Dalla microchirurgia addominale via robot, alla realtà aumentata, fino alle capsule intelligenti, passando per nuovi sistemi di endoscopia indolore. Se ne è parlato a Pisa, la “silicon valley” italiana della ricerca in biorobotica

Nel 2008 gli interventi di chirurgia robotica ad alta complessità effettuati presso l'Azienda Ospedaliera Universitaria erano 92, nel 2014 sono stati 820, quasi 1000 nel 2015. Stiamo parlando di chirurgia ad alta precisione basata sulla collaborazione fra esseri umani e robot, da manipolatori soft per chirurgia addominale, a sistemi di assistenza per la sostituzione di organi, per esempio nei casi di insufficienza cardiaca, ma anche sistemi per l'endoscopia indolore e per la terapia vascolare.

Un settore – quello più generale della cosiddetta “robotica dei servizi”, che secondo le stime è destinato a crescere enormemente nei prossimi anni, portando con sé la necessità di ridiscutere diverse questioni di carattere legale, sulla responsabilità degli eventuali rischi derivanti dall'uso di queste nuove tecnologie robotiche, ma anche di carattere etico e di struttura della formazione dei giovani medici, al momento sprovvista di un adeguata formazione in materia.

Non da ultimo il problema economico, e più in generale di sostenibilità di questo genere di innovazione, dato che ad i costi di queste tecnologie sono ancora altissimi, in un settore come quello sanitario dove i tagli sono all'ordine del giorno. Se ne è parlato i giorni scorsi proprio a Pisa, in occasione del convegno “La robotica pisana: realtà, opportunità, prospettive” organizzato dall'Associazione Ex-Allievi della Scuola Superiore Sant'Anna e dalla Fondazione Arpa, che vede come presidente onorario Andrea Bocelli.

“Il 'trapezio' toscano, che vede l'area pisana come vertice principale, rappresenta oggi una ben radicata eccellenza internazionale nel settore della robotica” commenta Franco Mosca, Presidente della Fondazione Arpa e dell'Associazione Ex-Allievi del Sant'Anna. “I nuovi risultati però pongono sempre nuove questioni da discutere – prosegue Mosca – a partire da come rendere sostenibile l'integrazione su larga scala di queste tecnologie in ambito sanitario”.

PIU' PRECISIONE E MAGGIORE DESTREZZA A LIVELLO MICROSCOPICO

I principali vantaggi di tecnologie di chirurgia robotica riguardano anzitutto la possibilità di operare su scala microscopica e nanometrica, a un ordine di grandezza cioè difficilmente raggiungibile dalla mano del chirurgo, per una chirurgia sempre meno invasiva e una terapia sempre più localizzata e precisa. “La robotica oggi permette di aumentare notevolmente la destrezza del chirurgo nelle operazioni di chirurgia non invasiva” commenta Arianna Menciassi, dell'Istituto di Biorobotica della Scuola Sant'Anna.

C'è comunque ancora molto da fare, il gap fra diagnosi e terapia è ancora molto profondo – conclude la Menciassi – A livello diagnostico la tecnologia finora è andata avanti a passo di lepre, mentre per quanto riguarda la terapia si è andati avanti a passo di tartaruga.” Il più noto sistema per la chirurgia robotica è il Robot Da Vinci, di proprietà di Intuitive Surgical, la cui prima versione fu immessa sul mercato ormai 15 anni fa.

Si tratta di un robot composto da quattro bracci che viene utilizzato per interventi all’addome, di rimozione della prostata, in ambito ginecologico o per la sostituzione della valvola cardiaca. Da Vinci puo? essere manovrato a distanza da un chirurgo che, grazie alla telecamera posta su uno dei quattro bracci del robot, riesce ad avere una panoramica completa dell’operazione.

FRA REALTA' AUMENTATA E CAPSULE INTELLIGENTI

Chirurgia robotica però significa anche molto altro. Presso il Centro EndoCAS dell'Università di Pisa ingegneri e clinici da anni lavorano insieme per portare la realtà aumentata e la realtà virtuale in sala operatoria e nella formazione dei giovani specializzandi. Utilizzando dei visori per la realtà aumentata, i chirurghi hanno la possibilità di “vedere” nell'addome del paziente perché vengono fuse le immagini pre-operatorie con quelle reali del paziente, per capire meglio, per esempio, quali possono essere le “porte d'accesso” migliori per intervenire su un determinato organo.

Un ausilio per il chirurgo per vedere laddove non avrebbe potuto durante l'intervento chirurgico, e quindi agire riducendo il rischio di effetti non previsti. “Ma la realtà aumentata serve anche per fare esattamente il contrario, cioè guidare il chirurgo, per esempio, durante l'impianto di protesi” spiega Vincenzo Ferrari, Coordinatore del centro EndoCAS. “Pensiamo per esempio ai casi di frattura ossea su cui dobbiamo impiantare dei fissatori. L'idea è farci guidare dal robot, che segue la traiettoria corretta con maggiore precisione”.

Un altro settore di sviluppo della robotica in ambito medico riguarda la messa a punto di nuovi sistemi di pancreas artificiale. Il pancreas artificiale esiste da diversi anni, ma con un enorme problema: come ricaricare questi pancreas dell'insulina che viene rilasciata? “Nei sistemi attuali l'insulina viene ricaricata dall'esterno, una prassi invasiva per il malato” spiega nuovamente Arianna Menciassi.

