La strage di animali, un affare anche per i terroristi

Rinoceronti, elefanti, tigri. Sterminati per soddisfare le passioni dei nuovi ricchi. Un dossier del Wwf denuncia il traffico, che ora finanzia il terrorismo

Shanghai, interno notte. Il signor Wang, appena tornato da una lunga giornata di lavoro, accende le luci del suo salone. Marmi italiani, divani barocchi, tappezzeria kitsch. Zoom sul tavolo di cristallo. Al centro, un enorme corno di rinoceronte. Wang lo accarezza soddisfatto. È un regalino che gli è costato 500 mila dollari. Ma oggi per lui è il simbolo della sua lunga cavalcata dalla povertà alla ricchezza.

MAPPA: NELLA RETE DI MILIZIANI E TERRORISTI
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Non sa però, il signor Wang, che quel corno di rinoceronte è anche il simbolo di una nuova emergenza mondiale, di un tipo particolare di crimine, l’“illegal wildlife trade”: il traffico di vita selvatica, ovvero il bracconaggio e la commercializzazione di specie rare. È un fenomeno su cui getta luce l’ultimo dossier del Wwf, organizzazione da sempre in prima linea nella difesa dell’ambiente e delle specie a rischio, che al tema dedica una grande campagna (www.wwf.it/criminidinatura, numero verde per sostenerla 800.990099). Il rapporto “Natura Connection”, che “l’Espresso” presenta in esclusiva, lancia l’allarme, perché il commercio illegale di animali protetti è, dopo la distruzione degli habitat, la seconda ragione delle estinzioni delle specie, ed è anche un fenomeno mondiale di cui si alimentano le guerre, il terrorismo e la corruzione, producendo localmente sofferenza, povertà e soprusi.

«Catturati vivi, presi con trappole e lacci, uccisi dai veleni, non vi sono limiti all’accanimento dell’uomo per trasformare le specie in animali da compagnia, trofei, pellicce, souvenir, piatti “tipici”, amuleti o rimedi popolari di dubbia efficacia», scrive il Wwf.

La globalizzazione, per tante ragioni, ha accelerato questo processo. Anzitutto perché la nuova middle class asiatica è disposta a spendere una fortuna pur di ostentare questi pezzi pregiati, dal corno di rinoceronte alla statua di avorio. Il più delle volte, però, i loro soldi finiscono nelle casse di gruppi terroristi come al Shabaab somala o Boko Haram nigeriana, gruppi ribelli come Lord’s Resistance Army della foresta africana, o organizzazioni criminali legate al traffico di armi e droga, che sterminano animali protetti per migliorare i propri arsenali, finanziare costosi addestramenti e attentati oltreconfine, controllare intere regioni e arruolare nuovi miliziani.

Negli ultimi decenni, infatti, il bracconaggio ha cambiato pelle. Anche a causa della corruzione e della mancanza di interventi nazionali e internazionali, si è creata una sorta di industria globale, che secondo l’ex segretario di Stato americano Hillary Clinton rappresenta un rischio per «la sicurezza nazionale, la sicurezza economica e la salute pubblica».

Internet ha dato una mano, visto che secondo un’indagine condotta nel 2011 il 70 per cento dei prodotti di fauna selvatica venduti sulla Rete sono illegali: si va dall’avorio alle farfalle, dai rettili agli insetti e ai pesci tropicali. Ma i protagonisti del bracconaggio sono oggi veri eserciti che si muovono con facilità attraverso regioni e Stati, e dentro e fuori i confini delle aree protette.

La loro azione criminale è tanto più dannosa perché tocca anzitutto i cosiddetti “fragile States”, quel 13 per cento di Paesi mondiali che ospita il 50 per cento dei conflitti ed è all’origine del 75 per cento di tutti i rifugiati. Paesi in cui questo commercio non solo danneggia l’industria del turismo, ma fomenta la violenza e l’instabilità, perché oltre a sterminare elefanti e rinoceronti, ippopotami e gorilla, i gruppi armati perpetuano omicidi e abusi di ogni tipo sulle comunità civili e umiliano i sistemi legali rafforzando la corruzione.

Dall’altra parte, in questa guerra, stanno i rangers, uomini e donne spesso mal equipaggiati e scarsamente preparati che ogni anno mettono a rischio la propria vita per la difesa della natura (il 75 per cento dei mille rangers morti in servizio negli ultimi 10 anni in 35 Paesi diversi sono stati uccisi da bracconieri).

