
“Sotto il sole di Riccione” ha il sapore di un’operazione-nostalgia in sintonia con l’Italia al tempo del Covid.
«Da una generazione all’altra cambia il modo di fruire la realtà, di comunicare, ma i fondamentali del racconto, il modo di guardare la vita, i sentimenti, i sogni, le delusioni, le illusioni, sono gli stessi. “Sotto il sole di Riccione” riconcilia padri e figli perché mescola una storia dalla struttura tradizionale con la contemporaneità».
Perché proprio Riccione?
«Ho un solo ricordo, sono sempre stato Tirreno-dipendente: cresciuto a Fregene, poi in Versilia, a Castiglioncello e a Forte dei Marmi. E poi Capri, dove mia moglie aveva un negozio. Una volta, all’inizio degli anni Ottanta, andai in Romagna e incontrai Lucio Dalla, che mi portò al ristorante Fino, a Riccione. Abbiamo bevuto un prosecchino leggero che ancora ricordo, Topolino. In un paio d’ore Dalla mi ha fatto capire l’anima della Romagna. Oggi Riccione è un posto fantastico: ha lo spirito di un tempo ma assomiglia anche un po’ a Miami».
Che estate è quella del 2020?
«Il mio amico Leo Benvenuti, grande sceneggiatore, diceva: “La vita sono venti estati utili”, cioè nel corso dell’esistenza ci sono venti estati che ci fanno diventare quelli che siamo. Sarà così anche l’estate del 2020».
Cosa ha imparato dal lockdown?
«È stato un momento magico di riconciliazione tra generazioni. Tante volte ho dialogato con i miei nipotini: prima al telefono e poi, quando finalmente abbiamo potuto riabbracciarci, ho fatto vedere loro le foto della bisnonna e del bisnonno, hanno conosciuto il loro passato. Durante il lockdown ho scritto molto - un libro, un’altra sceneggiatura - e ho ripreso a suonare il pianoforte. Classica, pop, jazz».
Come molti settori, anche il cinema è uscito con le ossa rotte dal blocco totale. E non riesce a riprendere fiato.
«È tutto molto complicato. Con tutto quello che è successo l’ultima cosa che ti viene in mente è chiuderti in una sala cinematografica, mi rendo conto. Al di là della sala, però, occorre produrre i film, perché la sala è come un supermercato: se apri e non ci sono né carne né verdure non se ne esce. Al governo voglio dire che durante il Covid noi del cinema abbiamo fatto molto per il pubblico: abbiamo fatto ridere, emozionare, riflettere milioni di persone. Se i medici hanno fatto la parte più grande, il cinema nel suo piccolo ha dato conforto. Ora non vorrei che "passata la festa gabbato lo santo", bisogna ricordare che il cinema è un elemento centrale».