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Editoriale
marzo, 2021

Questione di fiducia

I vaccini sospesi hanno minato la credibilità dei governi europei. Draghi ha il dovere di parlare agli italiani, partendo dai più deboli: i bambini e i ragazzi dimenticati

Il maestro del tempo perduto, così il quotidiano della sinistra francese Libération (17 marzo) ha definito il presidente Emmanuel Macron. Ma è il tempo, il maledetto tempo del Covid, a guidare le mosse dei governanti europei. Guadagnare tempo. E rischiare di perderlo. Sono i due estremi della campagna di vaccinazione, l'unica arma per ritornare a una possibile normalità dopo un anno di lockdown. La decisione della Germania di sospendere la somministrazione del vaccino Astrazeneca, seguita da Francia, Spagna e dall'Italia di Mario Draghi, ha rappresentato una strozzatura nel programma vaccinale, una perdita di tempo che rischia di trasformarsi in una nuova catastrofe politica, con la perdita di credibilità delle classi dirigenti. Una questione di fiducia.

 

Il populismo nell'anno del Covid è uscito sconfitto perché l'emergenza ha rimesso in circuito i tecnici, i competenti, coloro che sanno. Tra questi, i medici in prima linea sul fronte, gli scienziati, e poi gli analisti. Ma anche i politici, i governanti di ogni colore, chiamati in Europa dalla storia a gestire un panorama di guerra dopo decenni di pace. Nell'anno zero del Covid, il 2020, sono state premiate nei sondaggi quelle leadership in grado di rassicurare la tenuta delle istituzioni e delle strutture in mezzo alla tempesta e sono stati puniti quei capi politici come Donald Trump che hanno negato la tragedia. Nell'anno primo d.C (dopo Covid), il 2021, questo consenso rischia di capovolgersi, vittima di una delle armi più insidiose del nemico: l'imprevedibilità. Un anno fa l'imprevedibilità riguardava la diffusione della pandemia, la tragedia delle terapie intensive intasate e incapaci di fronteggiare l'arrivo dei contagiati più gravi, le conseguenze economiche e sociali. Oggi imprevedibile è l'emergere delle varianti del virus e la reazione dell'opinione pubblica rispetto all'inefficacia o peggio alla letalità di uno dei vaccini. Per rassicurare non bastano le argomentazioni razionali e scientifiche e le certificazioni delle autorithy di controllo. L'imprevedibilità rende fragili le previsioni e le proiezioni dei governanti e mette a dura prova anche la tenuta delle leadership più coriacee. In difficoltà sono le due donne tedesche che guidano la politica europea. Angela Merkel, al tramonto della sua lunga stagione, i sedici anni di cancelleria, con una decisione improvvisa ha sospeso in via precauzionale Astrazeneca e ha costretto i colleghi di governo degli altri paesi a fare altrettanto. Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, è da settimane sotto accusa, nell'Europarlamento e nell'opinione pubblica: la mancata trasparenza dei contratti con Big Pharma, la debolezza nell'imporre sanzioni per le consegne mancate, l'irresolutezza politica. Di nuovo, di fronte all'imprevedibilità del virus, l'Europa appare in deficit di leadership. Di nuovo, una questione di fiducia.


È l'imprevedibilità della democrazia, verrebbe da aggiungere. Ovvero la richiesta di trasparenza, unita all'agorà in seduta permanente dei politici, scienziati, commentatori, che richiede di tenere sempre vivo il circuito di autorevolezza e credibilità dei governanti, il consenso, la comunicazione. La Merkel ha agito all'indomani di un doppio rovescio elettorale della Cdu, il suo partito, in Baden-Württemberg e in Renania Palatinato. La presidente della Commissione Ue von der Leyen resta in silenzio di fronte alla deputata della sinistra francese Manon Aubry che chiede conto della debolezza dell'Unione rispetto alle case farmaceutiche, il video diventa virale, è un'altra immagine del nostro tempo (l'intervista di Anna Bonalume a pagina 54): quelle domande martellanti della giovane europarlamentare, esponente dell'associazionismo in prima fila sui diritti, pesano nel dibattito pubblico europeo e nella coscienza civile. E in Italia per la prima volta il governo Draghi ha incontrato un intoppo con la realtà. La realtà di cittadini rispediti a casa mentre erano in fila per il vaccino. Una scena incomprensibile, come la mancanza di spiegazioni che l'ha accompagnata.

