Intervista
Lavinia Fagiuoli, l’eleganza di un mondo varopinto: «Per me il disegno è un bisogno primario»
L’illustratrice milanese, collaboratrice de L’Espresso, racconta il suo percorso professionale, le sue passioni e i suoi punti fermi
Eleganza è il termine che mi viene in mente se penso alle immagini create da Lavinia Fagiuoli, illustratrice veronese (ma di stanza a Milano) che da qualche tempo collabora con L’Espresso. Ho conosciuto Lavinia durante un workshop in una scuola di illustrazione di Milano nel 2019. Si tratta di workshop che intendono introdurre gli studenti da subito nel mercato del lavoro e quindi si danno brief reali e se le immagini proposte sono valide, professionali e funzionali, vengono pubblicate sul giornale.
L’Espresso partecipa periodicamente a questi programmi, ed è molto importante per lo sviluppo grafico della testata stessa: innanzitutto si ha una panoramica sul mondo dell’illustrazione, elemento visivo molto importante per il nostro giornale, e poi si possono conoscere nuovi talenti, puntare su questi e crescere insieme, dando vita a collaborazioni spesso molto soddisfacenti.
Gli studenti delle scuole di illustrazione provengono da percorsi di formazione diversi: molti da istituti d’arte, alcuni già lavorano ma vogliono crescere ulteriormente o conoscere direttamente realtà editoriali consolidate, altri ancora arrivano da mondi molto diversi. È questo il caso di Lavinia Fagiuoli che, dopo una laurea in giurisprudenza, ha deciso di seguire la sua grande passione, di iscriversi ad una scuola (il Mimaster di Milano,) e provare a diventare un'illustratrice professionista.
Lavinia, cosa ti è saltato in mente di mollare tutto? Una volta laureata avevi iniziato subito a lavorare, prima presso l’Ambasciata italiana in Marocco e poi a Milano come avvocato. Poi cosa è accaduto?
Come mi è saltato in mente di non farlo prima, in realtà. È andata così: benché disegnare fosse la mia occupazione preferita dall’età di tre anni, ho studiato al liceo classico e poi alla facoltà di giurisprudenza, un po’ per inquadramento familiare. Una scelta artistica non era assolutamente concepibile in casa mia ed io mi sono adeguata, studiando con piacere e sì, sempre lavorando, anche viaggiando all’estero. Dalla professione di avvocato di diritto di famiglia, dai clienti, dai giudici e soprattutto dagli ottimi avvocati presso i quali ho lavorato, con i quali sono legata da sentimenti di grande amicizia, ho imparato moltissimo in termini di sensibilità, capacità di osservare e di svolgere il ragionamento giuridico, così unico: una continua corsa dal generale al particolare, andata e ritorno. Nonostante questa professione sia così interessante, sentivo sempre una strana inquietudine alla quale poi ho dato un nome: necessità. Soprattutto, poi, ho dato una risposta: un conto è il lavoro che svolgiamo, un conto è ciò che siamo. Io sono fatta della sostanza dei miei disegni, belli o brutti che siano. Per me disegnare, così come illustrare quando ne ho l’occasione, è proprio un bisogno primario, come per un altro può essere scrivere, suonare o cantare. È questo che mi fa sentire me stessa. Quindi, ad un certo punto, ho sentito di voler fare anche un lavoro che corrispondesse alla mia natura e, finalmente appoggiata dalla mia famiglia, mi sono data una chance provando il test di ingresso presso la scuola dove ci siamo conosciuti.
Durante il Mimaster, provenendo da giurisprudenza, immagino che da un punto di vista tecnico ti sia trovata indietro rispetto ai tuoi compagni di corso. Come hai vissuto questo gap, se c’è stato?
