Economia & ambiente
Il cambiamento climatico è un disastro anche per l’economia: questo è il conto miliardario per le aziende
I danni al sistema produttivo per effetto di incendi, alluvioni e siccità sono in aumento. Cemento, acciaio e microchip i settori più esposti. Ma anche l’agricoltura e i trasporti via fiume. E s’impennano i costi per le assicurazioni
A Panama, la siccità estrema ha costretto le autorità che gestiscono il Canale a imporre nuove regole al passaggio delle navi. Non c’è acqua a sufficienza e i portacontainer più grandi dovranno limitare il carico per non toccare il fondo. Di sicuro, quindi, aumenteranno i costi di trasporto e, di conseguenza, anche i prezzi delle merci per aziende e consumatori finali.
Nel sudest dell’Asia, dalle Filippine al Vietnam fino al confine con l’India, l’ennesima ondata di caldo anomalo minaccia la salute pubblica, soprattutto dei più poveri, e rallenta la produzione delle fabbriche al servizio dei grandi gruppi occidentali. Dall’altra parte del mondo, in Spagna, le piogge torrenziali della seconda metà di maggio hanno messo fine a una siccità lunga più di due anni con temperature che già ad aprile avevano raggiunto i 40 gradi in Andalusia. L’agricoltura soffre ed è a rischio soprattutto la coltura delle olive, di cui il Paese iberico è di gran lunga il maggior produttore europeo con un giro d’affari miliardario.
Nei giorni in cui in Italia si contano i danni della catastrofica alluvione in Romagna, le cronache dal resto del mondo confermano che eventi climatici estremi si ripetono con una frequenza sempre maggiore. Per fortuna si riduce, come confermano tutte le statistiche, il bilancio delle perdite in termini di vite umane. È in continuo aumento, invece, il costo dei disastri per l’economia.
Secondo un report del gruppo assicurativo Swiss Re, entro il 2050 il riscaldamento globale potrebbe tagliare ogni anno del 14 per cento il Pil del mondo, cioè all’incirca 23 mila miliardi di dollari. Gli investimenti necessari per contenere gli effetti del rialzo delle temperature - calcola l’Ocse - sarebbero invece pari a circa 7 mila miliardi annui nell’arco del prossimo trentennio. Una somma di gran lunga inferiore, quindi, ai costi del cambiamento climatico.
Questi numeri fanno apparire ancor più surreali gli argomenti di una parte del mondo politico, a destra come a sinistra, che accusa di estremismo ambientalista chi chiede interventi drastici e immediati per ridurre le emissioni di CO2, causa principale del global warming. Bisogna fare presto, allora, non solo perché entro alcuni decenni la frequenza e l’intensità degli eventi estremi renderà inabilitabili ampie aree del pianeta. L’evidenza dei fatti dimostra che un rischio climatico crescente pesa fin da adesso sul sistema produttivo. E con l’andar del tempo il prezzo da pagare per molte aziende, nei più diversi settori di attività, potrebbe diventare così elevato da mandarle fuori mercato.
Per farsi un’idea dei danni provocati dal rapido alternarsi di siccità e alluvioni basta scorrere le cronache che riguardano il Reno, fondamentale via di trasporto al centro dell’Europa, un fiume che garantisce le risorse idriche indispensabili al funzionamento di innumerevoli fabbriche disseminate lungo il suo corso. Nel 2018, una fase di magra eccezionale innescò un calo dell’1,5 per cento della produzione manifatturiera nell’intera Germania. In quell’anno gli stabilimenti del colosso chimico Basf, che prelevano dal Reno l’acqua necessaria al raffreddamento degli impianti, furono costretti a rallentare la produzione. All’epoca gli analisti calcolarono che i danni per il gruppo tedesco in termini di minori profitti superarono i 250 milioni di euro. Nell’estate del 2021 fu invece l’alluvione a mettere in crisi il sistema di trasporto delle merci per 760 chilometri tra Svizzera, Germania e Olanda. Tempo dodici mesi e la situazione si ribaltò. In agosto del 2022, causa caldo e siccità, il livello del grande fiume si è abbassato a tal punto da paralizzare le catene di forniture di decine di grandi aziende.
I ripetuti episodi di siccità, a volte seguiti da piogge alluvionali, creano grandi difficoltà non solo all’agricoltura, ma ad interi settori produttivi. Cementifici e acciaierie, per esempio, non possono funzionare senza aver accesso a risorse idriche abbondanti e continue. È stato calcolato che negli Stati Uniti l’acqua utilizzata in un anno per la produzione di cemento equivale al consumo domestico di 145 milioni di cittadini. L’oro blu è indispensabile anche per industrie leggere come quella dei semiconduttori. Gli impianti che producono questi materiali, indispensabili per tutti i dispositivi che richiedono un chip per funzionare, dagli smartphone ai computer fino alle automobili, consumano grandi quantitativi d’acqua. Una risorsa, quest’ultima, che negli ultimi anni è diventata sempre più scarsa nel sudovest degli Stati Uniti. In quest’area si trova una delle massime concentrazioni al mondo di aziende produttrici di semiconduttori, seconda solo all’Estremo Oriente, dalla Cina a Taiwan. E così, anche colossi come Intel hanno dovuto fare i conti con la siccità che negli ultimi anni ha ridotto ai minimi termini le riserve d’acqua di stati come l’Arizona. La mancanza di piogge ha creato gravi problemi anche al gruppo Taiwan Semiconductor Manufacturing, che è il più grande produttore al mondo di semiconduttori per conto terzi. Nel 2021 l’isola di fronte alla Cina era stata risparmiata dai tifoni che ogni anno garantiscono abbondanti risorse idriche al paese. E così, per non fermare l’attività, l’azienda taiwanese è stata costretta a rifornirsi tramite cisterne con maggiori costi per decine di milioni di euro.
La variabile clima, quindi, ha un peso sempre maggiore sui conti delle imprese. Non per niente per le società quotate in Borsa è ormai prassi comune inserire anche i rischi legati ai fenomeni estremi, tipo alluvioni o siccità prolungate, tra quelli che vanno comunicati agli azionisti. Di conseguenza cambia anche il business delle compagnie di assicurazioni, costrette a far fronte all’incremento dei risarcimenti legati a quelli che vengono definiti «sinistri catastrofali». Secondo uno studio del gruppo assicurativo britannico Aon, il costo totale dei danni legati a disastri naturali l’anno scorso ha toccato i 313 miliardi di dollari, per quasi un terzo (95,5 miliardi) legati all’uragano Ian che ha devastato la Florida e Cuba. La siccità in Europa pesa invece per circa 22 miliardi. Più della metà di quei 313 miliardi di danni non erano coperti da polizze. Le assicurazioni hanno perciò dovuto far fronte a risarcimenti per 132 miliardi di dollari, una somma di gran lunga più elevata rispetto alle media dei venti anni precedenti, che si aggira attorno a 80 miliardi. L’aumento dei sinistri catastrofali si è fatto sentire anche sui conti delle Generali, la più grande compagnia italiana. I disastri naturali hanno pesato sul bilancio 2022 per 673 milioni di euro, contro i 493 milioni del 2021. E quest’anno la sola alluvione di maggio in Romagna potrebbe causare oltre 100 milioni di risarcimenti. A pagare, alla fine, saranno i clienti, che vedranno aumentare il costo delle polizze. Un altro effetto indiretto del cambiamento climatico.