Il prelievo e il commercio illegale di specie selvatiche, di avorio, di corna di rinoceronti, di pelli di felini selvatici o di lana di antilope tibetana, alimentano un mercato stimato fino a 23 miliardi di dollari l’anno. Si tratta del quarto business illegale del pianeta, dopo quello di droga, armi ed esseri umani. Ma quali sono le caratteristiche con cui si manifesta nelle principali parti del mondo questo traffico?

STRAGE AFRICANA
Il continente nero è il principale punto di partenza dei traffici globali di specie protette. Come nel caso degli ultimi conflitti tribali, è vittima della sua stessa ricchezza: se i primi spesso scaturiscono dalle lotte per i giacimenti di minerali preziosi, in questo caso è la meraviglia della sua fauna a generare il dramma. Colpa pure di una classe dirigente corrotta, accusa il Wwf: «In molti casi, soprattutto in stati come la Tanzania, i bracconieri vengono protetti e coperti dall’elite politica».

Prendiamo il rinoceronte, un animale dalla storia tragica, visto che dalla fine dello scorso secolo cinque specie si sono estinte. Il rinoceronte nero si è salvato, ma a causa del bracconaggio questo dominatore dell’Africa subsahariana la presenza di questo dominatore si è ridotta a molto meno del 10 per cento.

Secondo la Wildlife and Environment Society del Sudafrica, dal gennaio al luglio 2014 sono stati uccisi 558 rinoceronti solo in quel Paese, di cui 351 nel parco nazionale del Kruger. Nel 2013 ne sono stati ammazzati 1004, contro i 668 del 2012 ed appena 448 nel 2011. La ragione di tanto accanimento sta nel valore del corno di rinoceronte, che ha raggiunto i 66 mila dollari al chilo, più dell’oro o del platino. Questo significa che un solo corno può arrivare all’incredibile cifra di 500 mila dollari. Circa il 94 per cento della caccia illegale avviene tra Zimbabwe e Sudafrica, che ospitano la più grande popolazione nel continente. Mentre nel 2007 sono stati documentati meno di 50 casi, nel solo 2013 ne sono stati uccisi più di mille. È un fenomeno che, secondo il dossier, «potrebbe portare in pochissimo tempo alla definitiva estinzione di entrambe le specie africane, il rinoceronte nero e quello bianco».
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Per quanto riguarda gli elefanti, il bracconaggio ha raggiunto nuovi livelli record, dopo quei cinque anni tra il 1979 e il 1984 in cui la popolazione di pachidermi africani crollò da 1,3 milioni a 600 mila. Oggi in Africa ce ne sono tra i 400 e i 600 mila, e ne vengono ammazzati in media tra i 22 e i 25 mila ogni anno, il che significa che ormai dal 2010 ne vengono abbattuti molti di più di quanti ne nascano.
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Un esempio drammatico della velocità del loro declino è rappresentato dalla riserva di Selous in Tanzania, dove dal 2009 al 2013 due terzi di tutti gli elefanti sono stati sterminati. Anche in questo caso la ragione sta nel prezzo, nel valore dell’avorio, che grazie alla ricca domanda asiatica ha raggiunto cifre da capogiro, in un mercato che ha raddoppiato il proprio fatturato dal 2007 ad oggi: pagato in Africa poco più di 100 dollari al chilo, l’avorio, lasciati i porti del Kenya e della Tanzania, raggiunge al mercato nero di Pechino la cifra di 2.100 dollari, ovvero anche 30 mila euro per l’avorio di ogni elefante.

L’aspetto però sicuramente più inquietante del commercio di specie protette in Africa è la forte presenza di organizzazioni terroristiche e militari nella rete dei traffici. Un caso documentato nel 2013 dall’organizzazione Enough è quello del parco di Garamba, nella Repubblica Democratica del Congo, dove l’esercito del Lord’s Resistance Army, responsabile di stragi, strupri e saccheggi, di fatto governa il parco, superando in numero, attrezzature e tecnologia i rangers deputati al controllo.

Diverse Ong hanno rilevato però che persino il famoso attacco al centro commerciale di Westgate a Nairobi nel settembre 2013, con cui al Shabaab, cellula somala di al Qaeda, fece 68 morti, sarebbe stato in gran parte finanziato con il commercio illegale dell’avorio, che rappresenterebbe il 40 per cento dei finanziamenti del gruppo.

