Caduto Mubarak, ora sono la grande incognita per il futuro. Nessuno sa quanto valgono elettoralmente, ma di sicuro sono popolari. Perché in questi anni hanno fatto tutto quello che il regime non faceva: welfare per i più poveri, ospedali, scuole e aiuti finanziari alle vedove

Nel lussuoso quartiere settentrionale di Maadi, all'ombra dei grattacieli moderni che si affacciano sul Nilo, e proprio dietro la moschea di Al Farouk, si nasconde un piccolo edificio circondato da una lunga inferriata verde. Potrebbe essere un oratorio islamico, invece è un ospedale privato dove le visite specialistiche costano tra i due e i tre euro. Ci sono il reparto chirurgico, oftalmico, ortopedico; e poi pediatria, cardiologia, odontoiatria, radiologia, la nursery e perfino una stanza in cui riceve il logopedista dei bambini. Vi lavorano 73 dottori a tempo pieno e 166 come consulenti part-time, pagati con una percentuale sul fatturato del mese. "Non è molto, ma la ricompensa più importante è compiacere Allah", spiega Magdi Abdel Aziz, il direttore dell'ospedale, forse il più moderno dei 24 che i Fratelli musulmani gestiscono in Egitto.

L'ex presidente Hosni Mubarak, sotto il cui regno si è arricchita una corte di favoriti, non ha consentito che l'aumento del prodotto interno lordo degli ultimi decenni andasse a beneficiare anche il popolo sotto forma di strutture pubbliche. Così, a sopperire alle carenze del regime è stato il braccio assistenziale dei Fratelli musulmani che, grazie anche all'autotassazione e al volontariato dei suoi membri, ha steso nel tempo una potente rete di sostegno sociale ai più deboli, fatta di ospedali, scuole, mense, mediazione nelle dispute in un Paese in cui la magistratura sociale è ancora largamente accettata, e aiuti finanziari alle vedove. Questa rete è soltanto uno dei molti strumenti utilizzati per penetrare nei gangli della società e conquistarne il consenso da quello che in quasi un secolo è diventato il principale movimento islamico del mondo e lo spauracchio di un Occidente terrorizzato dall'idea che vere elezioni democratiche possano trasformare l'Egitto in un'altra teocrazia islamica alla stregua dell'Iran.

Le origini dei Fratelli musulmani risalgono al 1928 quando Hassan al-Banna, un insegnante scolastico di Ismailia, costituì il movimento per perseguire la rinascita dell'Islam in Egitto in un momento in cui nel mondo arabo si stava diffondendo il socialismo secolare. Ben presto la Fratellanza si spostò oltre le attività di aiuto sociale per emergere come movimento che amalgamava la struttura del pensiero politico occidentale con i valori islamici, rifiutando sia i costumi religiosi tradizionali sia la completa occidentalizzazione della società. Il caposaldo della teoria di al-Banna era la convinzione che l'islamizzazione dell'Egitto si sarebbe dovuta ottenere tramite graduali riforme socio-economiche e mediante una serie di compromessi con il governo.

"L'atteggiamento dei Fratelli è stato fin dall'inizio quello di stare in mezzo alla gente, di predicare nei caffè più che nelle moschee perché tanto chi andava in moschea era già credente", spiega Abdel Koddus, un fratello musulmano eletto all'interno del sindacato dei giornalisti. I Fratelli controllano le principali corporazioni del Paese (le potenti associazioni professionali): quelle dei medici, dei farmacisti, degli avvocati e degli ingegneri inscenano da anni piccole manifestazioni anti-regime. "Una parte importante dell'ideologia è la creazione di una società civile in cui, ad esempio, le scuole seguono sì gli stessi programmi dello Stato, ma danno più importanza agli studi religiosi e alla preghiera", spiega.

Sebbene i Fratelli musulmani teorizzassero metodi pacifici per raggiungere l'obiettivo finale di uno Stato islamico, fin dall'inizio al loro interno si formò una fazione che chiedeva di perseguire la lotta armata per liberare l'Egitto prima dall'occupazione britannica e poi dalla dittatura militare instaurata nel 1952. Inevitabili i periodi di repressione da parte dei regimi. Il peggiore arrivò dopo il fallito attentato al presidente Nasser nel 1954, quando migliaia di membri furono incarcerati e torturati.

In una di quelle prigioni finì anche Sayyid Qutb, che all'inizio degli anni Sessanta diventò un influente ideologo radicale. Il libro che scrisse in prigionia, "Linee Guida", è diventato il testo di riferimento di intere generazioni di gruppi estremisti, al Qaeda inclusa, fuoriusciti dall'organizzazione a cui rinfacciavano gli eccessivi compromessi con l'establishment: da Tandheem al-Jihad, responsabile della morte di Sadat nel 1981 e del tentato omicidio di Mubarak nel 1995, a Gamaa al-Islamiyah.

I Fratelli musulmani rinunciarono alla violenza, ripudiando ogni connessione con l'Islam armato, alla fine degli anni Settanta e negli ultimi trent'anni nessun membro del partito (dichiarato illegale da Mubarak) è stato mai arrestato per avere compiuto un attentato. "Sono decenni che il movimento chiede al mondo di ascoltare le sue parole e non quello che il regime dice su di loro", spiega Osama Abdel Mona, un avvocato difensore dei Fratelli arrestati dal regime: "Non vogliono uno Stato islamico ma un punto di riferimento islamico in uno Stato civile e un presidente che abbia lo stesso ruolo della regina d'Inghilterra che è il capo della chiesa ma tutela anche le altre religioni. L'ideologia dei Fratelli è molto diversa da quella di salafiti e walabiti, più liberale nei comportamenti e politicamente vicina a quella del partito di Giustizia e Libertà al potere in Turchia".

