L'afromania già così presente al cinema ?e nella musica, ha investito di nuovi immaginari anche la letteratura ?di lingua inglese. Ma nel nostro Paese le voci sono ancora poche
L’album “Damn” di Kendrick Lamar inizia e finisce con una sparatoria. Un suono sordo, vuoto, pauroso, l’antitesi stessa della musica. E da lì che è partita la ricerca dell’autore in direzione di un se stesso non sempre facile da afferrare. L’indagine di Kendrick Lamar è stata minuziosa, capillare fino quasi alla follia. Ed è stato tutto questo ad aver convinto i giudici del Pulitzer a premiare, la prima volta in 102 anni di storia del premio, proprio lui Kendrick Lamar, un rapper. Di solito era la musica classica a farla da padrone al Pulitzer, seguita dal Jazz. Ma quel rap bruciato ?di troppa vita, quell’odore di ghetto e solitudine, non poteva di certo essere ignorato. E per Lamar, come prima di ?lui per Barack Obama in politica, il tutto si è colorato delle luci di una vittoria collettiva.
Una quasi rivincita per gli anni durissimi che gli afroamericani hanno dovuto sopportare.
La “paura ?di perdere il corpo” raccontata con estrema cura da Ta-Nehisi Coates nel suo “Tra me e il Mondo” (Codice) ha purtroppo segnato il vissuto di molti. Morire o essere feriti per un colpo d’arma da fuoco è diventata per le famiglie afroamericane qualcosa ?da mettere in conto nella propria quotidianità. Tanti i martiri, quasi tutti giovanissimi, ad aver lasciato i corpi sulle strade di un’America che ancora discrimina. Spara la polizia, sparano ?i suprematisti bianchi, il risultato è sempre lo stesso: un nero o una nera sul selciato senza vita. Ed è questo pericolo costante unito alla fine ?della presidenza Obama e all’inizio dell’amministrazione Trump, ad aver spinto le star afroamericane ad impegnarsi.
Dalla cantante Beyoncé ?fino ad arrivare all’effervescenza della Wakanda di Black Panther tutto sembra tingersi di un nero brillante che non vuole farsi piegare dagli eventi. Questa afromania già così presente al cinema ?e nella musica, ha investito di nuovi immaginari anche la letteratura ?di lingua inglese.
Il primo segnale si è visto nella riscoperta del passato, e un autore come James Baldwin non a caso oggi è diventato il punto di riferimento dei più grandi intellettuali afroamericani viventi come il già citato Ta-Nehisi Coates, ?che trae da lui tutta la riflessione sull’immaginario e sulla violenza che travolge il corpo nero. Ed è proprio a Baldwin che l’haitiano Raoul Peck (in sala con un film sul giovane Karl Marx) ha dedicato il suo docufilm “I’m not your negro”, dove gli omicidi di Malcolm X e Martin Luther King, rimandano ai tanti martiri di oggi: Trayvon Martin, Eric Garner, Renisha McBride.
Sempre di violenza si parla nel romanzo young adult “The Hate U Give” (Giunti) di Angie Thomas. L’autrice ha messo in scena Starr una ragazza, che vive tra due mondi, testimone dell’omicidio di un suo amico da parte della polizia. Un libro duro, senza essere aspro, da cui presto verrà tratto un film visto il clamoroso successo ottenuto. Invece di suprematismo bianco si occupa la saggista, anche lei Premio Pulitzer 2018, Rachel Kaadzi Ghansah. Il suo long form “A Most American Terrorist” è un’indagine scrupolosa sul suprematista bianco Dylann Roof, colpevole della strage di Charleston in cui hanno perso la vita fedeli afroamericani di una chiesa metodista.
Lei che all’inizio voleva parlare delle vittime, ha capito in corso d’opera che era l’ambiente che ha creato Dylann Roof ad andare vagliato con una lente nuova e priva di stereotipi. Rachel Kaadzi Ghansah è considerata non a caso una delle migliori saggiste degli Stati Uniti.
Come uno dei migliori narratori è di fatto Colson Whitehead, autore di romanzi memorabili come “John Henry festival” (Sur) e “Zona uno” (Einaudi). Con “La Ferrovia Sotterranea” (Sur), romanzo con cui ha vinto il Premio Pulitzer 2017, ha voluto raccontare la storia di Cora, una schiava che fugge da un cacciatore di taglie che la insegue senza darle tregua. Il Pulitzer è stata ?una ciliegina sulla torta per un libro considerato non a caso tra i più belli e folli del decennio.