“Il nostro gruppo ha brevettato un sistema di ricarica interna tramite capsule contenenti insulina, che vengono ingerite dal paziente e che grazie a un sistema magnetico passano dal duodeno al pancreas, rilasciano l'insulina, espellendo poi l'involucro. Attualmente abbiamo visto che il sistema funziona in laboratorio e speriamo di iniziare presto un trial sui maiali”.

VERSO IL PRIMO ROBOT CHIRURGICO MADE IN PISA

“Mi sento come il Forrest Gump della robotica, che sta vedendo crescere intorno a sé questo nostro progetto, molto rapidamente e senza quasi che se ne renda conto” scherza Giuseppe Prisco, Amministratore Delegato di MMI srl, la startup pisana che sta lavorando, sotto la guida di Marco Innocenti dell'Ospedale di Careggi, alla realizzazione di un innovativo sistema per la microchirurgia assistita, che dovrebbe diventare realtà nel giro di qualche anno.

Un robot che permetterà di riprodurre a livello micro il movimento clinico del chirurgo per ottenere una maggiore precisione rispetto alla laparoscopia. “Non si tratta di un competitor del sistema Da Vinci – precisa Prisco – dal momento che qui stiamo parlando di microchirurgia. Inoltre Da Vinci funziona grazie all'utilizzo di joystick, mentre nel nostro sistema sarà il chirurgo a compiere gli stessi gesti che farebbe nella pratica clinica, che vengono poi trasmessi al braccio robotico”.

UN ALTRO PROBLEMA: COME VALUTARE I CHIRURGHI?

La robotica offre un'enorme possibilità per gli studenti e gli specializzandi in termini di training. Un ruolo centrale è svolto dalla realtà aumentata, che permette di simulare gli interventi, come una sorta di “allenamento” a rischio zero. Si pone però il problema della valutazione del discente, per giudicare le sue performance e monitorare la sua curva di apprendimento. “Non ci sono attualmente delle evidenze scientifiche definitive sull'effettivo miglioramento delle skills dello studente con questo metodo” sottolinea Andrea Moglia, ingegnere presso il Centro EndoCAS. “Inoltre essere chirurgo è un dono, un'abilità multifattoriale, che non è semplice inquadrare in termini di matrici e di algoritmi”.

MANCA UNA FORMAZIONE PER LA CHIRURGIA ROBOTICA

Tuttavia, possedere una tecnologia non è sufficiente per migliorare le prestazioni sanitarie, se non va di pari passo con la pianificazione di un percorso di formazione per chirurghi esperti e studenti sull'utilizzo di queste tecnologie. Qualcosa che al momento non esiste, se non in termini di iniziative indipendenti come i casi di Grosseto e di FORMAS Toscana.

“Bisogna ragionare come sistema, non singolarmente” prosegue Paolo Dario, Direttore dell'Istituto di Biorobotica. “La capacità innovativa della Firenze rinascimentale, fra artisti e ingegneri, era maggiore rispetto a quella della Silicon Valley moderna. Dobbiamo ritrovare quella prospettiva, e l'area pisana, con il sistema delle sue tre università, il CNR, il Centro Piaggio, e i diversi centri ospedalieri che collaborano fra di loro, sta lavorando in questa direzione”.

BISOGNA CREARE UN SISTEMA SOSTENIBILE

Se la chirurgia robotica rappresenta una frontiera per la medicina di oggi, non è esente da debolezze, a partire dai costi, che sono ancora molto alti. Quanta innovazione dunque ci possiamo ragionevolmente permettere? “Stiamo vivendo un cosiddetto trade-off fra innovazione e sostenibilità economica, cioè la necessità di scegliere fra una e l'altra, ma in realtà abbiamo mostrato con la nostra esperienza che razionalizzare l'innovazione non porta automaticamente a una razionalizzazione dei servizi e delle risorse” commenta Giuseppe Turchetti, economista presso la Scuola Sant'Anna.

“Rinunciare all'innovazione significa infatti una riduzione dell'accesso alle terapie, allungamento delle liste d'attesa, aumento delle disuguaglianze di salute”. Certo, non è facile, dato che accogliere sistemi di chirurgia robotica significa anche tempi operatori più lunghi, sopperire ai deficit di feedback tattile rispetto alla mano del chirurgo e soprattutto riflettere su come affrontare la possibilità di malfunzionamenti della tecnologia.

È necessaria quindi una riflessione a 360 gradi, che non si focalizzi soltanto sull'aspetto meramente economico, ma che valuti le ricadute sociali di questo tipo di innovazione sull'intero sistema paese. Un'esperienza positiva in questo senso è quella del Centro Multidisciplinare di Chirurgia Robotica di Pisa, che da tempo ha strutturato il proprio modello organizzativo intorno a questo aspetto.

“È innegabile infatti che i costi siano ancora molto alti, ma non vanno valutati solamente i costi diretti – precisano Franca Melfi e Carlo Milli - bensì l'impatto sulla formazione del chirurgo, sul futuro di servizi come i trapianti, sul sistema organizzativo dell'ospedale e soprattutto sul dolore e sulla qualità della vita dei pazienti, che grazie a una chirurgia meno invasiva e di precisione hanno mostrato tempi di recupero sensibilmente maggiori".

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