Tra rock, jazz e ritrovato impegno, parte la stagione dei concerti 2018
Da Barcellona a Firenze, dal Lollapalooza al Primo Maggio. I concerti sono ormai la principale fonte di ricavi per i musicisti. Ora, grazie a Take-a-stand, torna anche la responsabilità sociale negli appuntamenti dal vivo. Ma attenti al bagarinaggio
Keep on rockin’ in a Free World, cantava Neil Young nel 1989. Ma a quasi trent’anni dalla data che segnò il crollo del Muro e la fine della Guerra Fredda il mondo non sembra poi così libero. «La democrazia è il potere di un popolo informato». Lo ha detto Alexis de Tocqueville, non David Byrne. Ma è stato il fondatore dei Talking Heads a fare la domanda da cento milioni: «Qual è oggi il compito della musica?».
Se lo devono esser chiesto anche i responsabili di Yourope, l’associazione di cui fanno parte i più importanti festival pop rock dell’Unione. Così è nata Take-A-Stand, “Prendi posizione”, campagna di comunicazione portata avanti sia sul web che negli stand dall’inconfondibile logo su sfondo giallo a forma di cuore, sparsi nei festival di ben 23 paesi. Scopo: promuovere la tolleranza, il rispetto e la partecipazione, insomma quei valori fondamentali per la convivenza democratica di cui farebbero volentieri a meno quei leader che per calcolo elettorale sfruttano la tragedia dell’immigrazione soffiando sul fuoco della paura. «È ora che i festival si assumano una responsabilità sociale, che dimostrino di essere non solo un’occasione per mettere assieme migliaia di fan, grandi concerti e divertimento», spiega Fruzsina Szép, la pasionaria ungherese che con Christof Huber guida l’associazione. «Per noi organizzatori è giunto il momento di prendere posizione per i valori in cui crediamo. Lo facciamo solo per i soldi? O pensiamo sia importante anche dare un messaggio e aggiornare ai tempi che corrono lo spirito di Woodstock?».
Tre giorni di pace, amore e musica, la formula magica riscalda ancora i cuori degli hippies di vecchio e nuovo corso. Anche se da quel leggendario agosto del 1969 niente è rimasto lo stesso. Per i nativi digitali la musica ha perso la centralità che aveva per i loro coetanei del secolo scorso, rimpiazzata dai social, e anche la fede nel rock, «una forza capace nei suoi momenti migliori di cambiare la storia», come racconta ne Il suono del secolo Stefano Mannucci, non è più salda come un tempo.
Eppure di musica, in circolazione, ce n’è tanta. Ci pensa l’algoritmo di Spotify a scegliere fra i suoi 35 milioni di brani la playlist che ascoltiamo. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, la musica dal vivo è considerata imprescindibile dalla maggioranza dei ragazzi. Quello dei concerti è uno dei pochi settori che non ha risentito della crisi. L’Italia, con 600 milioni di euro di incassi e 8 milioni di biglietti venduti, si piazza al sesto posto dopo Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Giappone e Francia. È quanto risulta dalla ricerca pubblicata dall’International Ticketing Years Book 2017. «Dal 2012 il fatturato è cresciuto del 23 per cento e il trend positivo continua», conferma Vincenzo Spera, presidente di Assomusica, l’associazione che riunisce gran parte dei promoter italiani. Da noi sono i grandi nomi a rastrellare il grosso del pubblico. Gente come Ligabue, Vasco Rossi, Jovanotti. Al di là delle Alpi, invece, a richiamare le folle sono scintillanti luna park della cultura pop come il Primavera Sound di Barcellona, il festival urbano per eccellenza, il Lollapalooza di Berlino o lo Sziget di Budapes, un’isola in mezzo al Danubio dove rivivono l’utopia pirata di Bruce Sterling e lo spirito hippy degli anni ’60.
