La Hollywood degli anni 30-40 vista da uno sceneggiatore alcolizzato e geniale, Herman J. Mankiewicz, che passa tre mesi a letto con una gamba rotta e un armadietto pieno di whisky assistito da una giovane stenografa e da una tedesca tuttofare per scrivere un (futuro) capolavoro: “Citizen Kane” cioè “Quarto potere” di Orson Welles.
Scolpito in un bianco e nero che ricrea con più perfezione che pathos luci e stile dell’epoca, “Mank” è così denso ed elaborato da sembrare il parto fantasioso di un altro sceneggiatore, Jack Fincher (1930-2003), padre del regista David, che l’aveva scritto trent’anni fa. Invece è tutto vero, o quasi: “It’s All True” per dirla con un altro film di Welles. Perfino i dettagli più d’effetto vengono dalla vera storia di questo genio autodistruttivo morto nel 1953 a 55 anni e dimenticato anche perché suo fratello, Joseph L. Mankiewicz, avrebbe diretto film come “Eva contro Eva” o “Cleopatra”. Mentre tutta la gloria di “Citizen Kane” (o quasi) sarebbe andata a Welles, anche se né lui né Herman J. Mankiewicz si degnarono di ritirare l’Oscar vinto ex aequo, unica e offensiva statuetta su 9 nominations.
I Fincher però non riaprono l’annosa contesa su “Citizen Kane” ma convocano temi eterni: l’inganno, il tradimento, la manipolazione (David non a caso ha diretto anche Citizen Zuckerberg, ovvero “The Social Network”). Mentre scrive, corregge e scaglia battute come rasoiate, Mank (un Gary Oldman con 7 chili in più) ripercorre infatti gli anni alla corte di L.B. Mayer e soprattutto di R.W. Hearst, il Murdoch di allora, modello palese di Kane. Pensa all’amante di Hearst, Marion Davies, stellina di poca fortuna ma qui mai sciocca e disumana come chi la circonda (una stupefacente Amanda Seyfried). Ricorda il falso cinegiornale voluto e diffuso con protervia hollywoodiana da Hearst, Mayer e Irving Thalberg (conoscere la Hollywood di allora aiuta a godere il film fino in fondo) per silurare il candidato democratico in California, lo scrittore Upton Sinclair. Chi tradisce chi, dunque? Mank che usa le vite di Hearst e Marion Davies? O la fabbrica dei sogni, che spaccia anche menzogne? Tra un set e una bevuta, mentre Hollywood pensa solo al business e minimizza il nazismo montante, “Mank” celebra una solitudine coltivata quasi come una vendetta. Su Netflix dal 4 dicembre. Senza prima passare in sala com’era previsto, purtroppo.
“MANK”
di David Fincher
Usa, 132’