Margo Jefferson con “Negroland” invece scrive un memoir, ?su quelle élite nere di cui lei fa parte, vogliose di ascesa sociale, ma ancora schiacciate da troppi stereotipi. Sono tanti - e si vede già da questo primo elenco - gli autori, e ancor di più ?le autrici, che desiderano cambiare ?gli immaginari. Vashti Harrison ne ?è un esempio. Harrison è autrice ?per bambini e illustratrice, ha fatto dell’empowerment e della bellezza del corpo nero una ragion d’essere. Grasso e magro, liscio ?e riccio, nerd e posh, tutte sono belle ?e tutte trovano uno spazio. Il suo libro “Little Leaders: Visionary Women Around the World”, è un elenco delle più importanti donne afro nel mondo, ritratte da lei come se fossero bambine. E suo anche il manifesto del film “Jinn” della giovane Nijla Mu’min che racconta una ragazza nera alle prese con la conversione all’Islam ?di sua madre.
Di fantascienza invece ?si occupa Nnedi Okorafor, nativa di Cincinnati, erede della tradizione dell’afrofuturismo che trova nella pioniera Octavia Butler (morta nel 2006) il suo pilastro. Okorafor, che rivendica di essere Igbo, mischia nella sua narrazione gli stilemi western con temi tratti dalla tradizione dell’Africa subsahariana, soprattutto della sua Nigeria di origine. Un mix stellare quello di Okorafor che ha prodotto libri superbi come il ciclo di Binti (tor.com), “Chi teme la morte” (Gargoyle) vincitore ?del World Fantasy Award del 2011, “Laguna” (Zona 42) e la recente serie ?a fumetti “Antar the Black Knight”. E per citarne ancora altri autori basti ricordare l’etiope-americana Maaza Mengiste (che sta lavorando ad un romanzo sull’occupazione fascista dell’Etiopia), la poetessa Claudia Rankine che in “Citizen. Una lirica americana” (66thand2nd) mischia generi e stili diversi e Paul Beatty ?che con “Lo schiavista” (Fazi) mette ?in scena una tragicommedia.
Lo stesso fenomeno, anche se ?in misura minore, interessa anche?la Gran Bretagna. Autrici come Nadifa Mohamed, Bernardine Evaristo, Caryl Phillips, Zadie Smith sono conosciute ?e molto amate. Ma a questa schiera ?di romanzieri si sta affiancando un interessante compagine di saggisti. Uno fra tutti David Olusoga, origine nigeriana, storico, voce tra le più note della Bbc, vive un assoluto momento di grazia. Ha appena realizzato con Mary Beard e Simon Schama una serie ?di documentari sulla storia dell’arte, “Civilisations”, diventata di culto. E nelle librerie campeggia su ogni scaffale il suo monumentale “Black and British”. Sullo stesso tema Anche Afua Hirsh, penna di punta del Guardian, che nel suo “Brit(ish)”, si è interrogata, come Olusoga, su cosa significhi essere neri e britannici oggi.
Ma rispetto agli Stati Uniti ancora si fatica a trovare una strada in Gran Bretagna. Anche se ci sono sorprese paneuropee: una è Sharon Dodua Otoo che, seppur inglese, grazie al suo libro “Herr Gröttrup Sits Down”, è stata premiata con il prestigioso Ingeborg Bachmann in Germania, nazione dove vive ormai da 24 anni. La ricerca del nuovo caratterizza invece l’iniziativa della casa editrice Jacaranda, una delle più radicali del Regno Unito, che ha lanciato (la scadenza è ad agosto) una ricerca di voci black sul territorio di sua Maestà per rompere le barriere di colore dell’editoria. La selezione è aperta per narrativa, saggi e poesia.
E in Italia? Nel nostro Paese le voci afroitaliane sono ancora poche e in cerca di editore. Manca un serio scouting, anche se veterane come Cristina Ali Farah o Gabriella Ghermandi non smettono mai ?di stupirci. Ma proprio in Italia, esattamente a Venezia, si percepisce che c’è voglia di cambiamento. Lo scorso aprile si è svolta un’iniziativa, che continuerà, dell’International Center for Humanities and social change di Ca’ Foscari, in collaborazione con Progressi Afropean bridges. Scopo: far incontrare artisti, economisti, politici tra Italia e Africa nelle aule dell’ateneo veneziano. A Roma nell’ambito delle due importanti mostre organizzate dal MaXXI per mettere in luce quanto vitale sia ?la scena artistica di un continente diviso tra la sua energia e le sue contraddizioni, si è svolta l’iniziativa “Scrittori al MAXXI. Come raccontare l’Africa”: dialoghi con scrittori ?e importanti ospiti.
Accomunati dalla grande capacità ?di raccontare le infinite sfumature ?del continente africano. E l’orgoglio ?di farne parte.