Come ogni estate il carillon del palinsesto gira la sua ruotina per mettere la stessa identica nenia già sentita e risentita: la replica. Programmi ripescati un po’ a caso e ritrasmessi senza pudore alcuno su tutti i canali indistintamente, facendo finta che nessun coprifuoco abbia tenuto gli spettatori serali incollati davanti allo schermo. Così, confidando in una ventata di aria condizionata, ci si abbandona senza sguardo critico alla consueta visione di successi del recentissimo passato, compresi i gol europei riproposti neanche fossero un tic nervoso. Ma visto che il destino cinico e baro ci ha strappato Nostra Signora Carrà, la Rai, con sguardo furbo e qualche gomitata complice, ha avuto un lampo di genio e pensato bene di rimandare in onda il suo successo più roboante, “Carramba che sorpresa”.
Ogni martedì implacabile per tutta la stagione, tornano i cugini dall’Argentina per stringersi in abbracci strazianti mentre l’immaginifica Raffa dimostra come si possa regnare con soavità su qualunque tipo di trono.
Come scriveva la sublime penna di Pirella: «Sono le ore più umide di tutto il palinsesto. Le telenovelas lacrimose di Retequattro sono, al confronto, un esempio di racconto aspro e minimale. Qui ogni abbraccio tra parenti, scossi dai singhiozzi, ci rammenta che le guance sono due e su ciascuna va stampato un bacio». Ma forse il fatto che la televisione abbia deciso di omaggiare l’inimitabile Carrà con la riproposizione dello show diventato fenomeno non è stata esattamente un’ideona.
Da una parte, la ricchezza produttiva, una cornucopia di mezzi e maestranze, ballerine e costumi, “ganchi” e ospiti internazionali senza tema di confini, fanno apparire qualunque varietà contemporaneo una sorta di intrattenimento da dopolavoro. Dall’altra, al di là dello sfarzo e dei pois di Raffaella vestita da spagnola, viene fuori, nella seconda visione, una capacità di scrittura in cui ogni virgola aveva il suo vero perché. Anche nel discutibilissimo raggiungimento del fine ultimo, ovvero quello del pianto a dirotto. Una cura maniacale del copione, della scelta degli ospiti, del modo in cui gli intervistati interagivano col pubblico, e il pubblico con la Carrà e la regia su tutti, neanche fossimo stati in prima serata su Rai Uno.
Per cui l’effetto di inadeguatezza, che già si prova puntuale con “Techetechetè”, viene vissuto due volte, altro che Hitchcock. Al punto che viene da chiedersi: non varrebbe la pena ogni tanto investire sul futuro? Questo sì che farebbe un bell’effetto sorpresa, altro che Carramba.