Francesco è stato un papa davvero anomalo. Un esempio? Uno dei suoi migliori amici italiani non è un cattolico. Si chiama Giovanni Traettino, teologo campano, pastore pentecostale e presidente della chiesa evangelica della Riconciliazione. Si conobbero nel 2006 a Buenos Aires, a un incontro sul dialogo interreligioso. Da quel momento hanno lavorato insieme ad iniziative sull’unità dei cristiani e a favore dei Sud del mondo, come quando organizzarono l’inizio del Giubileo del 2015-16 a Bangui, capitale della Repubblica centrafricana, tra i Paesi più poveri della terra. Un rapporto all’insegna dell’ecumenismo celebrato nel volume di Alessandro Iovino “Il racconto di un’amicizia” (Eternity editore).
Traettino, come mai Francesco si interessò al mondo evangelico?
«Già prima di diventare papa, da arcivescovo di Buenos Aires guardava alla galassia evangelica per le dimensioni che dalla fine del ’900 stava assumendo presso molte realtà, soprattutto povere e specialmente del Sudamerica. Fu facile istituire un’interlocuzione tra cristiani, rappresentanti di rami diversi di un solo sentire».
Cosa fece in concreto?
«Cito un episodio: venne a trovarmi nella chiesa che guido a Caserta, allora in costruzione. Si adattò ai disagi. E in quell’occasione chiese pubblicamente perdono per la persecuzione che i pentecostali subirono durante il fascismo con la complicità della chiesa cattolica, un passo storico per noi».
La sua attività non si fermava all’unità tra cristiani.
«No, è stato il pontefice più incisivo nel dialogo tra ogni fede, specie tra quelle monoteiste. I vertici dell’Islam lo hanno riconosciuto come figura chiave nel dibattito tra religioni. È stato punto di riferimento anche per i non cristiani sulla pace e la lotta alla povertà».
Fece scalpore la sua decisione di iniziare il Giubileo straordinario a Bangui.
«Fu un’iniziativa condotta insieme. Da tempo con la mia comunità sono impegnato in progetti di sostegno agli abitanti della Repubblica centrafricana: gli proposi di ripartire da là e accettò. Il Paese allora era funestato da una guerra civile, il governo francese avvertì il Vaticano sui rischi. Con coraggio, Francesco andò avanti ed ebbe successo, fu acclamato dalle popolazioni locali. Aveva un messaggio forte e semplice: portare Cristo tra gli ultimi del mondo».
Qualche volta si è definito lui stesso anticlericale.
«Mi fa sorridere, ma colgo il senso della provocazione. Era anticlericale in quanto contrario al verticismo di molte sfere ecclesiastiche e a favore di un’azione dal basso della chiesa cattolica, a partire dalle periferie. Diceva che il pastore deve sentire la puzza del suo gregge».
Le mancherà?
«Sento un grande vuoto. Mi aveva chiamato all’inizio della degenza, disse che sentiva arrivare la fine dei suoi giorni terreni. Ma da credente era sereno; ho sempre visto in lui un cristiano autentico e radicale. Eravamo d’accordo su uno dei cardini dell’ecumenismo: l’idea che uno dei compiti più alti dei vescovi stia nell’occuparsi dell’unità dei fedeli».
Senza di lui ora cosa accadrà alla Chiesa e al dialogo tra religioni?
«I cristiani hanno perso un profeta, ha agito in anticipo su molti versanti guardando oltre gli steccati. Ma i semi che ha gettato continueranno a essere operanti tra i cattolici e non solo: le porte grandi che ha aperto nel terreno della relazione tra fedi non saranno più chiuse».