Ma non solo: sfruttano il traffico dell’avorio, in questo caso camerunense, anche i nigeriani di Boko Haram (noti alle cronache internazionali anche per il rapimento di duecento studentesse), nonché i Janjaweed sudanesi e il Renamo del Mozambico.

IL MERCATO ASIATICO
I principali “consumatori finali” del pianeta vivono qui. È l’ascesa della middle class asiatica, cinese e vietnamita e thailandese in particolare, a guidare il mercato globale. Uno studio del WWF del 2012 conferma ad esempio che il corno di rinoceronte viene sia utilizzato per la medicina tradizionale cinese sia come status simbolo della nuova classe media, che lo tiene esposto nei propri salotti o in altri spazi di rappresentanza. Ecco allora che il mercato nero asiatico del settore si aggira intorno ad un valore tra i 63 e i 192 milioni di dollari all’anno.

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Ma l’Asia è un continente fondamentale anche per il prelievo degli animali protetti. Non a caso alcune sottospecie si sono qui recentemente e definitivamente estinte, come il rinoceronte di Giava nel Vietnam, e altre sono sull’orlo dell’estinzione. In Indonesia, sono meno di 50 i rinoceronti nell’isola di Giava, mentre quelli di Sumatra non superano i 200 esemplari. Per non parlare delle tigri, che nel mondo si trovano ormai solo in 13 Paesi, tutti asiatici, se si include la Russia siberiana. Il bracconaggio e la commercializzazione delle tigri va avanti da decenni per soddisfare una grande varietà di richieste: l’utilizzo dell’intero corpo per la medicina tradizionale cinese, l’esibizione di trofei, amuleti, pelli per vestiti rituali. Ancora oggi rifornisce una fiorente domanda, guidata soprattutto da credenze e superstizioni circa le loro proprietà terapeutiche. Prodotti realizzati con le loro ossa possono raggiungere anche i 3.750 dollari al chilo. Dal 1900 ad oggi la popolazione di tigre si è ridotta del 95 per cento. Nell’ultimo secolo si sono estinte già tre sottospecie, una quarta è da molti considerata tale, e delle rimanenti cinque il destino rischia di essere segnato, con una popolazione complessiva che non supera i 3.200 esemplari.

Altre specie a rischio per colpa dei crimini di natura sono il leopardo delle nevi, il leopardo nebuloso e l’antilope tibetana, che in un solo decennio, tra il 1990 e il 2000, vide la sua popolazione crollare di più dell’80 per cento, a causa della sua pregiata lana shahtoosh.

Anche in Asia, infine, come in Africa, questi traffici contribuiscono ad arricchire movimenti terroristici: è il caso delle milizie tribali nel nord della Birmania, dei separatisti del Kashmir in India, e di gruppi affiliati ad al Qaeda in Bangladesh.

NARCOS E COCCODRILLI
Pure i narcotrafficanti sono coinvolti nel traffico di animali come coccodrilli e vigogne. In Sudamerica il mercato più fiorente è quello legato alla pelle di felini selvatici ormai rarissimi come appunto la vigogna oppure di camelidi come il guanaco, uccisi per la loro lana pregiata. Altri animali molto ricercati sono i pappagalli e le farfalle amazzoniche, ambite dai collezionisti.

LE COLPE DELL’EUROPA
L’Europa è un continente di passaggio per i grandi traffici, ogni anno registra sequestri di avorio e di prodotti medicinali ricavati da animali protetti, in transito perlopiù dall’Africa alla Cina. Ma l’Ue è anche uno dei principali consumatori del mondo, insieme agli Stati Uniti, di prodotti legati a specie protette, un mercato da 499 milioni di euro dominato dalle pelli di rettile e pellame in generale. Ma c’è dell’altro. Tra il 2009 ed il 2012 ben 94 corni di rinoceronte sono stati rubati da musei, collezioni e antiquari, e dietro questi furti c’è spesso la criminalità organizzata: un colpo clamoroso venne messo a segno anche nel centro di Milano. Infine l’Unione europea è interessata anche da un’ondata di importazioni illegali di carni dall’Africa, il cosiddetto “bush meat” di foresta, derivato da rettili, ippopotami, scimpanzé e gorilla.

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