Il segreto della premiata ditta Ficarra&Picone
Umanità e ironia, ma anche denuncia e indignazione. Ecco perché le storie firmate e interpretate da Salvo e Valentino sono diventate in pochi anni lo specchio degli italiani. L'omaggio di un grande regista a due moderni maestri della comicità
La comicità è una delle sintesi supreme della cultura di un popolo. Di grandi comici ne nascono pochi, ma quei pochi, spesso, riescono a contrassegnare un’epoca.
Partiti dall’indolenza geometrica, e filosofica, dei nati stanchi, uno stato quasi oblomoviano, Ficarra e Picone – Salvo e Valentino per gli amici – rappresentano in coppia il genio comico che ha saputo raccontare meglio il carattere degli italiani nel nostro tempo. Un tempo non facile da intercettare, caratterizzato com’è da una oscura inclinazione al risentimento. Passato al filtro della sapienziale ironia siciliana, il veleno del risentimento si è trasformato nei loro film in una drammaturgia paradossale e intelligente, uno specchio in cui gli italiani hanno potuto contemplare se stessi e ridere dei propri vizi e delle proprie meschinità.
Il grande comico ospita quasi sempre un moralista, e Salvo e Valentino, nella continuità della loro postura di attori e autori, hanno sempre mostrato una vena moralista. Ovviamente, il loro moralismo non si è mai manifestato con prediche e sermoni, anzi, è sempre stato dissimulato in un tono di proverbiale leggerezza. Insomma, i loro film non sono mai stati usati per istruire processi, tutt’altro. Sin dai primi passi Salvo e Valentino hanno consegnato il loro moralismo, o la loro indignazione morale, a una cifra interrogativa, aperta al dubbio, e intonata a una poetica d’irresistibile umanità.
In effetti, come mostra bene il libro di Ornella Sgroi, “È la coppia che fa il totale. Viaggio nel cinema di Ficarra & Picone” (HarperCollins) sono due esempi unici nel nostro cinema, due comici, ma anche due autori, che hanno saputo dedicare uno sguardo profondo e originale alla politica, al costume e alla società italiani, distillato dapprima attraverso l’esperienza maturata in teatro come attori di cabaret, poi anche attraverso la televisione – decisivo è stato Zelig – prima di consacrarsi definitivamente e con travolgente successo all’amato cinema.
Tra i vari passaggi del libro che si possono citare, è molto bello il racconto del loro incontro nell’estate del 1993 in un villaggio turistico di Giardini Naxos, con Salvo nelle vesti di animatore e Valentino in quelle di cliente. A quanto pare è stato Ficarra, dopo una serata trascorsa ognuno nel proprio ruolo, a farsi vivo l’indomani con una telefonata in cui proponeva a Picone la futura ditta. Quando, anni dopo, arrivata la popolarità, i due amici passano al grande schermo, condividono subito il desiderio di circondarsi di grandi professionisti della sceneggiatura (Francesco Bruni) e della fotografia (Roberto Forza). Hanno cioè un’idea chiara del cinema cui ambire. E sin dai quei primi passi la loro più grande forza è la capacità di rovesciare gli stereotipi e rileggere le trame del Sud in modo paradossale, scrutandole attraverso la lente di una filosofia surreale.
I due guardano ai classici della commedia all’italiana, a Totò, ma anche al cinema di Pietro Germi, un fuoriclasse che ha saputo raccontare la Sicilia come pochi. Inoltre, ammirano incondizionatamente “C’era una volta in America” e “Nuovo Cinema Paradiso”, ma anche “Rocky Balboa”. Sono due cinefili agguerriti, vedono i film degli altri per costruire e fortificare il proprio immaginario. Esaminando i loro film, da “Nati stanchi” a “Il 7 e l’8”, passando per “La matassa” e “Anche se è amore non si vede”, e poi ancora “Andiamo a quel paese”, “L’ora legale” e “Il primo Natale”, si riconosce un’attitudine al romanzesco, l’unico dispositivo attraverso il quale è possibile riagguantare il tempo, come se anche per loro il cinema fosse il solo modo per ricostruire una versione attendibile del passato, disseppellendone segreti e misteri. In questa ossessione, Ficarra e Picone si rivelano insieme borgesiani e siciliani.
«A me è sempre piaciuta l’idea di andare avanti e indietro nel tempo, ed è vero che tutte le nostre storie, anche quelle che alla fine non abbiamo mai girato, affondano molto nel passato per esplorare le ripercussioni che il passato produce nel presente, magari portando alla luce cose nascoste che si scoprono all’improvviso. È un aspetto proprio bello, che ci piace molto», confida Valentino a Ornella Sgroi. E gli fa eco Salvo: «Le più belle commedie all’italiana, quelle degli anni Cinquanta, avevano il loro punto di forza nel fatto che non erano mai film in cui il regista si metteva in primo piano, ma erano costruiti soprattutto sulla sceneggiatura e sui personaggi, quindi sugli interpreti».
Sembrerebbe una dichiarazione di poetica e forse lo è, tra le righe del libro è infatti esibito con umiltà anche un metodo di lavoro, nelle cui pieghe si coglie una propensione alla maniacalità più scrupolosa. Ovvio che in queste pagine ricorrano i nomi dei collaboratori di sempre e di quelli nuovi, dai musicisti Paolo Buonvino e Carlo Crivelli, al montatore Claudio Di Mauro, all’organizzatore e produttore esecutivo Attilio De Razza, a Nicola Guaglianone per la sceneggiatura, a Cesare Accetta e Ferran Paredes Rubio per la fotografia, e ancora Edoardo De Angelis, regista in proprio ma “complice artistico” della coppia, Gianni Costantino, da sempre loro aiuto regista e casting director, per dire solo di alcuni dei componenti di questa vera e propria factory creativa.
Ovviamente il merito principale di un libro come questo è quello di farci conoscere meglio i due protagonisti, e mi sembra del tutto riuscito. Essendo da molti anni amico di Valentino e Salvo pensavo che mi sarei imbattuto in aneddoti che conoscevo già, ma non è stato così. D’altronde, Ornella Sgroi non è soltanto una studiosa attenta e intelligente, ma anche una persona curiosa e sensibile, che nell’intraprendere il mestiere del critico non ha voluto rinunciare al piacere di rimanere spettatrice, la qualità suprema per amare e far amare il cinema.