«Quando mi sono separato dai miei compagni, quando ho detto loro addio, mi è stato chiesto di dimenticare. Ma tutto è memorizzato nella mia mente: gli studenti delle scuole superiori, l’adolescenza e la militanza così breve. E poi la mia compagna scomparsa: Claudia Falcone, che aveva solo 16 anni. Esa es mi historia de amor, questa è la mia storia d’amore».
Di quei mesi di prigionia Pablo Dìaz non ha dimenticato nulla. E’ l’unico sopravvissuto alla strage di studenti a La Plata, una città a 60 chilometri da Buenos Aires. Un massacro passato alla storia come la “notte delle matite”: il nome fu coniato dalla polizia argentina per l’operazione che nel settembre del 1976 cancellò le vite di 234 liceali.
Rapiti, torturati e seviziati per settimane. Lasciati morire di fame e freddo, bendati per non vedere la luce, sottoposti a scosse elettriche, pestaggi e stupri in un centro clandestino di detenzione chiamato Banfild, a 14 chilometri dalla capitale. La loro unica colpa era di aver manifestato per un più equo diritto allo studio.
Durante la prigionia i giovani si facevano forza pregando e cantando le melodie delle proteste studentesche. Di nessuno a parte Pablo si è più avuta notizia. Claudia Falcone, Horacio Ungaro, Claudio de Acha, Panchito Lopez Muntaner e tanti altri amici di Pablo sono andati a ingrandire le file degli desaparecidos, le oltre 30.000 persone scomparse sotto la dittatura militare del generale Jorge Rafael Videla, finita nel 1981.
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La sua storia e quella delle matite spezzate dal regime sarà ricordata durante la rassegna cinematografica “Al cuore dei conflitti”. La memoria partigiana, la guerra, le migrazioni africane sono alcuni dei temi affrontati durante i sei giorni della kermesse. Alla sua settima edizione, porta in sala anche quattro film che in Italia non sono mai stati distribuiti.
Tutte produzioni del 2015 su storie di resistenza e coraggio. Come Ni le ciel ni la terre su un gruppo di militari francesi in Afghanistan; Mediterranea, che parla dei “riots” di Rosarno: protagonisti due migranti che dopo la traversata del deserto giungono nel sud Italia dove sono sfruttati nei campi. O il docu-film di Andrea Zambelli Rino-La mia ascia di guerra in cui il regista racconta con sua cinepresa e in prima persona la storia di Rino. Partigiano e comunista, il morbo di Alzheimer gli ha cancellato i ricordi della guerra, ma Zambelli ricostruisce i suoi racconti con i vhs che custodisce dall’adolescenza.
[[ge:rep-locali:espresso:285197426]]Dal 23 al 28 aprile, nelle tre città (Brescia, Bergamo e Roma) che ospitano l'evento, Pablo porterà la sua testimonianza. La tragica notte della Plata sarà ricordato con la proiezione del film “La notte delle matite spezzate” del 1986 (regia di Hector Olivera) e la presentazione del libro “La notte dei lapis” di María Seoane e Héctor Ruiz Núñez.
«Oggi racconto quello che ho vissuto. Vado per le scuole e non dimentico i miei pilastri del passato: l’etica e il costante impegno dei miei compagni», racconta Pablo, che dopo la liberazione dal centro di detenzione di Banfild ha passato altri tre anni e nove mesi in carcere senza processo: costretto a tacere e dimenticare. «Il fine della nostra lotta era ottenere il tesserino, per noi quello era un diritto umano, come lo è lo studio».
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Pablo e gli studenti sequestrati furono accusati di aver condotto "attività atee e antinazionaliste". Nel concreto hanno portato avanti una battaglia contro l’abolizione del Boleto Escolar Secundario, un tesserino che consentiva ai liceali sconti sui libri e una riduzione del biglietto per l’autobus. «Libres. Los recuerdo libres», liberi li ricordo liberi, dice Pablo dei suoi compagni.
Oggi la questione degli desaparecidos è risolta solo in parte. A più di trent’anni dalla fine della dittatura molti processi sono ancora in corso. «Quest’anno saranno giudicati in ultima analisi i responsabili del campo di Banfild dove sono scomparsi e stati assassinati i ragazzi della notte delle matite spezzate», dice Pablo.
Di coloro che tra militari, politici, e poliziotti, hanno abusato del loro potere durante il regime di Videla (che non si è mai pentito) solo un terzo è stato portato davanti un giudice: meno di mille persone. Di questi, solo la metà ha ottenuto una sentenza con pena. Ma sono ancora molte le resistenze e i silenzi. Come quelli nei confronti delle Madri di plaza de Mayo, le mamme dei giovani desaparecidos a cui il regime tolse i figli appena nati.
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«Avere un pensiero critico ed esprimere la propria identità ha sempre un costo e in ogni società esistono restrizioni, sia consciamente che inconsciamente. Parole e azioni insieme scuotono la strutture fisse di un Paese: questo è un bene», aggiunge Pablo. «Credo che la memoria e la giustizia debbano essere alla base dei nostri governi. Se non ci credessi oggi non farei più nulla».