 

C'è l'esigenza di un rapporto con l'opinione pubblica. I primi trenta giorni sono stati caratterizzati dal silenzio di Draghi: una quaresima di digiuno per i media che erano stati abituati all'iper-esposizione del predecessore Giuseppe Conte. Un anno fa, durante il primo mese di pandemia, Macron parlò quattro volte alla Nazione, la Merkel due volte, Conte ben sedici volte, aumentando in gradimento nelle settimane più drammatiche, mentre l'immagine dei camion militari di Bergamo trasformati in carri funebri facevano il giro del mondo. Nella seconda parte dell'anno, i messaggi di Conte hanno cambiato di segno e hanno logorato l'immagine del premier. Lo stile Draghi è diverso, si predilige la squadra al singolo, con il ruolo più marcato sul fronte della lotta al covid di alcuni ministri anche di colore politico opposto, da Roberto Speranza a Mariastella Gelmini. Ma gli interventi pubblici degli ultimi giorni, a partire dalla visita a Bergamo, la città-simbolo della tragica prima ondata del marzo 2020, dimostrano che a Palazzo Chigi si è avvertita la necessità di uno scarto comunicativo: di fronte all'imprevedibilità e all'insicurezza non si può tacere, il premier è obbligato a mostrarsi in prima persona, ha il dovere di parlare e di rispondere alle domande. Conte è rimasto prigioniero delle sue parole, Draghi deve evitare di restare prigioniero dei suoi silenzi.
Anche il rapporto con l'opinione pubblica fa parte del percorso di impossibile normalità che vorrebbe essere il tratto caratteristico del governo Draghi. Impossibile, perché non è normale ma straordinario questo tempo, non solo per il Covid: se non fosse così non avremmo un governo di unità nazionale presieduto da una figura prestigiosa ma estranea al sistema politico. Normale, perché solo dal ripristino del regolare funzionamento delle istituzioni repubblicane si può sperare in un recupero.


Lo Stato deve riprendere a fare lo Stato: è il senso dei cambiamenti alla protezione civile, al commissariato per l'emergenza, al comitato tecnico scientifico. È il senso, anche, di quanto sta accadendo ai vertici dei partiti del centro-sinistra. Enrico Letta è stato eletto segretario del Pd alla quasi unanimità come risposta a un'emergenza: il predecessore Nicola Zingaretti se n'è andato senza dare motivazione di fronte alla sua comunità, il partito si è ritrovato nel caos alla vigilia della campagna per il voto amministrativo di autunno nelle principali città italiane, cui seguirà l'appuntamento più importante, l'elezione del Capo dello Stato all'inizio del 2022. Ma da questa emergenza Letta vorrebbe far scaturire la normalità di un partito che si riunisce e che discute di politica nei suoi circoli di base (via streaming causa Covid) e che torna al ruolo che la Costituzione assegna ai partiti: fare da collegamento tra le istituzioni e la società, l'infrastruttura più importante della democrazia. La mancanza di questa infrastruttura ha lasciato le istituzioni senza popolo e il popolo senza rappresentanza. Oppure, ha consegnato la rappresentanza al partito del territorio (la Lega nelle sue varie mutazioni) chiuso ni suoi confini, senza interesse generale, o al partito della Rete e della democrazia diretta (Movimento 5 Stelle), il presunto interesse generale (Rousseau) al di sopra dell'umanità e della storia. Sono i sintomi della democrazia malata, di cui ha parlato Letta nel suo primo intervento, che rende fragile lo Stato italiano.


