La tv è un cattivo esempio continuo. Ma è più facile dare la colpa a Squid Game

Bulli, insulti, scatti d’ira, scontri e altre nefandezze: i palinsesti tutti sono un modello da cui i giovani spettatori dovrebbero fuggire a gambe levate. Altro che la serie coreana

Tu guarda l’accanimento del destino. Avevamo appena tirato un sospiro di sollievo per aver scampato il pericolo del fantomatico spettro gender nelle scuole grazie alla bocciatura del ddl Zan quando all’improvviso un nuovo attacco all’integrità dei nostri figli arriva a gamba tesa dalla lontana Corea. La serie Netflix dei record “Squid Game” è il nuovo spauracchio, un modello negativo in ben nove episodi in cui la violenza continua e sottesa che ne costituisce la tessitura narrativa starebbe ispirando i minori italici a darsele di santa ragione pur di replicare in qualche modo l’agognato Calamaro. Altro che Schiaffo del soldato o palline Clic Clac.

L’accusa, che parte dal Moige, arriva ai presidi, attraversa una raccolta firme e si chiude con un’interrogazione parlamentare della leghista Laura Cavandoli, punta il dito contro la descrizione seriale del mondo bruto in cui il divario ancestrale tra ricchezza e povertà si esplicita in un macabro torneo di giochi per bambini. In estrema sintesi, il racconto che restituisce un nuovo punto di vista all’antico adagio da briganti “O la borsa o la vita” è un pericolo che passa dalla tv.

 

Così, verrebbe da credere che il palinsesto restante sia al contrario educativo e che allontani i nostri piccoli lanciati verso il futuro dalle cattive intenzioni. Peccato poi che ci si ritrovi a ogni pié sospinto con minori armati di microfoni, truccati da rossetti scadenti, lasciati davanti alla telecamera da quegli stessi genitori che gli permettono visioni già vietate. Peccato inoltre che la tv stessa, a cui i giovani virgulti hanno libero accesso, gli abbia spalancato la strada del protagonismo, e che in programmi edificanti come “Il Collegio” si mostri impunemente in prima serata una ragazza presa da un tale impeto di rabbia contro una compagna di studio (televisivo) da sbattere il pugno sul muro sino a trovarsi con una mano fasciata. E poi tg e talk in cui gli avversari si “asfaltano”, reality dove vige la legge del più forte, modelli estetici da replicare a tutti i costi, bullismi estremizzati, conduttori che si ostinano a mettere in piazza i loro disappunti personali, giornalisti piccati, vaccini presentati come il grande male e altre nefandezze.

 

Sino all’esempio del “Grande Fratello” che tanto ha dato al Paese e agli spettatori tutti. In cui, tra i tanti momenti alti, ha anche regalato un duello tra una specie d’attore e un campione sportivo, mani in faccia, sberla sulla spalla e un monito: «Ti darei due schiaffoni». “Squid Game” colpisce ancora. Persino tra i maggiorenni. 

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