Fermare il virus del papilloma previene il cancro della cervice. Ma a sette anni dal lancio della vaccinazione contro l'Hpv, gratuita per tutte le undicenni, sono pochi i genitori che hanno aderito. Perché temono che induca le ragazzine ad avere rapporti a rischio
Un vero peccato. E pensare che è l’unico metodo certamente capace di prevenire il cancro, nello specifico quello della cervice uterina. A sette anni dal lancio della vaccinazione contro il virus Hpv, gratuita per tutte le unidicenni, sono pochi i genitori che hanno aderito. E diminuiscono di anno in anno anziché aumentare. Il piano messo a punto dal ministero della Salute stabiliva infatti di vaccinare il 95 per cento delle ragazzine entro tre anni. I dati reali però sono impietosi: alla fine di giugno del 2014 risultano vaccinate con l’intero ciclo (3 somministrazioni) poco più del 70 per cento delle nate fra il 1997 e il 2000. Con forti differenze fra regioni: in Toscana, Umbria e Puglia si supera l’80 per cento, in Campania e Sicilia non si arriva al 60.
È come se l’idea di proteggere le figlie pre adolescenti da una possibile infezione non avesse convinto i genitori. E per capire come mai sia stato possibile il ministero della Salute ha promosso uno studio – Valore (VAlutazione LOcale e REgionale delle campagne di vaccinazione contro l’Hpv) – che ha previsto anche la somministrazione di un questionario a un campione di famiglie che, pur avendo ricevuto la chiamata dei servizi sanitari per vaccinare la proprio figlia, non si sono presentate. Come scrivono su “Bmc Infectious Diseases” i ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità che hanno svolto lo studio, «la paura di eventi avversi, le informazioni discordanti che i genitori ricevono dai medici, e la scarse notizie sull’infezione sono fra le ragioni maggiormente indicate come barriere alla vaccinazione».
In primo piano, tuttavia, c’è il fatto che quando parliamo di Hpv parliamo di sesso, perché è così che si contrae il virus.
Ma il 45 per cento dei genitori che hanno risposto al questionario dell’Iss ha detto che 11 anni sono troppo pochi, e il 16 ha dichiarato di aver paura che la vaccinazione potesse incoraggiare le figlie ad avere rapporti sessuali a rischio. Una paura smentita da uno studio condotto dai Centers for Disease Control and Prevention americani: il tasso di gravidanze indesiderate o di altre infezioni a trasmissione sessuale è lo stesso sia per le ragazze non vaccinate sia per quelle immunizzate. In ogni caso non si può sfuggire alle prove scientifiche che, sottolinea Francesca Carozzi dell’Istituto per lo studio e la prevenzione oncologica di Firenze: «Indicano come la massima efficacia del vaccino nel difendere l’organismo contro l’infezione dei ceppi più pericolosi di Hpv ci sia solo prima del debutto sessuale». In ogni caso, è comunque possibile vaccinarsi anche dopo gli 11 anni, fino ai 25, ed è efficace, anche se meno. «Tanto che in alcune regioni è disponibile presso gli ospedali pagando un ticket», commenta Susanna Esposito, presidente della Società Italiana di Infettivologia Pediatrica.
Non solo: a preoccupare 8 famiglie su 10 è la sicurezza. Le ragazzine rischiano arrossamento nella zona dell’iniezione, gonfiore, prurito, dolore, un po’ di febbre. Davvero poco a fronte di una protezione dai ceppi più pericolosi dell’Hpv, quelli che hanno maggiore probabilità di far degenerare le lesioni dell’utero in cancro.
Vaccinandosi a 11 anni l’efficacia è fra il 98 e il 100 per cento, praticamente uno scudo impenetrabile. Che si assottiglia con l’età, fino ad arrivare al 18 per cento nelle ragazze che hanno già avuto rapporti sessuali.
Resta un dubbio:
quante di queste informazioni essenziali sono ben comprese dalle famiglie? Lo studio Iss mostra che non tutti hanno chiaro quanto l’infezione aumenti il rischio di sviluppare il cancro, che anche i maschi possono essere infetti e che le infezioni da Hpv – un virus complesso, di cui si contano almeno 100 ceppi diversi – sono spesso transitorie. Non solo: di fronte alla possibilità concreta di proteggere le figlie e ai dubbi che naturalmente ognuno ha, le famiglie non chiedono aiuto. Né al pediatra, in genere considerato una fonte sicura di informazioni per il 79 per cento dei genitori, al quale si è rivolta meno della metà delle famiglie coinvolte. Chi lo ha fatto nel 31 per cento dei casi ha ricevuto una raccomandazione alla vaccinazione, ma nel 28 ha avuto risposte contraddittorie. «Dire che i vaccini non comportano alcun rischio può paradossalmente contribuire ad aumentare nella percezione del genitori il pensiero che siano molto rischiosi», scrivono i ricercatiri.
Se si parla di adolescenti, però, la cosa più efficace è spostare le campagne sul web, dove però la voce dei nemici di tutti i vaccini tout court è più forte di quella delle autorità sanitarie che ne spiegano i vantaggi. «Nel Regno Unito per parlare direttamente ai giovani sono state ideate delle campagne Internet proprio sui siti per adolescenti», spiega Esposito. Nel nostro Paese, però, nulla di simile si è visto: «Volevamo capire cosa ne sapessero gli studenti e abbiamo proposto ad alcune scuole dei questionari da distribuire, ma i genitori si sono opposti perché, ovviamente, fra i temi c’era anche quello della sessualità», conclude Esposito.
Le idee sono spesso confuse anche per quanto riguarda la prevenzione una volta che si è fatto il vaccino. «A oggi le indicazioni sono quelle di eseguire il pap test una volta ogni 3 anni nella fascia 25-64 anni, ma se la vaccinazione Hpv raggiunge le coperture adeguate, quando arriveranno a 25 anni le ragazze vaccinate avremmo una frequenza molto più bassa di infezioni pericolose e potremmo anche diradare i controlli», spiega Carozzi, che è anche segretario nazionale del Gruppo italiano screening del cervicocarcinoma. Insomma, secondo gli esperti l’azione congiunta della prevenzione primaria – quella dei vaccini – e di quella secondaria – lo screening – potrebbe consentire l’eradicazione della malattia. E stiamo parlando di cancro. Un risultato impensabile per qualunque altra neoplasia.