Ovviamente un abisso separa la liturgia di Woodstock dalle attuali versioni 4.0. All’epoca, gli artisti chiamati ad esibirsi furono una trentina o poco più. Oggi la media è di circa cinquanta concerti al giorno e accanto al palco principale riservato ai big, ce ne sono altre dozzine che esplorano le tendenze più disparate. «Un festival non è solo line up, ma una line up dice molto di un festival» dicono al Primavera Sound. Già, ma come regolarsi di fronte a un menù in cui convivono l’utopia stellare di Björk e il rock classico di The War on Drugs, il free jazz degli Art Ensemble of Chicago e l’hardcore dei Dead Cross, la trap cafona dei Migos e la chanson elettro-pop dell’ineffabile Charlotte Gainsbourg? La formula evoca lo “zapping” compulsivo sugli “store” digitali quando si ricerca un brano tra le migliaia disponibili. Non a caso ormai in molti festival si può scaricare una App con mappa, orari, biografia e pillole audio di ogni artista per orientarsi in questo mare magnum e costruire il proprio percorso. Sempre connessi, con lo smartphone in mano e pronti a condividere la performance su Facebook, Instagram o WhatsApp in attesa di un “like”. Non si sfugge al Grande Fratello. E poi decine di convegni e dibattiti (al Primavera Sound, al Milano Music Week, al Mei di Faenza) dove si discute di sicurezza (tema cruciale dopo gli attacchi terroristici al Bataclan e alla Manchester Arena), di sostenibilità, di diritti umani, le grandi questioni del futuro sparite dall’agenda della sinistra che riemergono nei testi dei nostri cantautori: vedi “L’uomo nero” di Brunori Sas, che ha vinto il premio Amnesty 2018.
«Qui la cultura dei festival rock non ha mai messo radici», ricorda lo storico delle controculture Matteo Guarnaccia, autore di “Re Nudo Pop. Il sogno di Woodstock in Italia 1968-1976”. Da allora poche eccezioni. Fra queste l’ArezzoWave- Love Festival che dal 1987, in direzione ostinata e contraria, porta avanti la sua missione: mostrare il meglio della scena indie-rock e valorizzare i giovani talenti.
Quelli che oggi chiamano festival sono più che altro rassegne fotocopia, talvolta di buon livello. Chi può si gioca la carta della Grande Bellezza inserendo l’evento in una “cornice mozzafiato”. Ecco allora Björk alle Terme di Caracalla (13 giugno) o Roger Waters al Circo Massimo (14 luglio Rock Postepay). Altri puntano su un cast stellare mettendo nel carrello degli acquisti quel che di meglio fornisce Live Nation, la multinazionale che gestisce le star del pop rock: Queen of Stone Age e i Gorillaz al Lucca Summer Fest; Foo Fighters, Guns N’ Roses e Ozzy Osbourne a Firenze Rocks.
I biglietti degli eventi più richiesti spariscono in poche ore dalle rivendite ufficiali e riappaiono su altri siti con un rincaro astronomico. Il meccanismo è quello del secondary ticketing, il bagarinaggio on line. Fenomeno che colpisce anche la lirica e le grandi mostre. Ci sono state inchieste, condanne. Ma non basta. Per contrastare il bagarinaggio on line basterebbe una App che associasse ogni biglietto a un numero di cellulare, rendendo tracciabile il possessore. Molti paesi già lo fanno. Perché da noi no?
La notizia è che anche il Concerto del Primo Maggio cambia linea editoriale e da passerella della sinistra canora impegnata diventa il festival del nuovo che avanza. L’organizzatore, Massimo Bonelli, la definisce «una vetrina della musica italiana che sta per succedere». Oltre a Carmen Consoli e Max Gazzé, due veterani di Piazza San Giovanni (8 ore di diretta tv), in pole position Cosmo, Sfera Ebbasta, Frah Quintale, i torinesi Willy Peyote, Dardust, Wrongonyou e altri esponenti della scena trap, il rap neomelodico che spopola tra i giovanissimi grazie al web e a YouTube. Da una piazza piena di fan e bandiere rosse a una piazza stipata di followers. Anche questo è un segno dei tempi. E alla fine tutti a festeggiare il nuovo corso, tutti in pista a ballare con Fatboy Slim, il padre del big beat.
Se educare le masse con il rock sembra un obiettivo lontano, ora è il jazz a raccogliere il testimone. Nel 2015 è stata la grande mobilitazione per L’Aquila con oltre 600 musicisti e più di cento concerti. «Il jazz nasce dalla commistione di culture diverse, deve a questa innata indole meticcia la sua capacità di inclusione e di adattamento», spiega il trombettista Paolo Fresu, uno dei principali artefici di quell’evento. In Italia. sotto il dinamico cielo del jazz sono festival urbani come il JazzMi (Milano, 1-13 novembre) e il Torino Jazz Festival diretto da Giorgio Li Calzi (23 aprile - 3 maggio). O festival diffusi sul territorio e a bassa intensità ma con un progetto forte aperto a diversi generi musicali come Suoni delle Dolomiti, che al paesaggio urbano contrappone lo spettacolare scenario delle Dolomiti trentine. Neanche il jazz può cambiare il mondo ma può renderlo un posto migliore.