Ma non è facile capire esattamente quello in cui crede davvero la maggioranza dei 250 mila membri dell'organizzazione. Sono guidati dal conservatore Mohammed Badia che è riuscito a isolare le correnti riformiste. La metà degli aderenti ha però meno di 40 anni e vorrebbe gettare alle ortiche tutta una serie di fatwa (pareri) antiquati. Non condivide nemmeno la recente decisione dei vertici di dichiarare donne e cristiani inadeguati "per natura" alla presidenza del Paese.

"La maggioranza crede nell'uguaglianza tra uomo e donna e in quella tra musulmani e copti", spiega il progressista Abdul Monem Abul Fetuh, vice di Mohammed Mahdi Akef, la precedente guida del movimento, oggi segretario generale dell'unione dei medici arabi. Il dibattito è aperto. "Sono tutte bugie", ribatte Abdel Rahim Ali, un avvocato fondatore di un centro studi di ricerca sul mondo arabo: "Loro vogliono fondare uno Stato islamico e l'Egitto è il Paese perfetto da cui iniziare la creazione del califfato arabo". Per arrivare a questo obiettivo hanno capito che è necessario allargare il più possibile la base di consenso e blandire chi li ascolta: "Quando parlano con i cristiani dicono loro che devono avere gli stessi diritti e doveri, quando si rivolgono ai liberali si presentano come favorevoli alla cultura e al cinema, quando dialogano con l'Occidente sostengono di non volere un Paese islamico ma un Paese civile. C'è una grande doppiezza nel movimento".

Per provare a capire cosa si nasconde dietro l'agenda politica di alcuni e le battaglie personali di altri, bisogna salire su per le scale luride di una buia palazzina di un quartiere della classe media del Cairo. Qui, tra pareti tappezzate con carta da parati a fiori marrone, piante di plastica e poltrone di velluto verde militare con lo schienale dorato in stile rococò, vive Ahmed Hassan al-Banna, il figlio settantenne e malato del fondatore del Fratelli musulmani, ex membro del Consiglio esecutivo dei 12 e ora esponente della Shura, il gruppo dei cento saggi che elabora l'ideologia del movimento. "Lo scontro tra l'Occidente e il mondo musulmano non è religioso ma politico", spiega subito: "In Egitto stiamo di fatto sotto la dominazione degli Stati Uniti che mantengono da anni al potere un dittatore senza legittimità popolare mentre noi soffriamo e perdiamo la nostra ricchezza nazionale".

Al-Banna parla senza fretta, senza alzare i toni: "Il comitato dei dieci saggi dell'opposizione che ha dialogato con il governo nei giorni delle proteste era quello che chiedevamo da cinquant'anni. Per dimostrare che abbiamo intenzioni democratiche e siamo pronti ad agire all'interno della cornice istituzionale non presenteremo un candidato presidenziale in settembre e porremmo la soglia del 30 per cento dei seggi in Parlamento perché, come insegna un verso del Corano, "Colui che cerca il potere non deve arrivare al potere"".

L'Islam, per lui, è un sistema completo di valori che organizza i vari ambiti della vita: dall'economia - che dovrebbe essere riformata secondo i principi della finanza islamica per cui non esiste remunerazione senza lavoro - allo sport, dove si potrebbero organizzare campionati islamici, alle attività artistiche che dovrebbero promuovere il teatro islamico in opposizione al peccaminoso cinema occidentale e l'espressione dell'amore come sentimento puramente platonico.

In questo contesto, se il movimento andasse al potere potrebbe ridurre le località turistiche di Sharm el-Sheikh e Hurgada, simbolo della promiscuità sessuale, a enclave chiuse per soli occidentali. "Occorre preservare a ogni costo l'unità familiare", spiega: "La libertà individuale e la fiducia tra marito e moglie sono in conflitto, bisogna scegliere. Noi scegliamo la fiducia".

Il ruolo della donna nella società islamica è forse uno dei temi più controversi nell'ambito del movimento: "L'approccio classico alla questione è ancora dominante, ma noi stiamo cercando di cambiare la mentalità, promuovendo l'istruzione e il lavoro femminile e la partecipazione in politica delle donne. Mia figlia l'ho mandata a studiare scienze politiche in Inghilterra". Unanimità di vedute c'è invece sull'atteggiamento verso Israele: "Gli accordi di pace di Camp David del 1978 dovrebbero essere sottoposti a un referendum popolare perché sono stati fatti tra regimi e non tra popoli", spiega categorico.

Ed è proprio questo uno dei motivi principali che ha spinto gli Stati Uniti per anni ad appoggiare Mubarak. "Un errore clamoroso", taglia corto Karim Mezran, co-autore del libro "I fratelli musulmani nel mondo contemporaneo" (Utet) in uscita nei prossimi giorni: "La contrapposizione tra verde islam e nero dittatura non potrà mai essere superata se non si ingloberanno nelle trattative anche i Fratelli musulmani che fanno ormai parte del tessuto sociopolitico di tutto il mondo arabo".

Certo è che Mubarak non ha mai permesso loro di portare avanti un'esplicita campagna elettorale. E la loro vittoria alle elezioni del 2005 è stata interpretata da molti analisti più come il tentativo del regime di eliminare la minaccia di un'opposizione laica e liberale che l'espressione della forza reale del movimento. "Per legittimare il suo potere Hosni Mubarak non ha lasciato altra scelta ai suoi cittadini e al mondo che quella tra lui e i Fratelli", spiega Dina Guirguis, ricercatrice al Washington Institute per le politiche del Vicino Oriente: "Ma se ci fossero libere elezioni dubito che i Fratelli Musulmani sarebbero in grado di conquistare il potere".

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