Se non fosse troppo diabolico sembrerebbe persino una strategia architettata dalle astute menti di Cologno Monzese. Per far fronte alla nuova ondata di malsanità domenicale, che ripropone senza vergogna alcuna come una trattoria di bassa lega piatti riscaldati con Pamela Prati e le sue sorelle e faccia a faccia con ex ministri, c’è bisogno di una somministrazione a lento rilascio, una sorta di preparazione atletica per il pubblico che per affrontare la sua corsa non può di certo cominciare con una pendenza al 90 per cento.
Così manda in scena un salottino del sabato di chiacchiere alla buona, dove possano transitare più o meno gli stessi personaggi che circolano negli altri parterre, ma un tocco di grazia, giusto un filo, che compensi poi il caravan serraglio del restante palinsesto. Un po’ come lo sketch di Carlo Verdone sul porto d’armi, «Perché posso usare questa? Perché c’ho questo!». In questo modo si giustifica il salotto di bonaria inutilità di Silvia Toffanin, padrona di casa a “Verissimo” da tempo immemore, che a suon di sorrisi e stupore merita un cauto plauso.
Dotata di naturale garbo e di una spiccata propensione all’empatia, la giornalista di Bassano del Grappa piange ogni sabato pomeriggio ma senza singhiozzi, fissa negli occhi l’interlocutore evitando stentoree voci fuori campo, gli tocca la mano, praticamente lo tiene in braccio ma con un democratico coinvolgimento emotivo a prescindere, che si tratti di una star o di un inutile vip di giornata. A volte sfodera persino una punta (piccola piccola) di ironia malcelata.
Come quando ha chiesto a Giulia De Lellis, (a proposito di sconosciuti famosi che zompettano in ogni dove) se avesse letto il libro che era venuta a presentare. Lo spettatore così si ritrova senza scossoni dal parrucchiere di quartiere in attesa della piega e sfoglia il suo giornalino di simil gossip senza politica, né splatter di cronaca, alternando reality a protagonisti di soap, attori di grido e millantate celebrità, tutti al suono della vocina stridula di Silvia. Che sorride, sempre col capo inclinato dai capelli immobili e al massimo rilascia carezze.
Perfettamente a suo agio in quello studio che in pratica l’ha vista crescere, a dispetto delle malelingue che la vorrebbero raccomandata di ferro dal fidanzato originario di Arcore, si è guadagnata a buon diritto un posto da piccolo schermo. A forza di buone maniere, sue in primo luogo ma anche dei suoi ospiti, contrapposte platealmente alla tracotante invasione dell’abituale estetica del tritacarne. Niente di eccezionale, sempre la stessa minestra per carità. Ma quantomeno educata. E vista l’aria che tira, conviene accontentarsi.