Affrontare le emergenze. Favorire la resilienza. Prepararsi al disastro. E riuscire a farlo con grande bellezza e con pochi soldi. C’è tutto questo dietro all’attenzione crescente del ricco Occidente verso l’architettura che arriva da paesi poveri: Il Pritzker Prize a Diébédo Francis Kéré, burkinabé trapiantato a Berlino, segue di pochi mesi il Riba International Award assegnato al bengalese Kashef Chowdhuri. E se il Riba è l’ambitissimo riconoscimento inglese ai “trendsetter”, a chi merita l’attenzione di tutti i progettisti del futuro, il Pritzker è la consacrazione definitiva, una sorta di Premio Nobel dell’architettura. Che va per la prima volta a un africano: uno che è stato il primo del suo villaggio a frequentare una scuola, prima che una borsa di studio lo portasse a Berlino in un istituto tecnico per carpentieri: studiava di notte per prendere il diploma liceale che gli ha permesso di entrare all’università.
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Keré definisce il suo stile un «afro futurismo forgiato dalla tradizione», che si realizza in progetti adattati volta per volta all’ambiente da cui saranno circondati ma anche ai materiali e alle tecniche di costruzione del posto. I progetti più interessanti, alla luce dei principi di cui abbiamo parlato sopra, sono quelli minori: le due scuole, elementare e superiore, realizzate nel villaggio in cui Kéré è nato, Gando, riprendendo materiali e forme tradizionali per realizzare edifici funzionali e di facile gestione nella situazione climatica estrema in cui si trovano. Con un'attenzione particolare per i servizi igienici, progettati in modo da trasformare in rifiuti organici in concime.
A Gando Kéré ha dedicato la Kéré Foundation, nata per arricchirla con progetti che mirano a garantire allo stesso tempo istruzione, ecologia e salute. I muri sono realizzati con moduli prefabbricati in loco, mischiando una piccola quantità di cemento all’argilla locale in modo da realizzare pareti di facile e rapida costruzione ma anche resistenti alle piogge torrenziali tipiche della zona. Riprendendo tecniche usate in Africa già al tempo dei romani, nel soffitto sono incastonati anelli d’argilla, per far entrare la luce, mentre vasi murati nelle pareti servono a rinforzare e a proteggere dal calore esterno. Rami di eucaliptus circondano alcuni edifici costruendo eleganti barriere contro il vento e la luce.
Ma questo non vuol dire che Kéré non sia in grado di progettare edifici grandiosi: come il parlamento del Benin, in costruzione, una enorme “variazione sul tema” dell’”albero delle parole”, all’ombra del quale i capi dei villaggi si riunivano per risolvere i problemi locali. O l’Opera Village vicino Ouagadougou, con l’auditorium a spirale posto al centro di un paesino di abitazioni, servizi e scuole. O la TUM Tower per la Technische Universitat di Monaco, con piani ruotati uno sull’altro in modo da lasciare lo spazio alla crescita, sui balconi, di piante a foglia caduca: che daranno ombra d’estate e invece d’inverno lasceranno passare luce e calore, funzionando come un impianto di climatizzazione ecologico.
Dal grande al piccolo, Kéré si è fatto notare con padiglioni poetici come lo Xylem, progettato per il Tippet Rise Art Center di Fishtail, nel Montana. O il Serpentine Pavillon, che lo ha consacrato nel 2017 tra gli architetti più interessanti della sua generazione: una costruzione leggera, con pareti traforate in legno e acciaio e un tetto translucido, progettata per trasformare in cascata l’acqua piovana e per diventare una fonte di luce nel buio della notte. Alla fine del periodo di esposizione a Londra, il padiglione è stato comprato da una galleria di Kuala Lumpur, in Malesia.
Lo vedremo presto al lavoro in Italia, Kéré. È stato infatti chiamato dalla Triennale di Milano a un allestimento sul tema “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries (Quello che non sappiamo di non sapere. Introduzione ai misteri)". Il progetto, intitolato “Yesterday’s Tomorrow”, sarà una grande scultura architettonica, progettata in modo da unire muratura e pittura. Costruita con tecniche e materiali che richiamano la tradizione del Burkina Faso, verrà realizzato da un gruppo di studenti del Politecnico di Milano insieme ai rappresentanti della diaspora Burkinabè in Italia.