
Finalmente potremmo chiamarla “città delle luci”. Rabat, antica e moderna capitale del Marocco, attendeva questo momento da tempo, e ora eccolo lì: il Gran Teatro, l’opera postuma di Zaha Hadid, la grande architetta irachena scomparsa nel 2016 e conosciuta in Italia soprattutto per aver progettato il Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma (Maxxi), aprirà al pubblico in primavera. E sarà il teatro più grande di tutta l’Africa. Ma soprattutto sarà uno spazio innovativo dal design unico al mondo, capace di inseguire le forme della natura dialogando con il paesaggio circostante e di imitare i movimenti sinuosi del fiume Bouregreg, sulle cui rive sorgono le due città gemelle di Rabat e Salè.
Proprio da lì, dal ponte Hassan II, che attraversa il fiume e unisce le due città, inizia il nostro viaggio alla scoperta della monumentale “onda d’acciaio” che domina tutta la Valle del Bouregreg, un’area di 6 mila ettari nel cuore della capitale marocchina, oggetto di uno dei più grandi interventi di sviluppo urbano in corso nel Paese nordafricano. A due passi dal centro di Rabat, il ponte si trova lungo il percorso della strada nazionale 1, che si lascia alle spalle una città piena di contrasti, araba e occidentale insieme, fatta di casupole bianche e ampie strade che si restringono ramificandosi nel cuore della Medina, dove i colori sembrano saltellare da un bancone di babouches artigianali a cumuli di spezie d’ogni genere.
La grandezza architettonica e artistica della capitale marocchina parla attraverso i suoi monumenti sparsi per la città, già Patrimonio mondiale dell’umanità per l’Unesco: le mura, i minareti, le grandi porte monumentali, i resti della moschea di Hassan, il mausoleo di Mohammed V, la Kasba degli Oudaya circondata dai giardini francesi che guardano verso l’Oceano Atlantico testimoniano un passato antico e glorioso che oggi si mescola con un’irrefrenabile voglia di modernità e di un più ampio respiro culturale. Solo pochi mesi fa la città marocchina ha ospitato la sua prima Biennale internazionale di Arte contemporanea e l’apertura stessa del Gran Teatro si inserisce in un vasto programma di sviluppo nazionale promosso dal re Mohammed VI, che vuole fare di Rabat la capitale culturale del Marocco.
All’ingresso del Gran Teatro, però, meglio arrivarci in taxi per ora, «la struttura è difficilmente raggiungibile a piedi e troppo isolata per poterci andare da soli», spiega un tassista. Lì, in realtà, proprio attorno e dentro la struttura, è tutto un brulicare di caschi gialli, operai che lavorano anche di sabato pur di accelerare i tempi. Sono ovunque: sul tetto, dentro l’“onda” e sulle gru.
L’impatto è sorprendente: davanti ai nostri occhi si innalza una struttura audace e ariosa, un intreccio di linee tese e curve, appuntite e ondulate, una forma scultorea fluida, morbida, ispirata alla scrittura araba e ai movimenti del fiume che attraversa il parco in cui sorgeranno altri spazi dedicati al tempo libero, aree residenziali e centri commerciali. Le grandi vetrate e i triangoli sulle volte lasciano già intuire la quantità di luce che il Gran Teatro è pronto ad accogliere nei suoi spazi e a sua volta a riversare sui visitatori che dal foyer principale saranno guidati in maniera intuitiva verso la grande scalinata.
Ma la vera sorpresa è proprio l’interno, che ospita l’Auditorium principale con circa 2 mila posti a sedere, un teatro più piccolo a vocazione più sperimentale, degli studi creativi e un ristorante panoramico. In questi luoghi chiusi le linee sinuose si spezzano e diventano tanti piccoli triangoli di superficie fonoassorbenti, ricalcando la struttura ad alveare tipica delle Muqarnas, le decorazioni della tradizione medievale islamica. Fluida fuori, frammentata dentro, luminosa ovunque, richiama di certo l’Opera House di Sydney. Ma le sorprese non finiscono qui, perché il Gran Teatro ha perfino un anfiteatro esterno che può contenere fino a 7 mila persone.
