Pensare che all'inizio non lo voleva nessuno "Diaz". Né Rai né Medusa, né le banche. Scomodo anzi scomodissimo: un film sulle violenze del G8 da girare in tempi di governo Berlusconi. Così Domenico Procacci, rimasto solo con la sua Fandango e la forza del regista Daniele Vicari, mette di tasca sua metà del budget, trova interlocutori meno timorosi in Francia e manda Vicari a girare a Bucarest. Neanche i centri sociali vogliono offrigli spazio per le location. «Sappiamo che Fandango collabora con la polizia», rispondono a Vicari i compagni di Zona Rischio, quartiere Portonaccio, Roma.
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Non serve spiegare che bisogna parlare con la polizia per raccogliere testimonianze. Che un film così non deve nascere da pregiudizi ma da storie vissute. Che qui bisogna fotografare la più brutale repressione della storia dell'Italia democratica e dunque essere il più possibile credibili. Ed ecco che il film che non voleva nessuno "Diaz don't clean up this blood" per un filo non è stato scelto per rappresentarci agli Oscar.
Non lo voleva nessuno, ma i professori si son messi in fila per portare gli studenti alle anteprime. Non lo voleva nessuno ed è uno dei più bei film dell'anno. «Abbiamo voluto girare questo film per chi come voi allora aveva otto anni, e che oggi deve sapere cosa è successo alla Diaz», hanno detto Procacci, produttore, e Daniele Vicari, regista, ai ragazzi dei licei romani. Perché Genova fu anche il primo evento storico monitorato da centinaia di cellulari e telecamerine. Uno sciame di sentinelle digitali che hanno testimoniato nella Rete prima ancora che in tribunale riuscendo a smentire ogni tentativo di nascondere, travisare, mentire. Anche per questo è generazionalmente affar loro, una pagina di storia scritta sull'acqua del Web. E nello stesso tempo un film scolpito, che s'impone per cruda realtà. Spezzando l'unità temporale, "Diaz" si muove a scatti nel caos di una babelica giornata. Non seguiamo nessuno, ma seguiamo tutti. Non ci sono protagonisti, piuttosto c'è un movimento che scivola verso un luogo, una scuola, un bivacco.
Figure diverse, che arrivano da mondi diversi si muovono sul palcoscenico di una città distrutta dai disordini. Un giornalista, un vecchio sindacalista, un militante, una ragazzina tedesca coi capelli rasta, un black bloc francese. Lampi in una reunion di utopici europei che si è già trasformata in altro: Carlo Giuliani è morto. La sua morte pesa su tutti.
Ma la violenza della Diaz è ancora peggio. Non è facile veder massacrare una ragazza che dorme, un vecchietto ora e sempre comunista che non evita il manganello perché non può credere a quel che vede, un giornalista pure di destra che si lascia sfondare la testa perché si illude che la stampa abbia diritto a testimoniare. E le torture (c'è altro modo di chiamarle?) nella caserma di Bolzaneto sono descritte a ciglio asciutto. Prima i fatti, poi le opinioni. Che qui alla fine è soprattutto una. Vigiliamo che la democrazia è cosa fragile e va tenuta stretta. Basta distrarsi un attimo ed ecco cosa succede.