Nei 500 anni dalla morte dell’artista, una sorprendente mostra ricostruisce l’origine dei fantasiosi decori che grazie ai suoi affreschi conquistarono il mondo: i dipinti sulle pareti della Domus Aurea

Alla fine del Quattrocento le pitture che decoravano la Domus Aurea diedero origine a un genere figurativo che da Roma si diffuse in tutto il mondo occidentale. La scoperta del sito, sul colle Oppio, era stata casuale e non si era ancora identificata la reggia di Nerone; ma dai fori praticati sopra le sue volte, tra giardini incolti e le rovine delle terme di Traiano, che avevano obliterato l’edificio, le murature dipinte furono attribuite senza incertezze a una dimora sontuosa. Da quei buchi, sempre più allargati e numerosi, ci si poteva calare, atterrare su cumuli di detriti e, alla luce delle fiaccole, ammirare soffitti affrescati con uno stile sconosciuto. Chi scendeva in quelle che sembravano grotte (da qui la denominazione delle pitture), si sentiva protagonista di un’avventura straordinaria: Ercolano e Pompei erano ancora sepolte sotto i lapilli e non si erano mai viste tante pitture antiche.

Si determinarono crolli, furono aperte brecce che permettevano di arrivare ad altri ambienti e, sempre spostandosi su terra e materiali di riporto, i pittori più in voga si trattenevano a lungo per ricopiare le decorazioni arricchite di stucchi e foglie d’oro. Tra i primi ad accorrere furono il Pinturicchio, Filippino Lippi, il Ghirlandaio, e poi Giovanni da Udine, che vi condusse il suo maestro Raffaello e gli altri compagni di bottega. Nasceva la pittura “delle grottesche”, ispirata dagli affreschi neroniani e rielaborata in mille fantasie compositive. Erano decorazioni dal repertorio quanto mai variegato e astratto: leggere architetture prospettiche che parevano galleggiare, motivi egittizzanti, vegetazioni artificiose, animali fantastici, reali, mostruosi, drappi appesi, maschere, quadri sostenuti da candelabri, che si prestavano a una gamma iconografica libera da regole, flessibile a qualsiasi impaginazione ornamentale.

In occasione dei cinquecento anni dalla morte di Raffaello, una mostra particolarmente suggestiva vuol sottolineare il legame tra l’artista urbinate, la sua cerchia pittorica, e l’influenza suscitata dalla scoperta. “Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche”, a cura di Vincenzo Farinella, con Stefano Borghini e Alessandro D’Alessio, promossa dal Parco archeologico del Colosseo e prodotta da Electa, editrice del catalogo, sarà allestita all’interno della Domus Aurea (dal 23 giugno al 31 dicembre). Anche l’ingresso previsto è altrettanto particolare: l’architetto Stefano Boeri ha progettato una passerella che dal colle Oppio farà entrare i visitatori nel padiglione per arrivare nella più famosa delle sale, quella Ottagona sormontata da una cupola.

È tra gli spazi di rappresentanza più noti: il soffitto con l’oculo centrale, che anticipava di decenni il Pantheon ricostruito dall’imperatore Adriano, sin da quando fu scavato, nel 1926, ha subito rinviato alla celebre descrizione di Svetonio sulla stanza per ricevimenti che ruotava giorno e notte. Le ricerche dell’École française con la soprintendenza statale pochi anni fa hanno individuato un ambiente girevole sul Palatino, nell’alto corpo cilindrico di laterizi provvisto - all’interno - di un meccanismo idraulico; ma non è escluso che l’invenzione fosse ripetuta altrove. Gli architetti scelti da Nerone, Severo e Celere, definiti da Tacito “machinatores” dalle audaci concezioni, erano in grado di realizzare le idee grandiose e scenografiche dell’augusto committente attraverso congegni che non conosciamo, ma che all’epoca erano noti. Durante l’età ellenistica (IV-I sec. a. C.) erano state compiute scoperte sensazionali in ogni campo dello scibile; abbiamo notizia, tra l’altro, di una macchina rotante a vapore attribuita a Erone di Alessandria, che aveva dimostrato come l’energia termica potesse convertirsi in energia meccanica.

«Entrando nella Sala», racconta Alfonsina Russo, direttore del Parco archeologico, «i visitatori si troveranno, anzi saranno proiettati in uno scenario che mira a coniugare realtà artistica e virtuale. Con gli effetti, che definirei magici, creati dal gruppo Dotdotdot, potremo accostare creazioni pittoriche originali ed elaborazioni rinascimentali: un omaggio a Raffaello e uno stimolo per l’immaginazione di chi verrà alla mostra».
L’evento ha accelerato i lavori in corso per riqualificare e mettere in sicurezza i giardini del colle Oppio, in collaborazione con il Comune di Roma e le forze dell’ordine, aggiunge Russo: «L’intento è di offrire al pubblico una nuova atmosfera di armonia tra ambiente naturale e architettura, tra i colori mutevoli del paesaggio e le emozioni che provoca, come ai tempi di Raffaello, la Domus Aurea».