«Per realizzare la struttura esterna in metallo sono stati costruiti dei pezzi unici. E anche per quanto riguarda il blocco di cemento del teatro interno ci sono voluti 2500 stampi unici per ottenere la forma curva e le sovrapposizioni di piani», ci raccontano gli operai, che in questi mesi si stanno concentrando sui lavori di finitura: tetto esterno, la grande sala e i suoi sedili, il rivestimento delle pareti, la messa a punto dei suoni, delle luci e delle attrezzature scenografiche. Insomma, ci siamo quasi. La data ufficiale dell’inaugurazione ancora non c’è, ma l’obiettivo è di aprire al pubblico in primavera, probabilmente ad aprile.
Lo stile decostruttivista di Zaha Hadid, che ha sempre accostato forme più armoniche ai contrasti, resta inconfondibile. Quando annunciò il progetto, lei – prima donna vincitrice del prestigioso Pritzker Prize (2004) – disse: «È una grande gioia per me dedicarmi alla costruzione del Gran Teatro di Rabat. L’unicità delle tradizioni musicali del Marocco e la sua ricca e lunga storia nelle arti performative sono rinomate in tutto il mondo. Sono onorata di poter partecipare allo sviluppo culturale della città». Era il 5 novembre del 2010.
«In questi anni siamo andati avanti con i lavori cercando di rimanere sempre fedeli a quello che era il progetto e alle intenzioni di Zaha Hadid, scomparsa il 31 marzo del 2016. Anche se sono passati dieci anni, non ci siamo mai fermati e soprattutto non ci sono stati grandi cambiamenti rispetto al progetto iniziale, neppure dopo la sua morte», spiegano dallo studio londinese Zaha Hadid Architects. Quel 5 novembre del 2010 fu firmato l’accordo fra l’architetta irachena, socio Fondatore di Zaha Hadid Architects, e Lemghary Essakl, direttore dell’Agenzia per lo Sviluppo della Valle del Bouregreg, società pubblica che si occupa di promuovere e gestire progetti lungo le sponde del fiume Bouregreg. «Il Gran Teatro sorge su una superficie terrestre di 47mila metri quadrati e occupa una superficie lorda di 27mila metri quadrati – continuano a spiegarci dallo Studio londinese - , è un luogo culturale di altissimo livello».
Dopo la morte di Zaha Hadid, con la costruzione avviata già da un paio di anni, i lavori hanno subito un forte rallentamento, con quasi tre anni di ritardo rispetto alla tempistica prevista, dovuti, sembrerebbe, ad alcune «divergenze nella metodologia del lavoro». E il costo stesso del progetto, stimato inizialmente attorno a 1.35 miliardi di dirham marocchini (più o meno i nostri 120 milioni di euro), sarebbe aumentato parecchio.
La realizzazione interna del Gran Teatro, tra l’altro, era stata affidata ad un’azienda torinese, la Bodino Engineering, ma i continui problemi burocratici hanno indotto la società italiana a sfilarsi dal progetto, in cui sono attualmente coinvolte diverse società di consulenza locali che lavorano a stretto contatto con Zaha Hadid Architects, l’architetto locale Omar Alaoui e la Bouregreg Culture (Filiale dell’Agenzia per lo Sviluppo della Valle del Bouregreg) guidata da Lofti Benchekrou.
Ma gli abitanti di Rabat non aspettano altro che di poter fare il loro ingresso nel Gran Teatro, che ospiterà spettacoli di prosa e di danza, concerti di classica e non solo, proiezioni e performance più innovative. Probabilmente il luogo diventerà anche la sede del Festival Mawazine di Rabat, la grande rassegna musicale che dal 2002 si tiene ogni anno proprio lungo le rive del Bouregreg. E potrebbe accogliere anche il Fortissimo Classica Festival di Rabat, codiretto dal maestro Samir Tamir e dal giovanissimo direttore d’orchestra italiano Filippo Arlia. Ma l’attesa è soprattutto per il programma teatrale, con spettacoli molto vicini al concetto di festa e di rito, come vuole la tradizione marocchina, e con testi di drammaturgia divertenti ma al tempo stesso a forte vocazione sociale e politica. Per il Marocco è arrivato il momento di accendere la “città delle luci”.