto di esercizi commerciali che il Corona ha già messo a dura prova e che il lavoro a distanza sta mettendo in ginocchio definitivamente. Con il passare dei giorni si fa più concreta l’ipotesi che il governo proroghi lo stato di emergenza dal 15 ottobre fino a gennaio del 2021 o magari oltre, secondo l’andamento di un contagio che l’esperto della Casa Bianca Anthony Fauci prevede attivo fino alla fine dell’anno prossimo.

Racconta un dirigente che lavora in un’azienda dello Stato a Roma e che è rimasto al vecchio posto in ufficio: «Prima del virus, per prendere un caffè mi bastava uscire in pausa e scegliere un bar nel giro di pochi passi. La scorsa settimana ho camminato dieci minuti fino alla stazione Termini. È tutto chiuso e fa ancora più impressione rispetto all’anno scorso, quando la città era nel delirio del turismo di primo autunno».

Scena simile a Milano, piazza Cordusio, epicentro per eccellenza degli affari finanziari. Dice un manager di banca: «Sotto il mio ufficio c’erano due grossi locali che facevano da mensa ai dipendenti. Uno è chiuso per lavori che forse, con i bonus dell’edilizia, sono più redditizi dei clienti spariti. L’altro, ed è un caso più grave, ha riaperto per qualche settimana e poi ha richiuso».

CRISI? QUALE CRISI?
Secondo una ricerca recente condotta da Nomisma con Scenari immobiliari, nel 2019 Milano è stata la quarta città europea per investimenti con 5,47 miliardi di euro nel cemento. Il podio, prevedibile, vede in cima alla classifica Londra attesa alla prova della Brexit, oltre che del virus, con 22 miliardi, seguita da Dublino con 13,3 miliardi e da Parigi con 9,5 miliardi di euro.

Milano però è in testa negli investimenti del settore residenziale-commerciale-terziario per il decennio 2020-2029 con oltre 13 miliardi, seguita da Monaco di Baviera (10,8 miliardi) e Amsterdam (10,2 miliardi). Poco meno della metà del denaro speso nel capoluogo lombardo viene da finanziatori esteri.
Le torri Ligini all'Eur

La cesura del virus ha reso queste previsioni trionfali molto incerte. «Ci vuole qualche mese di tempo per capire gli effetti strutturali e se l’ondata del virus è destinata a rientrare», dice Luca Dondi, ad di Nomisma. «Certo se lo schema sarà quello attuale, avremo un impatto significativo sulla redditività dello sviluppo immobiliare garantita dal lavoro in presenza. Adesso c’è attendismo e una tranquillità ostentata, al di là della riduzione di transazioni dovuta alla contingenza del virus. Ma se verrà prorogata l’emergenza, ci sarà una discesa dei prezzi sul commerciale e sui moduli direzionali e questo avrà un impatto più preoccupante sui portafogli per un’economia che si è spesso nascosta dietro patrimoni immobiliari dai valori virtuali».

Sulla linea della tranquillità c’è il rapporto “The future of global office demand” pubblicato dalla società statunitense di servizi immobiliari Jones Lang LaSalle (Jll) ai primi di settembre. Lo studio, non del tutto super partes, ha confermato che un’alta flessibilità e lo sviluppo della digitalizzazione sono fattori di importanza crescente ma non peseranno in modo definitivo sullo sviluppo del settore, a dispetto di una flessione del 30 per cento nel primo semestre 2020.

La distinzione tra telelavoro e smart working va precisata. Secondo il ministero del Lavoro, che fa riferimento alla legge 81 del 2017, lo smart working si basa sulla «flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone). Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie». Il telelavoro invece si fonda su un contratto collettivo per un’attività che avviene fuori dal contesto aziendale che, fra codici di disciplina e orari fissi, è un contesto a forte controllo.

Un esempio di smart working è l’accordo di fine luglio del gruppo Fs che consente al dipendente, su sua richiesta, di lavorare a casa undici giorni al mese, con fornitura di cellulare, scheda dati e computer. Prima del virus un accordo simile interessava appena 1500 persone per otto giorni al mese. Oggi sono 20 mila dipendenti sugli 80 mila totali.

La produttività rimane ancora il pretesto più forte contro il lavoro a distanza. In molti mestieri è di difficile misurazione ma l’estratto di saggezza pratica dei manager consultati dall’Espresso è piuttosto semplice: chi lavorava tanto prima lavora di più in remoto e chi lavorava poco prima lavora poco anche in remoto. A un calcolo grossolano il risultato si compensa.

Poi vengono citati altri fattori ancora più imponderabili come l’esplosione di creatività che si svilupperebbe nei contatti interpersonali alla macchinetta del caffè o magari negli intrighi di corridoio. Fra gli oppositori del lavoro a distanza c’è anche chi nota nelle video riunioni su Teams e analoghi un incremento della rigidità gerarchica rispetto agli incontri di persona.
Il progetto dello Stadio della Roma

Vero o falso che sia, l’avanzamento tecnologico ha spesso preso in contropiede le aziende, pubbliche e private, che spesso si sono attrezzate in ritardo rispetto alla strumentazione richiesta dal nuovo modello.

In ogni caso la pressione del lavoro da remoto si fa sentire di più su chi, già prima del virus, si ritrovava sul groppone migliaia di vani da affittare o vendere. A Roma, per esempio, da tre anni è un fuggi fuggi generale (Sky, Mediaset, Esso, Opel) con oltre il 10 per cento su 25 mila aziende svanito in dieci anni e ripercussioni gravi sui bilanci degli sviluppatori. Rimangono in sospeso gli eterni progetti del nuovo stadio romanista al quale è appeso il nuovo quartiere direzionale di Tor di Valle, la bonifica dell’ex area Italgas all’Ostiense (Eni) o le Torri Ligini all’Eur che, dopo anni di abbandono, Cdp ha dato da affittare proprio agli americani di Jll.