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Il gusto pittorico dell’età neroniana, definito “Quarto Stile”, che esaltava quanto già era apparso in dimore principesche, è il leit-motiv che ci farà navigare nella storia dell’arte, imperiale e rinascimentale, in un continuo rimando evocativo. Le stanze che si aprono sulla Sala Ottagona, concepite come sezioni espositive, consentiranno, attraverso installazioni interattive e “morphing”, di seguire la nascita e l’evoluzione delle grottesche. Al centro, vedremo la statua in marmo di Atlante che regge il mondo, in arrivo dal Museo archeologico napoletano (collezione Farnese).

L’opera, risalente al II sec. d. C., è la più antica rappresentazione del cielo e delle sue costellazioni: lo spunto per proiettarne le immagini sulla volta, mentre saranno simulate discese di petali di fiori, quelli che Nerone - al dire di Svetonio - faceva arrivare sui convitati insieme a profumi. Il percorso della mostra che si snoda tutt’intorno, inizia nell’ambiente dove, insieme ai ritratti dei pittori che si sono ispirati agli affreschi della Domus Aurea, e alle loro riproduzioni, col movimento del nostro corpo potremo illuminare i sotterranei come apparivano alla loro scoperta, mentre ascolteremo i probabili commenti di meraviglia.

Nel 1516 Raffaello si accinse a far entrare i nuovi motivi decorativi nel Vaticano e, nella sezione successiva, verrà proiettata la celebre “Stufetta” (piccola sala da bagno) del cardinale Bernardo Dovizzi da Bibbiena, cominciando dagli studi preparatori che si animeranno fino al risultato finale, realizzato con l’intervento degli allievi. Era un inno all’amore, fisico e spirituale, che venne rappresentato con figure mitiche, creature marine, tralci vegetali intorno a quadretti di paesaggi e temi erotici, su un fondo rosso acceso.

L’allestimento successivo riguarderà invece la scoperta del Laocoonte nel 1506, il complesso statuario di marmo (II sec. a. C.), in origine sistemato in uno dei giardini della reggia, che ha goduto di un grande successo di repliche nelle corti rinascimentali. Nella mostra, il gruppo scultoreo sarà presente nella copia in gesso del museo urbinate di Palazzo Albani e le sue riproduzioni verranno proposte in “morphing” sullo sfondo. Al contempo, si potrà notare una piccola cascata: era l’acqua che Nerone faceva arrivare in questo punto della sala per renderla ancora più spettacolare. La quarta sezione sarà riservata alla fortuna delle grottesche; una consolle interattiva permetterà di visualizzare i luoghi - con relativa mappa geografica - dove questo genere di decorazioni è stato applicato fino all’Ottocento.

A decretarne il successo e la diffusione fu proprio Raffaello perché aveva codificato i motivi fantastici e illusionistici in una misura “classica”, armonizzando la varietà dei soggetti pittorici in sequenze logiche, ricollegandosi ai moduli antichi. Grazie a questa sapiente interpretazione le grottesche, senza essere considerate trasgressive, potevano adattarsi alle esigenze di qualsiasi committente, laico o religioso. Quanto però egli vide, con tinte più accese e figurazioni oggi scomparse, era a distanza ravvicinata: i calcinacci e materiali di discarica con cui Traiano riempì la Domus – dopo aver smantellato marmi e ornamenti preziosi - per farne il basamento delle sue terme, arrivavano fino all’impostazione delle volte. Diverso era l’effetto per gli ospiti di Nerone: i soffitti erano a circa dieci metri di altezza e nessuno poteva apprezzare a pieno le pitture. La produzione del celebre Fabullo, e del suo atelier, risaltava solo sulle pareti libere dai marmi; a sottolineare il pregio di questa parte della vasta residenza era la luce solare che entrava ovunque, rimbalzando dalle pietre preziose alle dorature.

Dopo il dilagare del nuovo gusto nell’Italia del Cinquecento - Caprarola, Mantova, Vicenza, Parma, Siena - e all’estero, da Landshut a Granada, si devono attendere due secoli per una sua vigorosa ripresa e il fiorire delle ricostruzioni pittoriche. Nell’epoca del rococò, degli ornamenti esuberanti, si inserivano bene gli apparati fantastici; ma erano privi dell’organicità raffaelliana derivata dallo studio del patrimonio classico; in genere, si trattava di virtuosismi, tesi a provocare stupore e coinvolgere i sensi.

Gli echi e le citazioni delle grottesche arrivano fino ai nostri giorni, basti pensare ai tessuti e all’oggettistica; ma si ritrovano anche in opere di artisti moderni, come Dalí, Miró, Ernst. Nell’ultima stanza espositiva della sala Ottagona, dedicata a loro, ogni visitatore, di fronte a esseri mostruosi, particolari sconosciuti in natura, che si ritrovano in tanti quadri, potrà combinare vari elementi pittorici in figure digitali seguendo la propria fantasia.
Il percorso continua nelle sale denominate “Achille a Sciro” e “Ettore e Andromaca”, per i due quadretti che le caratterizzano, a ri-conoscere le pitture del Quarto Stile, e le volte ripartite in elaborate forme geometriche. Per cogliere invece le novità - su grande scala - che il “divino” artista di Urbino ha introdotto, ci si deve spostare nelle Logge Vaticane, portate a termine dai collaboratori: Giovanni da Udine in primis, e Perin del Vaga, che nella Domus Aurea lasciò la sua firma.