Una provocazione contro i privilegi dei contribuenti autonomi. Sempre più favoriti da questo governo

Nel breve periodo l’inflazione produce il taglio del valore reale del debito pubblico sul Prodotto Interno Lordo cresciuto per effetto dell’aumento dei prezzi. In Italia, nel biennio 2022-2023, il rapporto Debito/Pil è passato dal 145,3 del 2022 al 137,3 del 2023. Nel medio periodo, invece, l’effetto si invertirà se il Prodotto Interno Lordo non avrà una ripresa vigorosa.

 

I dati del Documento di economia e finanza relativi al 2021-2024 confutano l’automatismo tra l’andamento delle entrate fiscali e quello delle spese pubbliche. Nel 2024, infatti, è stimato un aumento del 17,2% delle entrate, ben superiore al 7,9% di quello delle uscite. Uno scarto che prefigura una consistente riduzione dell’intervento pubblico per la socialità e per le retribuzioni dei dipendenti pubblici (-4%). La spesa della Sanità dal 2021 al 2024 è passata da 127,8 miliardi a 138,7 miliardi (+8,5%). Se si tiene conto dell’inflazione, si rileva una perdita di valore del 6,2%. Quest’anno, per mantenere lo stesso livello di spesa del 2021, occorrerebbe un intervento aggiuntivo di 8,6 miliardi. In una fase di forte inflazione sostenere, come ripete il governo, che la spesa sanitaria ha beneficiato di un incremento di 3 miliardi superiore a quello degli anni precedenti contraddice la verità. Conta solo il rapporto tra il Pil e la spesa sanitaria, che è diminuito. Il resto è pura fantasia. Non abbindola nessuno come testimonia l’appello di 14 scienziati, tra cui il premio Nobel Giorgio Parisi.

 

La spesa sanitaria sul Pil, per tenere in vita il Servizio Sanitario Nazionale istituito nel 1978, che ha incrementato l’aspettativa di vita dei nostri concittadini da 73,8 a 83,6 anni, secondo quanto scritto nell’appello degli scienziati dovrebbe essere pari almeno all’8%. Un obiettivo lontano dagli orizzonti del governo che, sbagliando, conta sulla sanità privata per attutire i gravi disequilibri esistenti. Tale scelta li aggrava. Come era prevedibile, ben 4,5 milioni di persone hanno rinunciato a curarsi proprio per l’onerosità delle prestazioni private. Lo stesso trend si rileva nella voce «altro welfare». Dal 2021 al 2024 si registra un rilevante taglio da 111,6 miliardi a 109,9, con un decremento dell’1,8%, senza contare l’inflazione (15%). La povertà assoluta, che nel 2019 era scesa al 7,9% della popolazione, in concomitanza con il reddito di cittadinanza (da migliorare, non da cassare), è salita al 9,8% .

 

La riduzione della spesa non si registra, pena il dissesto dello Stato, solo per il pagamento degli interessi passivi sul debito pubblico passato dai 63,7 miliardi del 2021 agli 84,8 del 2024, con un aumento del 33%, di ben 15 punti percentuali superiori al tasso di inflazione.

 

In questa situazione, sconcerta constatare che nei 13 procedimenti della riforma fiscale non ci sia mai una manovra rivolta a enfatizzare la «razionalità tributaria» a danno della «discrezionalità e del favore». Si privilegiano, invece, i contribuenti non soggetti alla ritenuta fiscale alla fonte che molto probabilmente nel prossimo futuro aumenteranno l’evasione fiscale. Data la crescente disparità di trattamento tra i contribuenti assoggettati alla ritenuta alla fonte e quelli che pagano le imposte sulla base della dichiarazione dei redditi forse potrebbe essere il caso che sindacati e opposizione chiedessero la soppressione della ritenuta fiscale alla fonte per restituire a tutti i contribuenti la stessa «dignità fiscale».