DECRESCITA ALLA MILANESE
Se Roma piange, Milano ha poco da ridere. Il sindaco Giuseppe Sala è uno dei difensori più strenui del ritorno a bordo dei dipendenti. Dal suo punto di vista, ha ragione. Se c’è una città-azienda in Italia, quella è Milano e i 14 mila residenti anagrafici in meno dall’inizio del flagello Covid-19, che pure rappresentano l’1 per cento della popolazione, non dicono tutta la verità. Il motore dell’economia lombarda e nazionale è alimentato da decine di migliaia di lavoratori che, burocraticamente parlando, non sono milanesi perché mantengono la residenza originale, nella speranza di rientrare in una città dove si trovi un monolocale a meno di 800 euro al mese e un habitat migliore della gabbietta con mobilio a scomparsa del film “Il ragazzo di campagna” con Renato Pozzetto (“taac!”).

Sganciarsi da un sistema che si fonda in gran parte sul passaggio della ricchezza da chi lavora alla riserva parassitaria delle rendite può avere conseguenze sulla bolla immobiliare tali da togliere ancora molti abitanti a Milano. Per i sostenitori della decrescita felice è un bene. Forse meno per Sala, che medita di non ricandidarsi alle Comunali del 2021.

Sull’ipotesi che Milano rischi la fuga in avanti è in disaccordo Aldo Mazzocco, ad di Generali Re con trent’anni di esperienza nell’immobiliare e presidente di Citylife, il nuovo complesso segnato dalle tre torri (Generali di Zaha Hadid, Allianz di Arata Isozaki, Pwc di Daniel Libeskind) sorte nell’area della vecchia fiera campionaria di Milano.

«Non bisogna drammatizzare gli effetti del virus sul mercato», dice Mazzocco. «L’immobiliare ha superato lo shock delle Torri gemelle e del crac Lehman. I centri città manterranno la loro attrattiva come luoghi di lavoro e di aggregazione.Il settore uffici vedrà qualche aggiustamento legato alla crescita del remote working, ma con formule miste che prevedano sia la presenza in ufficio che da remoto, e tenendo conto del fatto che solo alcune funzioni aziendali possono essere remotizzate. In ogni caso avevamo già previsto per la torre data in affitto a Pwc un’alta rotazione del personale. Per quanto riguarda i prezzi, mi fa più paura l’effetto di un rallentamento generale dell’economia che quello dell’obsolescenza del modello azienda».

Generali come gruppo a dimensione europea ha in portafoglio 31 miliardi di euro di immobili e aveva un piano di lavoro a distanza antecedente al virus che ora sarà accelerato. Ma è evidente che il gigante delle assicurazioni sta dalla parte indicata da Jp Morgan che ha riportato i suoi trader in ufficio dal 21 settembre, salvo problemi di bambini piccoli e di salute.

Nel settore finanziario la configurazione dei nuovi spazi di lavoro nell’era post-Covid ha segnato anche il gruppo Unicredit, concentrato nella torre da 231 metri a Porta Nuova. Dal 2012 il gruppo è passato da 26 edifici di direzione generale a cinque e al momento ha in smart working il 70 per cento della forza lavoro complessiva di 38 mila dipendenti, inclusi uomini della rete e consulenti. La presenza nei grandi stabili è ridotta a un quarto e arriverà al più alla metà per tutto il 2020. L’ultimo accordo sindacale porta lo smart working fisso da uno a due giorni alla settimana.

GAFAM CONTRO BANCHE
Gli attriti sul lavoro da remoto che dividono il mondo della finanza e il mondo dell’hi-tech possono diventare lo scontro fra giganti del prossimo futuro. I Gafam (Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft) non sono riducibili a semplici venditori di avanzamento tecnologico, ma guidano e indirizzano quella che gli scenaristi chiamano “disruption”. I mesi della chiusura hanno fatto segnare un boom a due cifre percentuali per le vendite di materiale hi-tech utile al lavoro a distanza e hanno ampliato la penetrazione dell’e-commerce in Europa ai livelli del paese più “Amazon oriented”, il Regno Unito.

Che poi i colossi dell’hi-tech predichino il lavoro in remoto mentre praticano ancora il grande centro direzionale, almeno a livello di quartier generale, è indiscutibile.

I 190 mila metri quadrati del Googleplex a Mountain View (California) sono superati dai 270 mila mq degli uffici aziendali Google sull’ottava Avenue a Manhattan, in pieno Meatpacking district. L’anello dell’Apple park di Cupertino, inaugurato tre anni fa, sviluppa 260 mila metri quadrati ed è stato fotografato dall’alto nel suo quasi completo abbandono a marzo, quando ancora The Donald diceva che il Covid-19 era una semplice influenza e il management Apple aveva deciso di mandare i dipendenti a lavorare da casa.

In molti conoscono il campus di Facebook a Menlo Park dove oltre 15 mila dipendenti lavorano nella struttura che David Zuckerberg ha rilevato dalla Sun Microsystems. In pochi sanno che Amazon vuole sviluppare il suo centro da 60 mila metri quadrati a Torrazza Piemonte, nella città metropolitana di Torino fino a farne la più grande tipografia e stamperia d’Europa. La società di Jeff Bezos, nota per il suo controllo arcigno sui dipendenti, rimane modernissima fuori ma molto fantozziana dentro.

L'edicola

L'effetto domino di una Nato senza Stati Uniti

Bisogna accelerare il percorso verso un'Europa federale autenticamente politica che fin qui è mancato