Sì: un gap c’era, eccome! Mentre nel disegno mi sentivo tranquilla, in relazione a computer e tecnologie non avevo la più pallida idea di come usare i programmi ed ero circondata da persone che, tavoletta grafica alla mano, erano addirittura in grado di animare le illustrazioni! Devo dire che tutti sono stati molto gentili con la “vecchietta” avvocata disegnatrice e mi hanno aiutato e insegnato tanto, con grande pazienza ed abbondanti risate… Certamente devo studiare ancora, ma alla fine ho acquisito le competenze che mi servono, sul piano tecnico e sulla professione: ho conosciuto illustratori, art director e altri professionisti che sono stati incredibilmente preziosi. Il consolidamento di quelle competenze è però arrivato dopo, ed ha curiosamente coinciso con la pandemia, quando insieme all’autrice Maddalena Giusto abbiamo creato “Cartoline in Tempo Surreale”, una cronaca illustrata, giorno dopo giorno, del particolare momento originato dallo scoppio dell’epidemia di Covid-19 che ci ha costretti in casa. Con cadenza regolare, in principio addirittura due volte a settimana, abbiamo iniziato a inviare una cartolina con un’illustrazione e sul retro un messaggio scritto ad una mailing list che, mese dopo mese, si è allargata sempre di più. Ogni Cartolina è diventata l’occasione per noi per raccontare qualcosa del momento (sensazioni, desideri, riflessioni sulla cronaca, ecc.) e per me per un’evoluzione tecnica e grafica che mi ha portato dove sono oggi: dover inventare un’immagine in poco tempo, coordinarla con la parte scritta da Maddalena, realizzarla velocemente, volta dopo volta, ha consolidato ciò che che avevo imparato a scuola. Curiosamente, infine, i programmi grafici e il computer, inizialmente così difficili per me da conoscere, stanno ora facendo un passo indietro: ho ricominciato ad utilizzare quasi esclusivamente tecniche tradizionali, in particolare monotipia e colori ad olio, limitando l’uso di questa tecnologia al minimo indispensabile (per quanto si realizzi un’illustrazione a mano, è poi necessario creare un file digitale e fare modifiche veloci per l’uso e la pubblicazione).
Una volta finita la scuola hai fondato il collettivo La Touche. Cos’è di preciso e come mai è nato?
Il Collettivo La Touche è uno spazio di sperimentazione e condivisione artistica. È nato alla fine del Master tra i banchi di scuola. Avevamo voglia di iniziare subito, di continuare l’esperienza del confronto, di lavorare insieme e di avere un atelier a Milano. L’atelier è arrivato dopo un’esplorazione della città in un luglio torrido: quando sono entrata nel fresco cortile di in Via Farini per me è stato come trovare il paradiso. È un posto meraviglioso nel quartiere Isola di Milano, dove conviviamo con creativi di diverse tipologie e che ogni tanto apriamo per visite. Una collaborazione interessante è quella con la ceramista di Bota Fogo, con la quale abbiamo partecipato al festival Walk-in-Studio con la mostra “Segno/impressioni milanesi”, un’indagine sulle tracce della nostra città e il tentativo di trasferirla su carta e su ceramica. Più di recente, sempre con Bota Fogo stiamo realizzando delle mattonelle dipinte a mano da noi sulla base di una illustrazione al tratto e poi cotte artigianalmente nel forno dell’atelier. È molto interessante perché parliamo con il singolo cliente e realizziamo una o più illustrazioni su commissione, personalizzandole al massimo. Dipingere su ceramica è un po’ come dipingere ad olio ed il risultato è imprevedibile e brillante. Ci dedichiamo anche alla pittura su pareti, che viene costruita e concepita nello stesso modo. I primi clienti che abbiamo avuto sono stati curiosamente sempre giovani architette, come le bravissime professioniste dello studio DXP.
Come funziona il mondo dell’illustrazione quando si è così giovani professionalmente? Come arrivano i primi lavori? Si mandano mail o si è contattati?
