C’è un dettaglio che spicca nella monumentale biografia pubblicata nel 2023 da Walter Isaacson. È a Napoleone Bonaparte che Elon Musk ispira il suo stile di leadership, convinto che la presenza fisica del còrso sul campo di battaglia storicamente motivasse le truppe. È per questo che, sin dalla fondazione del suo impero, il miliardario si è dato la regola di farsi “sentire” dai dipendenti, passando a volte anche nottate intere in produzione al fianco degli operai. È forse seguendo un principio affine che, in vista del cinque novembre, si è trasferito momentaneamente in Pennsylvania, lo Stato in bilico dove si giocherà forse la partita più importante per Donald Trump. Il profeta dell’innovazione, diventato il più grande sostenitore dell’ex presidente, è pronto – pare – anche a bussare a ogni porta pur di spingere la gente a votare per i repubblicani.
Ma la discesa in politica del proprietario di X (ex Twitter), Tesla e SpaceX – ultimo colpo di scena di queste elezioni al cardiopalmo (scombussolate dal ritiro di Joe Biden e da un attentato a Donald Trump) – inizia ben prima dell’endorsement pubblico, il 13 luglio scorso, davanti all’immagine del candidato insanguinato con il pugno al cielo. Musk – secondo quanto rivelato dal Wall Street Journal – finanziava segretamente con milioni di dollari i conservatori americani sin dal 2022. Da quando è stato creato, quest’anno, il comitato di azione politica “America Pac”, da lui sostenuto, ha speso 77 milioni di dollari per appoggiare la campagna. L’ultima trovata, ai limiti della legalità, è la promessa di 47 dollari agli elettori degli swing che firmeranno una petizione sulla libertà di parola. Obiettivo: fidelizzare e portare voti al Gop.
La presa della longa manus dell’uomo più ricco del mondo sulle elezioni americane va ben oltre il peso del suo conto in banca. Musk sta condizionando questa campagna grazie all’uso spregiudicato del suo X, diventato ormai l’unica fonte d’informazione per il popolo Maga. «Già nella passata tornata c’era grande preoccupazione sulla necessità che i social media proteggessero gli utenti. Quest’anno le cose sono peggiorate, perché Musk è la più grande fonte di disinformazione al mondo», afferma Rick Hasen, professore di diritto e scienze politiche, tra i maggiori esperti di diritto elettorale negli Stati Uniti. «Twitter, un tempo fonte d’informazioni affidabili, è diventato una sorta di sito di destra che diffonde false informazioni», ha spiegato il giurista in forza alla School of Law dell’Università della California.
L’account personale di Musk, che raggiunge oltre duecento milioni di follower, amplifica il pensiero di personaggi discutibili legati alle destre e propone un racconto quotidiano in cui trovano spazio teorie complottiste. Prime fra tutte quelle che demonizzano le politiche sociali progressiste, il macro-tema dei brogli elettorali e l’immigrazione. Solo due esempi: ad aprile l’imprenditore ha ritwittato la notizia falsa secondo cui due milioni di persone non cittadine si erano registrate per votare in Texas, Arizona e Pennsylvania. A settembre ha rafforzato il mito degli haitiani di Springfield, Ohio, che mangiano i gatti dei residenti, dando manforte alle affermazioni di Trump smentite dalle autorità locali. Ma una delle uscite più gravi è forse la frase shock: «Nessuno prova a uccidere Biden e Kamala Harris», poi cancellata e definita solo una battuta decontestualizzata.
Se da sinistra piovono critiche e dure condanne, nel mondo della destra Musk è un eroe. Soprattutto ora che è diventato anche amico e confidente del loro leader, che lo sente più volte a settimana. Tanto da volerlo accanto a sé sul palco del comizio più difficile, quello di ritorno a Butler, tre mesi dopo lo scampato assassinio.
Ma non è sempre stato amore, né con la destra né con Trump. Anzi, i due in passato si sono spesso punzecchiati. Nelle elezioni del 2016 Musk disse che il repubblicano «non era l’uomo giusto per essere presidente», nel 2022 che fosse troppo vecchio per candidarsi. Trump, invece, mise in dubbio la sua scalata durante le trattative per l’acquisto di Twitter. Poi la svolta. Dopo avere supportato Biden nel 2020, Musk cambia rotta negli ultimi quattro anni. Prima la pandemia e i litigi sulle strette misure anti-Coronavirus in California che lo costrinsero a fermare la produzione di Tesla, poi il raffreddamento con il presidente, da cui si è sentito snobbato. A ciò si sommano le inchieste del dipartimento di Giustizia sulle tecnologie delle sue vetture parzialmente auto-pilotate. Pesa sulla bilancia anche l’insofferenza verso quella che a destra è definita «deriva woke». Nonostante i malumori, però, continua a tenersi strette le laute commesse governative, in quanto uno dei maggiori appaltatori con le sue aziende, specialmente SpaceX.
Se con i democratici il sudafricano si sentiva poco valorizzato, con Trump – che non si è fatto scappare l’opportunità di averlo come alleato – il ruolo è comprimario. «Musk sta commettendo l’errore che fanno molte persone nel mondo della tecnologia: hanno successo e pensano che il loro cervello possa risolvere qualsiasi problema. Guardano in particolare al governo e pensano: quanto può essere difficile?», spiega a L’Espresso Peter Leyden, fondatore di Wired e della società Reinvent Futures, oltre che consulente high tech di Barack Obama. «Lui si sente un genio e ha voluto aggiungere ai suoi business quello del controllo dei media, comprando Twitter, un settore molto diverso dagli altri. Per questo X è naufragato, si è trasformato in un disastro».
Se un coinvolgimento attivo in un’ipotetica amministrazione Trump darebbe vita a «una oligarchia», come l’ha definita Politico, e a un enorme conflitto d’interessi, non è chiarissimo l’impatto che potrebbe avere sul suo business. Essendo quelli delle auto, dello spazio e dei media settori altamente regolamentati, un amico alla Casa Bianca potrebbe tutelare i suoi interessi. «Se le leggi spettano al Congresso, ci sono molte regolamentazioni che possono avere un impatto, ad esempio, su Tesla e SpaceX», dice ancora Leyden. «In passato gli imprenditori con cariche pubbliche hanno lasciato le loro aziende. Se così non fosse, sarebbe un altro campo in cui Trump fa saltare le regole».
In questo scenario, potrebbe essere proprio il magnate a determinare la svolta green dell’ex presidente, per spingere le sue auto elettriche; ma potrebbe anche forzare la mano sulle politiche legate all’intelligenza artificiale. Eppure, c’è chi ritiene questa scelta di campo meno fruttuosa per il business di quanto s’immagini. A fargli i conti in tasca, c’è da dire che X, a due anni dall’acquisto, ha ridotto il valore dell’80 per cento. Male anche Tesla che nel 2024 ha perso circa un terzo.
«Chi acquista una Tesla appartiene alla classe medio-alta. Si tratta di persone istruite, sensibili al cambiamento climatico. Per loro Musk era una rockstar. Adesso è come se si stesse tirando la zappa sui piedi», riflette Leyden. E aggiunge che le convinzioni politiche dell’imprenditore stanno allontanando il suo bacino tradizionale di utenza. «Tanti non compreranno più le sue auto. Non solo ha distrutto X, ora mina anche Tesla. E c’è da capire cosa succederà con SpaceX». Per l’esperto, la grossa limitazione è non capire le implicazioni a lungo termine. Ma forse Musk sta puntando all-in, caricandosi tutti i rischi. Compresa una vittoria di Harris che – parole sue – lo lascerebbe «fregato».