'The Square', un film da Oscar per capire  rabbia e speranze della Primavera araba

Cosa siano stati questi ultimi tre anni in Egitto forse nessuno ha saputo raccontarli meglio di “The Square - Inside the Revolution”, uno dei primi quattro film in streaming dell'Espresso+ (l'abbonamento è gratuito fino al 31 maggio), che segue le vicende di un gruppo di giovani rivoluzionari, dalle prime proteste del 2011 al  golpe dell'estate del 2013. Un'occasione in pellicola per comprendere cosa è accaduto e come vive il Paese oggi

Quando il 26 e il 27 maggio gli egiziani andranno alle urne per eleggere il loro nuovo Presidente, la parabola della Primavera araba dovrebbe dirsi conclusa, e sconfitta, anche in quel Paese. L'Egitto deciderà molto probabilmente di consegnarsi ad Abdel Fattah Al-Sisi, il generale che ha guidato il golpe contro i Fratelli Musulmani dell'ex presidente Mohammed Morsi.

Cosa siano stati questi ultimi tre anni - la rabbia, la speranza, la delusione - forse niente e nessuno ha saputo raccontarli meglio di “The Square - Inside the Revolution”, uno dei primi quattro film in streaming riservati  agli abbonati di “Espresso+” (fino al 31 maggio l'abbonamento è gratuito).
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Se non l'avete ancora visto, questa è l'occasione migliore per capire cosa è accaduto in Egitto, come viva il Paese oggi, e perché, con le prossime libere elezioni, scelga di rimettersi nelle mani di quei militari contro cui tre anni fa si era ribellato.

Una nomination agli ultimi Oscar come miglior film-documentario, “The Square” segue le vicende di un gruppo di giovani rivoluzionari, dalle prime proteste anti-Mubarak del gennaio 2011 alla vittoria dei Fratelli Musulmani, fino al ritorno al potere dei militari con il golpe dell'estate del 2013.

Un documentario con immagini anche forti, come quelle delle torture e delle cariche in piazza. Perché forte è stata la repressione e dura la battaglia. I volti del film sono quello del laico Ahmed, con la faccia tosta e il sorriso sulle labbra; quello del suo amico Magdy, barba lunga nera, che difende quei Fratelli Musulmani di cui fa parte, e con i cui metodi però non sempre si trova d'accordo; e poi c'è lui, Khalid Abdalla, che nella vita fa davvero l'attore (è stato il protagonista de “Il cacciatore di aquiloni”) ed è tornato al Cairo per partecipare alla liberazione del suo Paese.

Parlano i ragazzi e le ragazze, discutono, in un appartamento che affaccia proprio su piazza Tahrir, gigantesco spazio del Cairo da cui prende nome il film e che, nelle parole dei protagonisti, ha un potere magico: è una città nella città, trasforma chi la occupa, diventa punto di attrazione per le tre anime della società che si contendono il potere, ovvero l'esercito, la Fratellanza e i rivoluzionari.
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La produzione è egiziano-americana, come la regista Jehane Noujaim, nata a Washington da madre americana e padre egiziano e formatasi tra Kuwait, Egitto e Harvard. Il film è stato diffuso inizialmente da Netflix, il servizio di streaming online, e ha registrato un successo sia di critica sia di pubblico: ha vinto un premio al Sundance e uno al Festival di Toronto, mentre su “Rotten Tomatoes”, il popolare sito di recensioni online, registra un punteggio di 100 su 100 tra i critici professionisti, e di 89 tra gli utenti.

Il primo ciak è del gennaio 2011. Nell'Egitto corrotto e senza speranza in cui improvvisamente, in seguito a potenti manifestazioni di massa, il vecchio dittatore Hosni Mubarak, da 30 anni al potere, è costretto a dimettersi. È l'11 febbraio. La piazza esulta allegra, giovani e anziani, ragazze velate e non, musulmani e cristiani: tutti festeggiano sotto la stessa bandiera egiziana, cantando «siamo una sola mano, una sola mano».

Passano pochi mesi, e in primavera “the square” torna a riempirsi. L'esercito ha usato la rivoluzione per impedire la successione al potere del figlio di Mubarak, Gamal. Ma tutto è rimasto come prima: stessa Costituzione, stessi metodi autoritari. Il regime è sempre lo stesso, anche senza il “Faraone”. Si attende, sassi in mano, che arrivi la carica dell'esercito e dei mercenari armati di bastone. Poi in estate i Fratelli Musulmani, per decenni torturati e discriminati dal regime, scendono in piazza. Al grido «Il Corano è la nostra Costituzione» ottengono dall'esercito le elezioni.

Sono organizzatissimi, a differenza dei rivoluzionari, e vincono prima le legislative (28 novembre 2011) e poi le presidenziali (23 maggio 2012). Mohammed Morsi diventa presidente, ma ben presto si arroga poteri persino superiori a quelli di Mubarak e viene accusato di favorire in ogni ambito uomini della Fratellanza. Si è passati da un regime militare a uno religioso, e si ricomincia da capo. Piazza Tahrir chiede che sia cacciato anche quest'altro “Faraone”. E ci riesce.

Il 3 luglio del 2013, pochi giorni dopo una manifestazione oceanica nel centro del Cairo, l'esercito arresta Morsi e lo dichiara decaduto. Una vittoria amara per i rivoluzionari. Perché il governo mette fuori legge i Fratelli Musulmani e ne condanna a morte 683 aderenti (sentenza non ancora definitiva). Si è tornati alla casella iniziale, che ha solo cambiato nome.

Dopo tre anni di caos e di paura, dopo le bombe dei jihadisti, dopo la guerra civile quotidiana tra esercito e Fratelli Musulmani, il popolo egiziano vuole sicurezza. E l'uomo dell'ordine è lui, il generale Al-Sisi, il grande favorito delle prossime presidenziali, l'astuto uomo dell'esercito, molto religioso, che ha prima saputo raccogliere il favore di Morsi (il quale lo ha scelto come ministro della Difesa, mentre diventava anche Comandante in capo delle forze armate), e poi gli ha voltato le spalle.

Oggi Al-Sisi, classe 1954, si ispira all'ex presidente Nasser. Fa campagna elettorale invocando il voto dei poveri e promettendo lotta dura contro i terroristi, categoria che per lui include ovviamente i Fratelli Musulmani. «Se divento presidente, non esisteranno più», ha promesso a inizio maggio.

La luce dei sogni di quei ragazzi, laici e musulmani, che occupavano Piazza Tahrir, sembra essersi spenta. Eppure qualcosa è cambiato. In Egitto si è finalmente diffusa la cultura della protesta. Chiunque andrà al potere, questo è certo, dovrà sicuramente fare i conti con lei: the square.

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