Audrey Diwan: «Gli spari che hanno tagliato le mie radici libanesi»

Pallottole vaganti che entrano nella casa della madre incinta e la convincono a fuggire a Parigi. La regista del film che ha vinto a Venezia spiega perché “La scelta di Anne”, con il suo cast multietnico, ha molto da dire sulla Francia di oggi. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia araba

Il nome, Audrey, è uno dei più francesi che si possano immaginare. Il cognome invece è arabo: Diwan, che in tante lingue è alla base della parola per divano, è uno dei contributi più pacifici e unanimemente apprezzati del mondo islamico alla cultura occidentale. Ma per la regista che con il suo secondo film ha conquistato a sorpresa la giuria di Venezia che le ha assegnato la Palma d’oro, le radici mediorientali sono solo il passato. Un passato drammatico: «Mio padre è libanese, mia madre è per metà francese e per metà rumena. I mei si sono conosciuti nel 1979 a Beirut, vivevano lì, ma sono scappati poco prima della mia nascita, dopo che dei proiettili vaganti erano entrati nel loro appartamento. Penso che crescere in un contesto che ha un rapporto così stretto con la guerra mi abbia portato ad un’urgenza di fondo che immagino si possa sentire nel mio lavoro».

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Diwan parla più volentieri delle sue radici rumene: «Ho un rapporto forte con le donne della mia famiglia: dalla parte rumena – ma anche dalla parte libanese – c’era una forma matriarcale, dei grandi personaggi femminili molto forti e molto verticali. E credo che questo abbia lasciato un’impronta sia nel mio modo di condurre la mia carriera sia nel disegnare i personaggi femminili».

 

Anche “L’evenement”, titolo intraducibile (vuol dire avvenimento, ma anche nascita…) che i distributori italiani hanno cambiato in “La scelta di Anne” è un film molto femminile, ma in realtà gli uomini hanno un ruolo importante. E non sempre negativo, tiene a sottolineare la regista: «Gli uomini – come anche le donne – sono segnati dalla situazione degli anni Sessanta. Dei due medici che Anne incontra, uno è antiabortista e la inganna, ma l’altro sarebbe abortista se non lo vietasse la legge. E anche Jean è un personaggio importante: prima non capisce, arriva a dire “facciamo sesso tanto sei già incinta, non rischiamo niente”, ma poi è lui a prendersi il rischio di indicarle chi la può aiutare».

 

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Il film fa un ritratto molto profondo di una società in cui l’aborto è vietato. Qui la donna non rischia solo la prigione, la sofferenza e la morte: la pena inizia già davanti al solo pensiero con l’ostracismo, l’abbandono da parte degli amici più cari. Una storia drammatica («una piccola storia ignobile» l’avrebbe definita una bella canzone ormai dimenticata di Francesco Guccini) che Annie Ernaux ha raccontato quarant’anni dopo averla vissuta (nel romanzo “L’avvenimento”, edizioni L’Orma) e che per vent’anni nessuno aveva voluto trasformare in un film: che è stato accusato di essere troppo crudo, quando in realtà, giustamente, non mette in scena tutto quello che la scrittrice ha scritto.

 

Raccontare di meno sarebbe stato negare lo scopo stesso del libro di Ernaux, ma se Diwan avesse scelto di seguire alla lettera il racconto, il risultato avrebbe rischiato un orrore che avrebbe sbilanciato l’equilibrio del film. Che invece rimane un’opera in cui l’aborto clandestino è solo un “avvenimento” drammatico che finisce per convincere una donna giovanissima che il suo destino è la letteratura, che una vita sessuale libera è un suo diritto - ma anche che realizzare i sogni dei suoi genitori e un suo dovere.

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C’è voluto un regista di origine straniera per mettere i francesi di fronte a questa pagina del loro passato? Oltretutto, in Francia il film ancora non è uscito: quella italiana del 4 novembre (con anteptima il 3 in alcune città) è la prima uscita mondiale. Diwan non è d’accordo: «Io sono francese: ho origini straniere che sicuramente mi influenzano ma sono cresciuta a Parigi, ho studiato qui, la mia cultura è francese: sono una lettrice francese che ha fatto un film da un libro francese». Il sospetto però resta, anche per il ricordo di quando l’austriaco Haneke ha firmato il primo - e forse ancora unico - film sul massacro degli algerini avvenuto a Parigi nel 1961. In effetti, ha detto Diwan, «quando cercavo i soldi per farlo mi dicevano: ma perché, ormai l’aborto è legale… Un’obiezione che nessuno fa mai davanti a un film sulla Seconda guerra mondiale».

 

Il film segue da vicino il romanzo di Ernaux che però è costruito su due piani, alterna presente e passato: «Io racconto solo quello che succede ad Anne perché il suo passato è il presente del film: se avessi mostrato i due piani, il 1963 sarebbe sembrato lontano rispetto al presente dello spettatore. Invece l’idea del film è proprio mostrare questa storia come se fosse presente perché superi la barriera del tempo».

 

Colpisce anche la differenza tra la società totalmente francese del libro (solo la donna che pratica l’aborto è una spagnola fuggita da Franco: la interpreta Anna Mouglalis, di origine greca), e il cast del film. La protagonista è una bravissima franco-rumena, Anamaria Vartolomei, Pio Marmai, il professore, è italo-francese, l’amica Elena è originaria del Kosovo (Luana Bajrami, attrice per “Ritratto della fanciulla in fiamme” ma ora anche regista), il medico gentile è un belga naturalizzato italiano (Fabrizio Rongione)… Una varietà che non c’è nel libro, e che contrasta con l’elenco di nomi e cognomi inequivocabilmente francesi che risuona nel film quando il professore fa l’appello.

 

Anche qui, non c’era niente di intenzionale, assicura Diwan: «Mi sono dovuta porre il problema della diversità per capire quale parte di studenti universitari erano di origine straniera nel 1963, perché non potevano portare sullo schermo una diversità che non c’era in quell’ambito in quegli anni. Ma credo che se questo film parla di diversità è solo per contrasto; mostra che non c’era diversità negli anni Sessanta. Le ondate di immigrazione di quel periodo, che venivano dal Maghreb o dalla Spagna, o Portogallo si vedevano molto nelle campagne, ma non nelle università».

 

Il film è stato comprato in tutto il mondo: uscirà anche in Polonia, e altri paesi in cui l’aborto è proibito o osteggiato. n Italia, la distribuzione Europictures lo proporrà per proiezioni nelle scuole. Resta la curiosità di vedere il film precedente di Diwan (“Siete tutti pazzi?”, su una coppia disfunzionale a cui vengono tolti i figli) e di conoscere il prossimo: «Il mio primo film era una storia vera, e forse in questo può essere più vicino al mio lavoro precedente, di giornalista. Anche “La scelta di Anne” racconta una storia vera, ma nel passato: è lo stesso approccio ma il mio modo di fare cinema è cambiato tra i due film. Il prossimo? Non so ancora, sta cambiando tutto, mi propongono tante cose interessanti. Prima gran parte del mio lavoro era stare chiusa da sola a scrivere, adesso sono sommersa dalle proposte…».

 

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