Ecco la lettera che il regista vincitore dell'Oscar per 'La grande bellezza', ci ha inviato dopo la vittoria dei Golden Globes, a gennaio 2014. Qui racconta come ha vissuto, all'uscita in sala, le polemiche e le critiche italiane. E a chi lo ha accusato di scarso realismo ribatte: "I sentimenti contenuti nel film sono verosimili"

Los Angeles. Pochi giorni dopo il 12 gennaio 2014, quando “La Grande bellezza” vince il Golden Globe, il nostro direttore, Bruno Manfellotto, mi chiama a Los Angeles e mi chiede di fare un articolo intervistando un regista importante che spieghi perché il film piace agli americani.

Contatto Martin Scorsese, che so essere un grande ammiratore di Sorrentino. Wes Anderson e Joel Coen, che condividono con lui lo stesso agente, Rich Klubeck. Penso che uno dei tre alla fine dirà di sì, e mi rilasso. Ho tempo per chiudere sino alla mattina di martedì 20 a Roma, per me lunedì sera. Ma nessuno invece si materializza e lunedì, nel panico, contatto Sorrentino tornato nel frattempo a Roma e gli chiedo una sua interpretazione del successo del film.

Aggiungo che il direttore ci tiene molto e lui acconsente e mi assicura che mi manderà una risposta via email, che preferisce scrivere di suo pugno che usare la formula per lui più breve del domanda e risposta al telefono. Lo ringrazio, aspetto in ansia la sua mail che mi arriva verso le mie tre del pomeriggio. Prendo delle frasi, costruisco il pezzo.

Ma alle mie otto di sera ho una sorpresa: suona il telefono ed è Martin Scorsese. Decido di usare l’intervista a Scorsese, che scrivo al volo e viene pubblicata. E di usare solo stralci della lettera di Sorrentino , che viene pubblicata accanto all’intervista a Scorsese. Alla luce del suo trionfo di ieri notte, ci sembra opportuno pubblicare per intero la lettera di Sorrentino, mandata via email in data 20 gennaio. Eccola.

Lorenzo Soria




Caro Lorenzo,

la mia risposta alla tua domanda è semplicissima.  Questo film non è che sia piaciuto negli Usa e non sia piaciuto altrove. Compatibilmente con la forza dei diversi distributori nei rispettivi paesi questo film è andato bene dappertutto.

In primis in Italia, dove è oltre i sette milioni di incasso (includendo il fuori cinetel che sempre soldi e spettatori sono). E' andato bene in Inghilterra, Olanda, Germania, Spagna, Usa e in altri paesi. In altri paesi ancora non è uscito. Dunque, io rifiuto l'idea di un pubblico americano che sarebbe diverso dal pubblico italiano o da altri pubblici. Il pubblico è eterogeneo, sì, ma non a seconda dell'appartenenza geografica. Gli americani che hanno visto il mio film lo hanno apprezzato per le stesse ragioni per cui lo hanno apprezzato molti italiani. Così come ci sono altri italiani che non hanno amato il film, sono altresì sicuro che ci sono altrettanti americani che non hanno amato il film.

Dunque, per me non esistono contrapposizioni di pubblici. Questo film è stato apprezzato un po' dappertutto perchè un po' dappertutto si è ritenuto che fosse un buon film. Molto semplice! Mi limito a parlare del pubblico e non entro nel merito della critica dove, lì si hai ragione, rispetto a una sostanziale unanimità positiva dei critici di tutti i paesi del mondo fa da contraltare una parte della critica italiana che ha criticato fortemente in negativo il mio film. Mi limito a una constatazione e non entro in polemiche, dal momento che sono stato educato a rispettare il giudizio dei critici, a non criticare la critica, a non raccogliere le provocazioni, a non rispondere.

Io faccio un film, mi espongo, rischio, perchè mostrarsi pubblicamente comporta sempre una possibile esposizione alla critica o addirittura al dileggio e accetto queste eventuali critiche o insulti così come gioisco dei complimenti e dei pareri positivi. 

Tu vuoi sapere da me cosa piace del film, ma è una domanda alla quale mi è impossibile rispondere. Gli spettattori sono la somma di individualità e ciascuno può essere colpito da una cosa diversa e con questo film accade ancor di più perchè è un film che mette in campo molte sollecitazioni, molti temi, molte emozioni e dunque offre una specie di ventaglio ampio dove lo spettatore può attingere secondo la sua sensibilità. 
Io so solo che, in quanto autore del film, tendo a essere irritato da chi vuole ridurre il film nei confini del trattatello sociologico o incanalarlo nella lettura politica, con Berlusconi sempre in mezzo. 

Io, come fanno tutti gli autori di un film, ho combinato secondo la mia sensibilità, secondo le mie capacità narrative, secondo il mio intuito, il reale e l'immaginario, e di volta in volta, reale e immaginario si distanziano o si sovrappongono, si fondono o litigano, tutto per ottenere, semplicemente, un film che mi piacesse e che piacesse.

Il film è il frutto di un parto mentale e il parto mentale è tale perchè quella mente ha declinato in modo personale la realtà. Dunque, nel film c'è la mia idea di realtà che non necessariamente corrisponde alla realtà vera e soprattutto la mia "realtà" non ha alcuna pretesa di spiegare il berlusconismo, cosa è diventata l'Italia oggi, quali sono i clichè italiani e via dicendo. 

Forse non ti sono stato di aiuto con queste mie risposte, ma di fatto questo è il mio pensiero. 
Il film dichiara in apertura, con la citazione di Celine, la sua appartenenza al regno dell'immaginario. E il film è frutto del mio immaginario. Succede alle volte che quell'immaginario corrisponda alla realtà e altre volte no, ma è poi così interessante? Per molti pare di sì e infatti si sono accapigliati fino alle risse. Per me no. Non sono mai interessato al tasso di realismo che un film, un libro possiedono. E' la dimensione "sentimentale", in senso di emozioni e emotività di un film, che mi rapisce o mi allontana da un film. Penso che quelli che hanno approcciato il mio film in una chiave di verosimiglianza dei sentimenti contenuti nel racconto, si siano goduti il film, lo abbiano apprezzato e alla fine si sono anche commossi.

Perchè se i sentimenti contenuti nel film sono verosimili, significa che corrispondono ai sentimenti dello spettatore e questo stabilisce un'empatia che ti fa dire: "che bel film!". Quelli che invece hanno approcciato il film con l'animo dell'entomologo che doveva analizzare il tasso di verosimiglianza non dei sentimenti, ma dell'aderenza del film alla realtà italiana (e questo presumo che lo abbiano fatto per deformazione professionale soprattutto i critici italiani) si sono trovati di fronte a un oggetto sfuggente e multiforme, anche contraddittorio e complesso, che li ha disorientati.


E un film che ti disorienta sei portato a giudicarlo negativamente. Ecco, rispondendo alla tua domanda, il succo del discorso. Se si vuole trovare in un film quello che l'autore non ci ha voluto mettere, si finisce per restare delusi. I pubblici e i critici stranieri, forse, non hanno tutta questa esigenza di fare equazioni tra il film e la realtà italica e dunque hanno avuto la possibilità di abbandonarsi. E io posso garantire senza ombra di dubbio, a costo di apparire presuntuoso, che se ci si "abbandona" a questo film non si può non esserne coinvolti emotivamente. 


Quest'è!


Ti abbraccio


Paolo

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