Non posso parlare in generale perché in questo io sono stata molto fortunata: da tempo immemorabile ho amici e conoscenti che seguivano la mia evoluzione, il mio lavoro, ed erano al corrente del mio lungo cambiamento, perciò, non appena ho cominciato davvero, tutti coloro che avevano una necessità legata all’illustrazione mi hanno contattata e sono loro molto grata. Ho avuto l’occasione di illustrare il nuovo Sito di Officine del Minotauro, di fare divertentissime etichette di vino per la cantina toscana Le Bertille, di lavorare in molti campi diversi. Per me il primo anno è stato un laboratorio personale: ho ricevuto un po’ di richieste, ho cercato occasioni, ho partecipato al concorso Tapirulan dove sono stata selezionata, ma soprattutto ho fatto una ricerca su me stessa ed un’esplorazione del lavoro. Non avevo mai agito, sul piano professionale, fuori dai Tribunali, e quindi ogni occasione, perché cercata da me o perché sono stata contattata, l’ho vissuta come una prova, un esperimento, una tappa di una evoluzione. È stato al seguito di questo primo anno trascorso così che ho iniziato a inviare il mio portfolio via email, come l’ho inviato a te a novembre 2020, in cerca di nuove opportunità. Per me è vitale oggi rispondere positivamente a coloro che mi commissionano un lavoro, con amore, dedizione e puntualità, ma è anche importantissimo guardarmi intorno, farmi avanti senza paura di ricevere anche qualche fisiologico “no”. Essendo ancora agli inizi, spero di avere davanti una lunga strada.
Per un’illustrazione de L’Espresso hai citato il dipinto “Tre donne” di Umberto Boccioni. Quali sono i tuoi riferimenti artistici? Quali classici e quali contemporanei?
È vero, abbiamo parlato di quel meraviglioso dipinto come riferimento visuale per un’illustrazione concepita insieme che aveva donne di diverse età ed in diverse posizioni. Avevo da poco avuto occasione di ammirarlo alle Gallerie d’Italia. I riferimenti per me sono gli artisti dei movimenti nati all’inizio del Novecento in Europa e che hanno poi attraversato tutto il secolo scorso. Il luogo più interessante è la casa di Peggy Guggenheim a Venezia, un monumento alla storia dell’arte del Novecento nella città più bella del mondo. Ci sono andata per la prima volta da ragazzina con la mia mamma e non ricordo di aver mai più provato un’emozione simile per un luogo. Era, come è, surreale. Penso, comunque, che l’ispirazione venga in generale da tutto ciò che ci circonda: amo moltissimo la letteratura. Ivan Canu, il direttore della scuola che ho frequentato e illustratore di riferimento per l’Espresso, ci ha parlato di quanto finisca tutto dentro il nostro lavoro di illustratori: arte, teatro, letteratura, cinema. Spesso mi ritrovo ad ascoltare libri narrati mentre disegno. Gli autori: Eva Cantarella, che è stata mia insegnante all’università, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, la prima Oriana Fallaci, Emmanuel Carrère, persino i Promessi Sposi (divertentissimo)! Ho comunque dei punti fermi, che non c’entrano nulla l’uno con l’altro: l’antica Grecia per le inesauribili storie e per il ragionamento, i romani per la legge, l’Italia di Giotto e Dante (benché la mia ignoranza in tema sia sconfinata), mi piacciono le lingue straniere, in particolare il francese (anche se non sono per niente portata). Amo guardarmi intorno nei viaggi (ho viaggiato tantissimo, quando ancora si poteva) e i film di Woody Allen, altro pilastro del mio confuso e variopinto edificio mentale. Quanto ai pittori, non sono granché originale: ho una venerazione per Pablo Picasso (altro motivo per il quale adoro lavorare vicino alla ceramica). Guernica è per me l’opera più importante di quel secolo, ed in assoluto. Amo Frida Kahlo e Jean-Michel Basquiat per aver raccontato la crudeltà che subiscono i diversi, così come Henri de Toulouse Lautrec, Schiele, il commovente Van Gogh, Chagall e Modigliani. Tra gli artisti contemporanei, ammiro profondamente il lavoro di David Hockney e di Louise Bourgeois.