La democrazia è stata bloccata negli anni della Prima Repubblica, della guerra fredda, dell'impossibilità per il Pci di costruire un'alternativa alla Dc. La democrazia compiuta è stata l'ossessione dei maestri del cattolicesimo democratico e di Letta, da Beniamino Andreatta a Leopoldo Elia, nel solco di Aldo Moro, e poi Roberto Ruffilli, Pietro Scoppola. Il Pd doveva essere il partito dell'alternativa e del bipolarismo, è invece diventato il pilastro e la vittima di una nuova democrazia bloccata, dove resti sempre al potere anche senza mai vincere le elezioni. E al suo interno ha costruito un'altra democrazia bloccata, cementata dal patto tra correnti che non rappresentano più alcuna cultura politica ma soltanto tribù di capi. Il Pci era condannato a non governare mai, il Pd a governare sempre, come una Dc minore.


L'emergenza ha il compito di ricostruire la normalità, dello Stato o di un partito, vale per Draghi e per Letta. E vale sul fronte più delicato, su cui arrivano altri segnali di insensibilità. È stata la ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità Elena Bonetti a elogiare il «lavoro agile» in casa, lo smartworking, che a suo dire consente di lavorare e tenere in cura la famiglia senza congedi parentali. L'agilità che tutte le famiglie italiane, le donne in particolare, stanno dimostrando da oltre un anno. Mentre le istituzioni non hanno fatto un solo passo in avanti sulla questione più delicata. Il futuro delle prossime generazioni, cui è intitolato il piano europeo: Next Generation Eu. In attesa del piano, la scuola è tornata a chiudere le sue porte per gli studenti delle zone rosse. L'Italia è in Europa nella parte bassa della classifica, è tra i paesi con il maggior numero di settimane di chiusura. In molti si stanno interrogando sulle conseguenze di questo tempo perduto per i ragazzi, tempo che non sarà recuperato. Annalisa Cuzzocrea, giornalista di Repubblica, ha dedicato al tema un libro appena uscito, "Che fine hanno fatto i bambini" (Piemme). In tanti se lo stanno chiedendo.


Dedichiamo la copertina alla generazione che stiamo perdendo. La prendiamo da un punto di vista straordinario e inesplorato. Elena Testi racconta il suo viaggio tra i pronto soccorso pediatrici e tra i reparti di Neuropsichiatria infantile, dal Bambin Gesù di Roma al Sant'Orsola di Bologna alla fondazione Modino di Pavia, da Milano a Codogno, tra i medici che accolgono i bambini che non mangiano, non dormono, hanno paura di non camminare più e di non essere rimasti ciechi, si fanno del male per superare il dolore, fino ad arrivare ai tentati suicidi, in aumento. Questi reparti sono le "altre" terapie intensive, gli avamposti che curano le ferite invisibili conseguenza del Covid: i lockdown prolungati, la scuola che non c'è, le famiglie sotto stress. In alcuni ospedali, i reparti Covid distano pochi metri dai pronto soccorso per bambini.

 

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I bambini dell’era Covid abbandonati ai loro incubi
19/3/2021
Padri e figli si salutano prima di separarsi, per andare in una direzione o nell'altra. In un Paese che considera una perdita di tempo curare la salute mentale, per piccoli e adulti. Speriamo che la nostra inchiesta, la nostra denuncia sia vista e ascoltata dal presidente del Consiglio Draghi, il ministro dell'Istruzione Patrizio Bianchi, la ministra Bonetti, il segretario del Pd Letta, padre di tre figli, che con la proposta del voto ai sedicenni ha avuto il merito di rilanciare nel dibattito loro, i ragazzi e le ragazze, i grandi dimenticati, senza rappresentanza di alcun tipo. Non li proteggiamo. Non lo stiamo facendo. Dobbiamo farlo. Una questione di fiducia. Una questione politica.

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