Nel film di Maria Kreutzer, Elisabetta di Baviera è un telescopio puntato sulla condizione femminile. Anche se qualche insistenza ideologica è di troppo

L’imperatrice Sissi fa ginnastica agli anelli (vero) e batte il marito Francesco Giuseppe a scherma (probabile, il coniuge era più basso di lei e non aveva la sua statura morale, anche se il film ne fa un bel ritratto sfumato). L’imperatrice si impone diete tremende e misura ogni giorno ossessivamente il girovita (vero anche questo), non in ossequio ai canoni dell’epoca quanto per esercitare il massimo controllo su di sé. Ma l’imperatrice fa anche di peggio. Se ne va da tavola alzando il dito medio; si tatua un’àncora sulla spalla; prova un nuovo farmaco chiamato eroina (difficile, siamo nel 1878, Sissi sta per compiere i fatidici 40 anni, il boom terapeutico dell’eroina arriverà a fine secolo); si lascia filmare dal pioniere del cinema Louis Le Prince (il personaggio è autentico, l’episodio inventato ma di sicuro fascino). Insomma fa un mucchio di cose strambe alternate ad altre improbabili ma vere. Come uscire in pubblico nascosta da una spessa veletta nera. O immergersi nella disperazione dei manicomi, forse per accostare tormenti estremi ma non estranei (dal corsetto alla camicia di forza, è un attimo).

 

Dimenticate la Sissi di Romy Schneider e quella di Netflix. Nel bel film dell’austriaca Maria Kreutzer l’intramontabile Elisabetta di Baviera è un’icona mèta-temporale. Un telescopio (e insieme un microscopio) puntato sulla condizione femminile di oggi e di ieri. Una figura che discende dalla “Marie Antoinette” di Sofia Coppola o dalla “Miss Marx” di Susanna Nicchiarelli ma con molte licenze in più. Il meglio è nella libertà un po’ punk degli accostamenti anche musicali (“As Tears Go By”, e non solo); nel misto di arroganza e vulnerabilità con cui la superdotata Vicky Krieps ritrae questa amazzone dai molti amanti, sempre intrattabile e spesso ingiusta con figli e ancelle. Infine nella grande attenzione riservata alla vita di corte e agli innumerevoli comprimari (su tutti Ludwig di Baviera), che danno rilievo, profondità, universalità agli affanni dell’imperatrice. Il limite sta in certe insistenze un poco ideologiche, nell’ultima parte. Come se regista e protagonista (anche produttrice esecutiva del film) sentissero il bisogno di sottolineare una rivolta che il film già esprime con forza. Usare la Storia come specchio deformante del presente è sempre un esercizio rivelatore. Se resta Storia.

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